In Indonesia (quarto Paese più popoloso del mondo e con la maggiore presenza islamica) l’attenzione ai destini del pianeta ha portato a una religione “amica” dell’ambiente e in lotta contro i cambiamenti climatici.
Quando l’Islam è “verde”
In Indonesia (quarto Paese più popoloso del mondo e con la maggiore presenza islamica) l’attenzione ai destini del pianeta ha portato a una religione “amica” dell’ambiente e in lotta contro i cambiamenti climatici.
In Indonesia (quarto Paese più popoloso del mondo e con la maggiore presenza islamica) l’attenzione ai destini del pianeta ha portato a una religione “amica” dell’ambiente e in lotta contro i cambiamenti climatici.
Il Grande Imam di Jakarta, con pannelli solari, green communities e finanziamenti della Banca Mondiale, vuole trasformare le oltre 800mila moschee del Paese in “eco-moschee” e insegnare alle nuove generazioni come essere “guardiani del pianeta”. Non c’è solo la religione cattolica con Papa Francesco a porre l’accento sull’ ambiente e le sue sfide. Oppure la tradizionale cultura buddista e la presenza del Dalai Lama. Anche l’Islam si muove, sulla base di una tradizione di riflessione filosofica-teologica che risale agli anni Sessanta del Novecento, quando Seyyed Hossein Nasr dall’Università di Chicago cominciò a manifestare il suo pensiero sul degrado ambientale del pianeta in rapporto al Corano.
Lui e altri studiosi, oggi diffusi nelle università del mondo, rimarcano l’importanza di comprendere che per la religione islamica l’umanità ha il ruolo di “guardiano” di un pianeta che appartiene solo a Dio. Siamo solo “Khalifa”, ovvero gestori per conto di Dio. In questo non completamente dissimile dall’idea che Papa Francesco, con la sua ispirazione già nel nome, fa a Francesco D’ Assisi. Che non a caso negli ambienti progressisti musulmani è considerato un “Santo” anche se di altra fede.
Questo pensiero islamico è molto presente nella idea di costruzione anche economica (anche nei Paesi Arabi del Medio Oriente) ma certamente appartiene molto di più, e naturalmente, alle correnti spirituali, come i Sufi, che non ai capitribù, poi divenute dinastie regnanti, nei secoli, nei Paesi Arabi che hanno dovuto fare i conti con gli effetti economici e sociali dell’impegno sul fossile e delle relazioni anche geopolitiche che hanno creato nel mondo moderno dal secondo dopoguerra.
È pero interessante notare come nei Paesi asiatici e dell’Oriente in genere questa presenza spirituale è molto forte ed ha legami con i molti che insegnano teologia islamica nelle Università più che nelle Madrase. Un pensiero forse meno conosciuto nell’occidente - soprattutto sui media - ma anche molto più diffuso di quanto si creda, in quanto a numeri, nel mondo.
Si pensi solo all’influenza, giunta fino alle pagine di giornali occidentali, esercitata dal Grande Imam Nasarrudin Umar in Indonesia. Lì la Moschea Istiqlal, a Jakarta, è riferimento certo per oltre 200 milioni di persone, in maggioranza musulmani. E in questo 2024 ha dedicato tutto il periodo di Ramadan, terminato lo scorso inizio d’aprile, a una riflessione proprio su ciò che comporta il cambiamento climatico e sul ruolo di “guardiano dell’ambiente” che il vero musulmano deve esercitare. Stiamo parlando di uno dei Paesi con più musulmani al mondo, non un piccolo Paese. Dove l’Imam non si ferma all’invito spirituale ma compie azioni concrete come coordinare la pulizia del fiume vicino alla Moschea oppure mettere i pannelli solari per implementare la ricerca di energia alternativa; oppure incrementare una sorta di “green communities” con fondi provenienti dalla Banca Mondiale dopo ricerche e studi approfonditi.
Non c’è “naivité” ma una direzione di marcia concreta. Che rappresenta un punto di riferimento per una sorta di Movimento “Green Islam”, che fa da agente di mutazione sociale per una nazione che con i cambiamenti climatici deve fare i conti: incendi boschivi e perdita di forestazione, esportazione di carbone ed emissioni di CO2 molto importanti, con cui confrontarsi giornalmente.
Non si tratta di un cammino facile e sicuro, considerando che neanche due decadi fa il Concilio degli Ulema ancora colpiva con una Fatwa gli ambientalisti che provavano a utilizzare il nome del Profeta Maometto per convincere a piantare alberi o fare azioni di protezione della natura. Ma negli anni l’attenzione dei nuovi religiosi islamici è cambiata, fino a inserire nelle scuole religiose la sensibilità ai temi del cambiamento climatico e della conservazione della natura.
Un incontro che ha visto anche maggiore attenzione degli ambientalisti stessi, alla religione, considerando la forte influenza che l’insegnamento islamico ha sulle nuove generazioni in Oriente. Così, sono aumentati i gruppi di bambini con famiglie che piantano alberi e piante ma anche azioni strutturate come l’installazione di pannelli solari nelle Moschee più piccole e distanti che hanno bisogno di energia elettrica e dove spesso, troppo distanti da grandi centri urbani, soffrivano di carenza di energia per le loro attività, oppure il riutilizzo dell’acqua piovana o il lavoro sulle condutture malandate per garantire acqua nei tanti villaggi sparsi dove le piccole moschee come le nostre parrocchie fanno da volano di attrazione sociale e culturale.
Una autorità religiosa che pratica l’insegnamento del Profeta, Ananto Isworo, ha prodotto una serie di saggi in cui si fa riferimento a oltre 700 versi del Corano in cui ci sono riferimenti all’ambiente e alla sua pulizia, che ovviamente richiama quello del corpo e della mente del “vero credente”.
Religione, filosofia di vita e concretezza sembrano congiungersi, considerando che l’Imam di Jakarta Nasaruddin insiste anche su fatti molto prosaici: i pannelli solari installati hanno ridotto la spesa della Moschea del 25 per cento e la Banca Mondiale non ha solo finanziato le sue attività ambientaliste ma anche premiato il suo lavoro di coordinamento con un certificato verde per l’edificio e le sue attività.
Tanto da affermare in una intervista al New York Times che entro pochi anni vuole trasformare almeno il 70 per cento delle oltre 800mila moschee sparse in Indonesia, in “eco-moschee”. Diventando un punto di riferimento per il mondo musulmano, ma non solo ovviamente, se i numeri gli daranno ragione. Ora la battaglia si sposta anche nelle scuole, molte di esse, quelle private, gestite direttamente o finanziate da organizzazioni religiose musulmane e dove quindi le giovani generazioni impareranno a essere “guardiani del creato” con il riciclo, il minor spreco, il trattamento differenziato dei rifiuti.
È una battaglia culturale ma anche uno spirito religioso nuovo che reca il segno dei tempi e annuncia una riflessione molto più diffusa nell’Islam, che non potrà non avere ripercussioni in futuro anche nella gestione politica di interi Stati. Avviene ora nell’Indonesia, grande Nazione e per lo più musulmana. Potrebbe contagiare l’Islam in tutto il mondo. E forse il mondo stesso, con uno spirito religioso molto diverso da quello che siamo soliti conoscere e che potrebbe aumentare confronto e condivisione con le altre grandi religioni del mondo.