La strategia europea

L’agenda Green Deal europea si arricchisce di un pilastro industriale che comprende, tra l’altro, la riforma del mercato elettrico e la Normativa sulle materie prime critiche. Si tratta di sviluppi senza precedenti verso la realizzazione di una transizione e di un’economia più sicure e resilienti

L’agenda Green Deal europea si arricchisce di un pilastro industriale che comprende, tra l’altro, la riforma del mercato elettrico e la Normativa sulle materie prime critiche. Si tratta di sviluppi senza precedenti verso la realizzazione di una transizione e di un’economia più sicure e resilienti

di Marc-Antoine Eyl-Mazzega

I

l 13 novembre 2023, a seguito di una proposta della Commissione Europea, il Consiglio Europeo e il Parlamento hanno raggiunto un accordo provvisorio sulla Normativa sulle materie prime critiche (MPC). Si tratta di un documento storico che rappresenta la strategia adottata dall’UE per far fronte alle sfide fondamentali legate alle materie prime strategiche che sono utilizzate nella transizione energetica e digitale. Le MPC presentano alcune caratteristiche di base, tra cui un’impennata della domanda, filiere spesso dominate da attori oligopolistici o monopolistici, risorse situate in Paesi con istituzioni o infrastrutture deboli e una generale situazione di impronta europea molto debole nelle catene del valore. La normativa mira poi a dare spazio ad alcune opportunità: sviluppare il potenziale minerario e di riciclaggio europeo, promuovere i criteri ESG nelle catene del valore, costruire alleanze internazionali e da ultimo anche meccanismi per migliorare la sicurezza delle forniture.

 

 

La Normativa sulle MPC cambia le carte in tavola

 

Diversi Paesi importatori netti dell’OCSE avevano già sviluppato politiche sulle materie prime ben prima che l’UE agisse. Ne è in particolare un esempio il Giappone, che ha optato per una strategia e un’agenzia di stoccaggio (JOGMEG) che sostiene anche gli investimenti in progetti minerari all’estero. Anche gli Stati Uniti, dapprima con Trump e successivamente con Biden, hanno avviato il de-risking delle catene del valore e iniziato a costruire un approccio “Made in” o “Made by” USA; fondamentali in tal senso sono alcune disposizioni dell’Inflation Reduction Act, che entro la metà del 2024 riporteranno maggiori dettagli in relazione al collegamento con il regolamento Foreign Entities of Concern proposto dal Dipartimento del Tesoro statunitense. Sebbene si sia mossa tardi nel definire politiche efficaci, l’Unione Europea ha poi sviluppato e adottato tutta una serie di strumenti completi. Le disposizioni fondamentali includono i seguenti aspetti:

 

• oltre a un elenco ampliato di 34 materie prime critiche, il regolamento prevede anche un elenco di 17 materie prime strategiche che sono essenziali per la transizione verde e digitale, tra cui rame, nichel, bauxite/allumina/alluminio, manganese e grafite (anche sintetica);

 

• al fine di incrementare la quota dell’UE nel settore, per il 2030 vengono stabilite delle percentuali di riferimento sulle materie prime strategiche: 10 percento del fabbisogno dell’UE coperto dall’estrazione in Europa, 25 percento del fabbisogno dal riciclo in Europa e 40 percento garantito di lavorazione dei materiali utilizzati. Questo consentirà di promuovere lo sviluppo di industrie e di progetti strategici in Europa e all’estero, non da ultimo grazie alla procedura di autorizzazione rapida e al sostegno finanziario, anche da parte della Banca Europea per gli Investimenti. Il riciclo vanta un enorme potenziale a lungo termine, poiché alla fine, nel 2040, gran parte della domanda interna dell’UE potrebbe essere soddisfatta mediante materiali riciclati;

 

• istituzione di “sportelli unici” per i progetti minerari, procedure di autorizzazione rapide (il processo di concessione dell’autorizzazione non deve complessivamente superare i 27 mesi per i progetti di estrazione e i 15 mesi per i progetti di lavorazione e riciclaggio) e l’obbligo per gli Stati membri di mappare le risorse al fine di incrementare le opportunità minerarie nazionali;

 

stress test obbligatori per le grandi aziende, per mapparne le catene del valore e valutarne i rischi;

 

• possibilità per gli Stati membri di sviluppare politiche per costituire scorte strategiche ed eventuale creazione di un meccanismo volontario di acquisto congiunto per gli attori interessati ad aggregare la propria domanda;

 

• creazione di un Consiglio europeo per le materie prime critiche che riunisca tutti gli stakeholder pubblici e privati in gruppi di lavoro per far avanzare progetti e regolamenti lungo le catene del valore;

 

• vale poi la pena ricordare che il regolamento sulle batterie impone alle case automobilistiche di dotarsi di uno stabile passaporto per le batterie con solidi criteri ESG e che la Direttiva sul bilancio della sostenibilità aziendale obbligherà anche le aziende dell’UE a condurre audit meticolosi delle loro filiere, comprese le materie prime.

