La governance regionale, sostenuta da trattati internazionali, è messa alla prova dalla crescente competizione e dalle tensioni internazionali. In questo contesto, la cooperazione tra Stati artici e non artici è sempre più importante, quantomeno in relazione a questioni che hanno un impatto globale
10 aprile 2025
La governance regionale, sostenuta da trattati internazionali, è messa alla prova dalla crescente competizione e dalle tensioni internazionali. In questo contesto, la cooperazione tra Stati artici e non artici è sempre più importante, quantomeno in relazione a questioni che hanno un impatto globale
di Elena Sciso
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ispetto alla speculare regione a Sud, l’Artico presenta una configurazione fisico-giuridica del tutto diversa. L’Antartide è una massa continentale circondata da acque, collocata a Sud del 60° lat. Sud; su questo territorio non ci sono sovranità statali ma solo rivendicazioni di sovranità (claims), avanzate in passato da 7 Stati (Norvegia, Regno Unito, Francia, Australia, Nuova Zelanda, Cile, Argentina), ai quali si sono successivamente aggiunti gli Stati Uniti e l’allora URSS. Tali pretese, basate su motivazioni diverse, dalla scoperta alla contiguità fisica, all’influenza sul clima, non vengono riconosciute e, soprattutto, non sono mai state accompagnate dalla effettività del controllo statale esclusivo sul territorio, che avrebbe potuto trasformarle in titoli di sovranità. Peraltro, non ci sono popolazioni stanziali in Antartide, ma solo, periodicamente, gruppi di scienziati che lavorano nelle basi scientifiche.
L’Artico è invece un mare collocato a Nord del Circolo polare artico, ad una latitudine superiore al 66° lat. Nord, circondato da terra ferma sulla quale insistono le sovranità di cinque Stati: il Canada, la Danimarca attraverso la Groenlandia, la Russia, gli Stati Uniti, la Norvegia. Questi Stati esercitano la loro giurisdizione sulle acque dell’Artico e sulle relative risorse, riproducibili e non riproducibili, nell’ambito delle rispettive zone costiere (mare territoriale, ZEE, piattaforma continentale), come definite in conformità con il diritto internazionale del mare. Nell’oceano artico, si trovano l’arcipelago delle Svalbard, posto sotto sovranità norvegese in base al Trattato del 1920, che ha messo fine alla controversia con la Russia e riconosce taluni significativi diritti economici, di stabilimento e di sfruttamento minerario in favore dei cittadini dei 46 Stati parti (tra i quali, l’Italia) e l’isoletta di Hans, oggetto di una lunga controversia tra la Danimarca e il Canada, risolta nel 2022. Da questa diversa configurazione fisica, conseguono regimi giuridici diversi applicabili alle due aree polari.
Il sistema antartico
L’Antartide è amministrata attraverso una singolare forma di cooperazione internazionale, che ha alla base un trattato originario – il Trattato di Washington, del 1959 – ed ha sviluppato negli anni alcuni elementi di istituzionalizzazione a partire dalla creazione di un Segretariato permanente, nel 2003, ma non è tuttora un’organizzazione internazionale.
Il Trattato di Washington, concluso originariamente tra 12 Stati, tra cui i 7 Claimants, gli Stati Uniti e l’allora URSS, conta oggi 58 Stati parti; in un’area non soggetta a sovranità statali, il trattato garantisce l’esercizio delle libertà stabilite dal diritto internazionale, in particolare, la libertà di navigazione, di sorvolo e di ricerca scientifica, avviando una proficua ed ampia collaborazione internazionale, favorita dalla smilitarizzazione dell’area e dal divieto di effettuare esperimenti nucleari o di depositarvi scorie radioattive (articoli I e V del Trattato).
Questa forma di cooperazione, inizialmente limitata alla ricerca scientifica in sostanziale continuità rispetto all’Anno Geofisico internazionale, celebrato nel 1958, si è progressivamente allargata allo sfruttamento delle risorse dell’area, sia pure in un’ottica prevalentemente “conservativa” e di salvaguardia ambientale. Il Protocollo di Madrid del 1991, che integra tra le parti il Trattato originario, definisce l’Antartide “una riserva naturale, dedicata alla pace e alla scienza” e stabilisce il principio per cui qualunque attività condotta nell’area debba essere preventivamente assoggettata a una rigorosa valutazione d’impatto ambientale. Viene introdotto, altresì, il divieto di attività minerarie nell’area per un periodo di 50 anni a partire dall’entrata in vigore del Protocollo, nel 1998.
Tromsø, in Norvegia, è uno dei centri nevralgici per la ricerca e lo sviluppo nell’Artico. Snodo strategico per le rotte polari, ospita istituti di ricerca sulle dinamiche climatiche e sulle risorse energetiche della regione. Il suo porto gioca un ruolo chiave nella logistica artica
Il successo di questa cooperazione si deve a un imbrigliamento delle pretese di sovranità dei Claimants, sulla base della c.d. freezing clause (l’art. IV del Trattato di Washington); tali pretese, che il sistema formalmente non riconosce, né disconosce, non hanno mai avuto modo di tradursi in titoli effettivi, proprio per effetto degli obblighi via via assunti dai Claimants.
