di Roberto Di Giovan Paolo
Il recupero e riciclo di minerali critici e terre rare rappresentano una strada obbligata per superare la dipendenza europea dai Paesi produttori, Cina in primis. Ma gli stati dell’Unione sono ancora indietro
L’
Unione Europea ha recentemente varato un atto fondamentale per le sue politiche industriali e di Green Deal, il Critical Raw Materials Act, ovvero un pacchetto di misure che mira a garantire ai suoi stati membri di poter sopravvivere in un mondo in cui l’industria, le tecnologie per le energie rinnovabili ed i prodotti digitali monopolizzano di fatto le scelte di geopolitica. La mappa della produzione e del commercio dei minerali critici vede il monopolio quasi assoluto della Cina nell’estrazione e un suo ruolo di primo piano, insieme a USA e Russia, nel commercio mondiale. Le restrizioni all’export imposte da Pechino al termine della prima decade degli anni duemila (2011) hanno, di conseguenza, fatto schizzare sul mercato i prezzi di fornitura di tali metalli con punte che vanno dal 2000 al 10mila per cento di aumento.
È evidente che l’Europa e l’Italia rischiano di essere alla mercè dei paesi produttori. Per questo l’Europa nel Critical Raw Materials Act prevede per il 2030 una capacità di estrazione autonoma di almeno il 10 percento delle materie prime consumate nell’Ue; la raffinazione e produzione del 40 percento nello spazio Ue e la produzione di almeno il 15 percento di materiale da attività di recupero e riciclo.
Considerata la diffusione dei prodotti elettronici e digitali in Europa, la strada dell’economia circolare sembra essere quanto mai concreta e necessaria
Se solo pensiamo all’Italia, a capo del G7 per questo semestre 2024, capiamo il perché. Prendiamo ad esempio il consorzio Ecolight: raggruppa 2.140 aziende circa, un numero in aumento ma certamente inferiore a quello dei punti produzione e vendita del cosiddetto materiale AEE (Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche). In venti anni di attività è giunto a raccogliere 18mila tonnellate di rifiuti, soprattutto piccoli elettrodomestici ed elettronica di consumo. Rimane alta però la dispersione attraverso canali paralleli che non garantiscono una corretta gestione. Quando poi si tratta di apparecchiature che contengono dati “sensibili” come gli smartphone o i personal computer si aggiunge la diffidenza verso il riciclo per ragioni legate alla privacy. E così nelle nostre case si accumulano station wifi dismesse, decoder impolverati e personal computer “vintage” accanto aduna sequela di telefoni cellulari “morti”.
Qualcosa di più si fa in Belgio, Francia e Germania dove però le aziende che dichiarano di riciclare terre Rare e materiali critici da scarti industriali si contano sulle dita di una mano.
Le linee guida dell’atto europeo lasciano ad ogni paese la possibilità di una strada libera e sperimentale, ma sembra chiaro che senza una indicazione unitaria di raccolta e di riciclo, un’estrazione da riciclo competitiva nei costi ed una certezza scientifica sulla possibilità del riuso, siamo alle buone, buonissime intenzioni.
In Italia si stanno tentando varie strade. Innanzitutto, ponendosi il problema anche a livello di Ministero dell’Industria, poi riattivando alcune miniere chiuse con filoni di metalli che al tempo della loro chiusura non venivano valorizzati; infine cercando di capire come agire sul riciclo e riuso di metalli critici e terre rare. A febbraio dello scorso anno si è parlato di un progetto finanziato dal Consorzio Europeo EIT Raw Materials, incaricato dall’UE di coordinare il settore per una azienda di riciclo e riuso a Ceccano, in Provincia di Frosinone, con un investimento di 3,6 milioni di euro e il trattamento di 20 tonnellate di terre Rare da magneti permanenti. Una goccia - di grande livello scientifico e necessaria - rispetto al mare cinese.
E tuttavia siamo ancora allo sforzo di ricerca, più che all’impegno su scala industriale
Una ricerca che punta al momento su due strade. Una è quella dei consorzi europei per testare la creazione di parti meccaniche metalliche funzionanti senza le terre Rare, come per esempio il progetto “Passenger”, finanziato sempre da Eti Raw Materials, l’istituto tecnologico europeo di settore, che prevede di realizzare magneti ad alte prestazioni senza questi materiali critici e con soluzioni ecologiche europee.
L’altra punta sulla diminuzione di costi materiali ed ambientali per l’estrazione di terre Rare dagli scarti industriali. E qui una punta di diamante europea è il progetto RARE della università milanese Bicocca, dove i ricercatori, usando nanotecnologie ed un procedimento che parte dallo scarto industriale, stanno elaborando un processo di estrazione delle terre Rare attraverso una soluzione acquosa ed un materiale poroso che dovrebbero garantire una estrazione “a valle” meno costosa, e più sostenibile ambientalmente. Il che garantirebbe anche una maggiore purezza delle terre Rare estratte ed un loro riuso certo.
Ricerca, economia circolare, resilienza. Fuori dal dibattito ideologico diventano cose concretissime in questa fase storica, per l’Europa e l’Italia, se consideriamo che secondo il rapporto che ha preceduto il citato Atto UE:
- per le batterie dei veicoli elettrici e lo stoccaggio dell’energia l’Unione Europea avrebbe bisogno, rispetto all’attuale approvvigionamento della sua intera economia, di una quantità di litio fino a 18 volte superiore e di una quantità di cobalto fino a 5 volte superiore nel 2030 e di una quantità di litio 60 volte superiore e di una quantità di cobalto 15 volte superiore nel 2050;
- la domanda di terre rare utilizzate nei magneti permanenti, ad esempio per i veicoli elettrici, le tecnologie digitali o i generatori eolici, potrebbe decuplicare entro il 2050.
E questo mentre l’UE dipende dalle importazioni – per la maggior parte dei metalli (nell’Atto sono in tutto 30) – per una percentuale compresa tra il 75 e il 100 percento. E l’Italia è nella media europea, visto che può produrre il 32 percento circa dei metalli indicati come “critici” dall’Unione Europea.