 

 

Il Parlamento europeo, Bruxelles. Il 13 novembre 2023, a seguito di una proposta della Commissione Europea, il Consiglio Europeo e il Parlamento hanno raggiunto un accordo provvisorio sulla Normativa sulle materie prime critiche (MPC)

 

 

 

Tali disposizioni sono integrate da diversi sviluppi aggiuntivi che fanno parte dell’attiva diplomazia internazionale dell’UE in materia di MPC. La BERS e la BEI hanno attualmente ampliato la copertura geografica e settoriale in modo da includere anche progetti minerari, soprattutto nell’Africa subsahariana. La Commissione europea ha firmato diversi protocolli d’intesa con Paesi detentori di risorse: l’intento è quello di sviluppare quadri di partenariato che garantiscano catene del valore sostenibili, aperte e responsabili. A oggi i Paesi coinvolti sono nello specifico Canada, Australia, Kazakistan, Ucraina, Cile, Argentina, Groenlandia, Repubblica Democratica del Congo, Namibia, Zambia e Ruanda. L’obiettivo è quello di ridurre il rischio degli investimenti e di dare atto di un impegno duraturo tra l’UE e il Paese partner. Buona governance, cooperazione sui prodotti sostenibili e responsabili, tracciabilità, due diligence, allineamento ai più alti standard ESG internazionali, accesso al sostegno dell’UE (ed eventualmente ai finanziamenti per le infrastrutture nello specifico) e sviluppo di capacità sono tra le principali questioni affrontate. Oltre a delineare una dimensione multilaterale, la Minerals Security Partnership, guidata dagli Stati Uniti, istituisce un dialogo strategico sulle materie prime tra USA, Giappone e UE, mentre l’AIE definirà un quadro per un Programma volontario per la sicurezza dei minerali critici.

 

L’UE ha inoltre potenziato la gamma di strumenti di azione esterna, in particolare attraverso il programma Global Gateway, che mira a mobilitare fino a 300 miliardi di euro di finanziamenti per investimenti in progetti strategici nelle economie emergenti, in particolare nelle infrastrutture chiave (energia, trasporti, ecc.). Ciò può rivelarsi fondamentale per sbloccare progetti minerari che spesso si scontrano con la carenza di infrastrutture energetiche e di trasporto. Non da ultimo, a livello nazionale sono diversi gli Stati membri che hanno intrapreso azioni decisive: alcuni già sono annoverati quali importanti Paesi minerari (p. es. Finlandia e Svezia), mentre altri stanno cercando di sviluppare nuovi progetti minerari (p. es. Portogallo, Spagna o Francia per il litio). A livello istituzionale la Francia è intervenuta istituendo un delegato interministeriale per i metalli strategici e creando un osservatorio strategico per i metalli critici (Ofremi). Il governo francese ha poi stanziato 500 milioni di euro per un fondo di investimento strategico volto a co-investire in progetti di filiera di MPC e altri Paesi, come l’Italia o la Germania, stanno preparando interventi simili.

 

 

Ancora molte incertezze sull’attuazione

 

L’attuazione della Normativa sulle MPC rappresenterà una sfida: in un ambiente tecnologicamente in rapida evoluzione gli obiettivi prefissati sono ambiziosi e gli stakeholder dell’UE nel settore sono piuttosto deboli; inoltre, l’ambiente di investimento nelle filiere delle materie prime è a dir poco complicato.

 

Ambizioni troppo elevate? Avere degli obiettivi di riferimento è un fattore senz’altro positivo, poiché chiaramente stimoleranno gli investimenti nelle filiere europee - non da ultimo grazie all’incorporazione obbligatoria di materiali riciclati ai sensi del Regolamento UE sulle batterie. Tuttavia, sono due i quesiti rimasti aperti: vi sarà abbastanza tempo per sviluppare tutti questi componenti della filiera ad alta intensità di capitale e spesso tecnologicamente avanzati? E basteranno i sussidi disponibili e gli strumenti messi in atto per fornire condizioni di parità con la concorrenza esterna? Per citare un esempio, nell’ultimo periodo l’UE ha importato veicoli elettrici per un valore di oltre un miliardo di euro al mese... La volatilità dei prezzi delle materie prime, che sono in gran parte influenzati dalla Cina, rappresenta una sfida cruciale, soprattutto in questo momento in cui i prezzi sono relativamente bassi, e questo scongiura eventuali nuovi investimenti. Un’ulteriore sfida è posta dalle innovazioni e dai cambiamenti tecnologici, tanto rapidi quanto permanenti: le batterie LFP stanno per subire una forte accelerazione, ma il riciclaggio dei loro componenti non strategici ha poco senso (se non nessuno) dal punto di vista economico.