Un ruolo preminente nella gestione dell’area e delle sue risorse è riconosciuto agli Stati che hanno un interesse attivo nell’area (le Consultative Parties, attualmente, 29), testimoniato dal mantenimento di basi scientifiche permanenti. L’Italia ha acquisito lo status consultivo nel 1987 e mantiene attualmente 2 basi, una delle quali con la Francia.
Le misure assunte all’unanimità dalle Parti Consultive nel corso delle periodiche riunioni (Antarctic Consultative Meetings), una volta ratificate/adottate dalle Parti in base alle rispettive procedure nazionali, costituiscono la legislazione antartica.
Il quadro giuridico applicabile all’Artico
In Artico, la situazione è diversa. Considerata la presenza, intorno alle acque artiche, di Stati sovrani che esercitano la loro giurisdizione nelle aree marine prospicienti le loro coste, nell’area si applicano, accanto al diritto internazionale consuetudinario, gli accordi che vincolano tali Stati. Tra questi accordi, un ruolo centrale riveste la Convenzione firmata a Montego Bay nel 1982, che codifica il diritto internazionale del mare. Ad oggi, la Convenzione è stata ratificata da 167 Stati, tra cui tutti gli Stati artici ad eccezione degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti si riservano di applicare la Convenzione nella misura in cui ritengono che le sue disposizioni corrispondano al diritto internazionale generale; tuttavia, non essendone parti, non possono valersi appieno delle sue disposizioni, innanzitutto, nei rapporti con gli altri Stati artici. È alla stregua della Convenzione che va, infatti, determinata l’ampiezza delle aree di giurisdizione esclusiva nazionale e vanno precisati i diritti che gli Stati artici possono esercitare nelle zone costiere di loro competenza – acque territoriali, zona economica esclusiva, piattaforma continentale – nonché i diritti o le libertà che, in tali zone, possono invece esercitare gli altri Stati. Alle regole ed alle procedure della Convenzione bisogna guardare per risolvere le eventuali controversie, che possono nascere tra gli Stati artici in relazione alla delimitazione delle rispettive zone costiere e all’ampiezza dei correlati diritti ed obblighi.
In base alla Convenzione di Montego Bay, il Mar glaciale artico potrebbe essere definito un mare chiuso o semichiuso. Sono tali i mari circondati da due o più Stati, che comunicano con un altro mare o con l’oceano per mezzo di un passaggio stretto “costituito principalmente o interamente dai mari territoriali o dalle zone economiche esclusive di due o più Stati costieri” (art.122). In questi casi, la Convenzione prevede un obbligo di cooperazione degli Stati costieri, realizzabile anche attraverso la creazione di una organizzazione regionale, per l’esercizio dei diritti e l’adempimento degli obblighi loro spettanti (relativi, in particolare, alla protezione e alla preservazione dell’ambiente marino). Su invito degli Stati costieri, anche altri Stati o organizzazioni internazionali interessati potranno partecipare a questi fori di cooperazione (art. 123).
Alla navigazione nelle acque artiche, così come in quelle antartiche, si applicano regole specifiche concernenti la sicurezza e la prevenzione dell’inquinamento, il c.d. Polar Code, elaborato dall’International Maritime Organization (IMO) e diventato operativo nel gennaio 2017.
In materia ambientale, nell’Artico si applica la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992, di cui sono parti tutti gli Stati artici e gli ulteriori, specifici accordi conclusi nell’ambito della cooperazione artica. Trovano applicazione nell’area anche alcuni accordi, che vincolano gli Stati artici, relativi al divieto dell’uso di armi di distruzione di massa quali, la Convenzione del 1993 sulla proibizione delle armi chimiche e quella, del 1972, che vieta l’utilizzazione di armi batteriologiche, il Trattato del 1971 sulla proibizione della installazione di ordigni nucleari e di altre armi di distruzione di massa sul sottosuolo e sui fondi marini ed il Trattato di non proliferazione nucleare, del 1968. Tuttavia, per la presenza di Stati sovrani due dei quali sono potenze nucleari, non è ipotizzabile, soprattutto oggi, la riproposizione nell’Artico del modello di smilitarizzazione e di denuclearizzazione, sperimentato con successo in Antartide.
