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’Artico, a lungo considerato una terra remota e desolata, sta diventando un microcosmo rappresentativo di tutte le principali tendenze geostrategiche del nostro tempo. La rinnovata competizione per l’Artico presenta tutte le dinamiche del mondo odierno: la ritrovata volontà di imporsi della Russia, la nuova fase degli Stati Uniti al grido di MAGA (Make America Great Again), la minore influenza dell’Europa e il crescente peso geostrategico della Cina, il tutto sullo sfondo della minaccia esistenziale dell’instabilità climatica. Per molti versi, l’Artico è espressione delle linee di faglia della moderna politica globale.
Uno degli aspetti più sorprendenti della competizione per l’Artico è costituito dalle crescenti aspirazioni della Russia e dalla sua rinnovata determinazione a manifestare il proprio potere. Mosca ha investito ingenti somme in installazioni militari, rompighiaccio a propulsione nucleare che fendono la fanghiglia sempre più spessa e infrastrutture destinate a dominare il passaggio a nord est (Northern Sea Route, NSR), un corridoio che presto potrebbe rivaleggiare con le tradizionali rotte di navigazione globali. Questa spinta espansionistica è in linea con la generale posizione geopolitica della Russia, dall’Ucraina al Medio Oriente, che cerca di ripristinare la vecchia sfera di influenza sovietica e riaffermarsi come potenza mondiale. L’Artico, ricco di petrolio, gas e minerali strategici sepolti sotto il permafrost, è un’arena in cui la Russia è pronta a sfidare il predominio occidentale riducendo al minimo lo scontro diretto.
Oltre a Russia e Stati Uniti, anche la Cina ha silenziosamente ampliato le sue mire artiche autodichiarandosi “stato quasi artico”. Attraverso investimenti in porti d’altura, navi all’avanguardia resistenti al ghiaccio e partnership economiche, Pechino cerca di guadagnarsi un posto stabile nella governance dell’Artico e nell’estrazione delle sue risorse. Queste manovre rientrano nella generale strategia della Cina per garantirsi l’accesso a minerali critici e riserve energetiche in tutto il mondo, sfidando il controllo delle tradizionali potenze artiche sulla regione.
Gli Stati Uniti hanno risposto con una maggiore attenzione alle questioni artiche, mossi sia da preoccupazioni strategiche sia dalla crescente consapevolezza del potenziale economico in gioco. Sotto l’amministrazione Trump, questa attenzione ha assunto una piega palesemente conflittuale, nei confronti non solo della Russia, ma anche di paesi tradizionalmente alleati come Canada e Danimarca. Trump ha apertamente messo in discussione il ruolo della NATO nell’Artico, ha contestato le rivendicazioni territoriali del Canada e ha persino proposto l’acquisto della Groenlandia dalla Danimarca, una prospettiva che ha fatto rabbrividire i pianificatori della difesa europea. Questa uscita audace del presidente USA ha chiarito che perfino gli alleati non sono più esenti dalle richieste americane. Gli imprevedibili cambiamenti di politica di Trump e i frequenti scontri con i partner hanno compromesso una strategia unitaria per l’Artico occidentale.
Eppure, anche se Washington intende imporsi nella geopolitica artica, decenni di deindustrializzazione limitano la capacità dell’America di esercitare il suo potere nella regione. Gli Stati Uniti, che un tempo erano leader mondiali nella costruzione navale, oggi non possono più produrre pesanti rompighiaccio senza affidarsi a fornitori esteri, e devono fare affidamento su una flotta obsoleta, surclassata dalle navi russe a propulsione nucleare. La riduzione della produzione nazionale di acciaio e della capacità ingegneristica specializzata ha ulteriormente eroso la capacità del paese di sostenere operazioni nell’Artico, e ai pianificatori militari non resta che ingegnarsi per adattare infrastrutture obsolete alle moderne esigenze strategiche. In uno scenario in cui la forza è misurata in termini di resistenza al ghiaccio e al freddo, a causa del declino industriale l’America fatica a tenere il passo con i suoi rivali.
Nel frattempo, i ricercatori lanciano un allarme climatico sempre più urgente circa le possibili conseguenze del rapido riscaldamento dell’Artico. La perdita di ghiaccio marino non solo accelera il cambiamento climatico, ma minaccia anche di scatenare una serie di eventi meteorologici estremi che avranno ripercussioni ben oltre l’Artico. Senza il suo scudo riflettente di ghiaccio, l’oceano scuro inghiotte il calore come uno specchio nero, accelerando ulteriormente il riscaldamento e destabilizzando la corrente a getto, un flusso d’aria molto veloce che si trova nella troposfera superiore e regola il clima, influenzando i modelli meteorologici e il movimento delle perturbazioni. L’aria artica potrebbe quindi riversarsi con forza a sud, trasformando il Texas in una landa desolata ricoperta di ghiaccio in inverno e inaridendo il Midwest con inesorabili ondate di calore estive. Alcuni modelli climatici suggeriscono che la stagione degli uragani atlantici, potenziata da questi cambiamenti, inizierà a generare tempeste che si muoveranno più lentamente, accumulando forza su acque innaturalmente calde, per poi fermarsi sulle città costiere e sommergerle con piogge battenti. La scomparsa del ghiaccio marino estivo dall’Artico avrà ripercussioni sulle terre più a sud: fiumi che straripano nelle strade delle città, campi riarsi al posto di colture fiorenti e bufere di neve anomale che trasformano le autostrade in cimiteri ghiacciati. L’Artico sta cambiando e il caos generato da questo cambiamento non rimarrà entro i confini del Polo.
Un altro aspetto sottovalutato di un Artico sconvolto è la crescente tensione tra sovranità delle comunità locali e interessi dei vari stati. Le comunità indigene, dal Canada alla Groenlandia, si trovano ad affrontare crescenti pressioni da parte di governi e aziende bramosi di sfruttare le risorse dell’Artico. La spinta verso lo sviluppo economico spesso entra in conflitto con i diritti delle comunità locali, con il legittimo interesse a preservare le loro culture e con la protezione del loro ambiente. Gli antichi terreni di caccia, un tempo rivestiti di un manto immacolato, ora portano i segni delle ruspe che tracciano le strade verso le piattaforme petrolifere. Le acque pescose che hanno sostenuto diverse generazioni sono ora intorbidite dal limo e inquinate a causa dell’espansione industriale. Mentre i governi si danno da fare per rivendicare le risorse dell’Artico, le comunità indigene vengono troppo spesso considerate un elemento secondario anziché legittimi portatori di interessi nelle terre in cui hanno vissuto per generazioni, che ora vengono messe all’asta al miglior offerente, e faticano a far sentire la loro voce sopra il ronzio di macchinari invadenti.
L’Artico non è più una terra isolata e ghiacciata, ma un palcoscenico geopolitico in fermento in cui le grandi potenze mondiali fanno a gara per ottenere influenza, risorse e sicurezza. L’importanza strategica in evoluzione della regione è lo specchio di conflitti globali di più larga portata: tra stati autoritari che vogliono imporsi e democrazie liberali, tra sfruttamento economico e tutela ambientale, tra cooperazione e frammentazione. Con lo scioglimento dei ghiacci, l’importanza dell’Artico non potrà che aumentare, costringendo il resto del mondo ad affrontare le profonde tensioni che emergeranno man mano.