 

Debolezza degli stakeholder dell’UE. L’UE vanta pochissimi operatori minerari e a livello di dimensioni e capacità sono piuttosto insignificanti rispetto agli operatori australiani, canadesi, americani, brasiliani, svizzeri, cileni o cinesi. Le istituzioni finanziarie dell’UE si stanno preparando a partecipare alle operazioni minerarie, ma le attività estrattive non rientrano nella tassonomia delineata; l’armonizzazione degli standard ESG, il monitoraggio e la rendicontazione rappresenteranno una sfida, soprattutto per la biodiversità - sebbene esistano già degli standard solidi (tra cui l’IRMA). Serviranno non solo centinaia di miliardi di investimenti per sviluppare ed espandere attività estrattive e di lavorazione resilienti e sostenibili, ma anche garanzie serie e ampie e un accesso preferenziale ai finanziamenti (che molto probabilmente non saranno disponibili), lasciando agli attori del Medio Oriente o della Cina una posizione più favorevole. Sarebbe estremamente importante creare delle scorte strategiche, soprattutto ora che i prezzi sono in calo, ma le disposizioni sono volontarie e gli Stati membri hanno poche risorse finanziarie da impegnare, mentre il settore privato ritiene che siano i governi a dover agire e sostenere i costi. Gli Stati membri dovrebbero creare gruppi di volontari, come ad esempio tra Francia, Germania e Italia, per definire una strategia e riunire le risorse, ma questo è complicato e richiede tempo. Nel frattempo, la carenza di risorse sta diventando sempre più reale e altri attori sono più rapidi e agili nel prendere posizione.

 

Necessità di navigare in un ambiente geopolitico molto complesso. Al di là delle preoccupazioni economiche sul ritmo con cui la domanda si accumula in un contesto di politiche pubbliche incerte (si veda p. es. l’improvvisa interruzione dei sussidi per i veicoli elettrici da parte della Germania, la riduzione dei sussidi da parte della Cina o le esitazioni degli Stati Uniti nell’accelerare l’introduzione dei veicoli elettrici, il tutto a fronte della vulnerabilità delle filiere) e di precarietà tecnologiche, le condizioni di investimento nei Paesi ricchi di risorse stanno divenendo ogni giorno più difficili. Il nazionalismo delle risorse sta guadagnando terreno, mentre i governi vietano le esportazioni e chiedono ai produttori di istituire catene del valore nei propri Paesi per creare posti di lavoro a livello locale e massimizzare il valore. Nell’Africa subsahariana, questo porta con sé una forte legittimazione, ma aggiunge rischi politici. I quadri di investimento, istituzionali e di governance sono spesso deboli e insufficienti, le infrastrutture energetiche e di trasporto sono scarse (così come le competenze) e i governi ritengono che in termini di responsabilità debbano essere le aziende minerarie a prendere il loro posto nello sviluppo delle infrastrutture e nella cura delle esigenze sociali. In un settore che non sta investendo a sufficienza le sfide sono immense. Soprattutto in Africa, che dispone di risorse fantastiche e che tuttavia attrae solo il 5 percento degli investimenti minerari globali, di cui una quota significativa è destinata all’oro, il che non è utile in fatto di transizioni. Il trend genererà un superciclo nei prossimi anni, considerando l’inevitabile carenza che si verrà a creare - soprattutto per il rame. Le discussioni poste sul tavolo della Mining Indaba di Città del Capo si sono concentrate in gran parte sull’ESG e non tanto sull’effettiva realizzazione dei progetti.

 

Data l’entità delle sfide all’orizzonte, sarà essenziale non solo che la Normativa sulle MPC venga attuata, ma anche che le istituzioni europee diventino più agili e rapide, che gli Stati membri stabiliscano cooperazioni ad hoc per portare avanti i progetti all’estero e che le società civili accettino il ritorno delle attività estrattive in Europa. Un fondo di sovranità strategica (o un fondo di resilienza industriale) costituirebbe un fattore chiave per l’attuazione della Normativa e sarebbe da adottare entro la fine dell’anno con la nuova Commissione europea e il nuovo Parlamento europeo.