La governance
La governance dell’Artico è affidata ad una peculiare forma di cooperazione, che fa capo al Consiglio artico. Il Consiglio non è un’organizzazione internazionale, quanto piuttosto un foro permanente di cooperazione, nato sulla base di uno strumento di soft law, la Dichiarazione di Ottawa, sottoscritta nel 1996 dagli 8 Stati artici con l’intento di promuovere uno sviluppo sostenibile della regione. La membership del Consiglio è costituita da otto Stati membri (i cinque Stati sovrani che si affacciano sull’Artico (Stati Uniti, Russia, Danimarca, Canada, Norvegia) e i tre Stati costieri, storicamente attivi nell’area (Finlandia, Islanda e Svezia); sei Permanent Partners, rappresentati dalle organizzazioni dei popoli indigeni; e gli osservatori, che possono essere sia Stati che organizzazioni intergovernative o interparlamentari o anche ONG. Un Segretariato permanente è stato istituito nel 2011.
Le popolazioni indigene sono rappresentate nel Consiglio Artico attraverso sei organizzazioni con status di “Partecipanti Permanenti”. Questo status garantisce loro il diritto di intervenire e contribuire alle discussioni, sebbene non abbiano diritto di voto
Il Consiglio artico è un club esclusivo, nel quale non possono essere ammessi nuovi membri oltre agli otto originari; può essere allargato, invece, il numero degli osservatori, sia Stati che organizzazioni internazionali e il numero dei Permanent Partners.
Gli osservatori sono attualmente 13: sei sono Stati membri dell’UE (Francia, Germania, Italia, Spagna, Olanda e Polonia) e sette sono i Paesi non UE (il Regno Unito, la Cina, l’India, la Corea del Sud, il Giappone, Singapore e la Svizzera). L’Italia ha acquisito lo status di osservatore nel 2013. L’Unione europea detiene dal 2013 lo status di osservatore ad hoc, che le consente di essere invitata di volta in volta alle riunioni del Consiglio artico. L’Unione è membro effettivo dell’altro foro di cooperazione regionale, il Barents-Arctic Council, istituito nel 1993, che riunisce i Paesi europei dell’Artico che si affacciano sul mare di Barents: Danimarca, Finlandia, Norvegia, Islanda, Svezia e Russia.
All’interno del Consiglio artico, il potere decisionale è interamente ed esclusivamente nelle mani degli otto Stati membri; le organizzazioni dei popoli indigeni, che rivestono lo status di Permanent Partners, hanno il diritto di essere consultate in materia di sviluppo sostenibile e di ambiente, ma sono escluse dal processo decisionale. Nessun ruolo significativo è riservato agli osservatori, che possono essere invitati ad assistere alle riunioni del Consiglio e possono proporre progetti, con un limitato impatto finanziario, solo tramite un membro del Consiglio o un Permanent Participant. Le decisioni vengono prese per consensus; il Consiglio si riunisce ogni due anni sotto la presidenza, a rotazione, di uno dei Paesi membri, ma la continuità del sistema di cooperazione è assicurata da gruppi di lavoro, attualmente sei, coordinati e monitorati dai Senior Arctic Officials (SAO), rappresentanti degli Stati membri, che si riuniscono due volte l’anno.
Lo strumento giuridico che, per espresso riconoscimento degli Stati artici, costituisce il quadro di riferimento per la gestione dell’Artico è la Convenzione di Montego Bay, di cui sono parti, come si è detto, tutti gli Stati artici tranne gli Stati Uniti. Tra le condizioni per l’attribuzione dello status di osservatore, precisate dalla Dichiarazione di Ottawa, figura proprio il riconoscimento del quadro giuridico applicabile all’Artico, oltre che l’esplicito riconoscimento delle sovranità statali e dei diritti sovrani e di giurisdizione esercitabili nell’area dai cinque Stati artici.
Fra gli aspetti principali della cooperazione artica figurano la tutela ambientale e la conservazione della flora e della fauna artiche, accanto alla ricerca scientifica, in linea con le disposizioni della Convenzione di Montego Bay. In questi settori, nell’ambito del Consiglio, sono stati conclusi diversi accordi, in principio aperti esclusivamente alla partecipazione degli Stati membri.
Le questioni militari e di sicurezza non rientrano tra le materie di competenza del Consiglio artico, in aderenza a quanto espressamente indicato dalla Dichiarazione di Ottawa. A parte la condizione di smilitarizzazione delle Svalbard, prevista dal Trattato del 1920, le attività militari in Artico non sono formalmente vietate; negli ultimi anni, è significativa piuttosto una comune tendenza degli Stati artici a rafforzare le loro capacità militari nell’area.
Nella prospettiva considerata, è interessante sottolineare come, dopo l’ingresso nell’Alleanza atlantica della Finlandia, il 4 aprile 2023 e della Svezia, l’11 marzo 2024, gli Stati membri del Consiglio artico siano tutti membri della NATO, tranne la Federazione russa. La NATO formalmente non ha basi in Artico, ma alcuni Paesi membri, la Norvegia e l’Islanda in particolare, consentono all’Alleanza di utilizzare le loro basi per esercitazioni militari.
Prospettive
Questo modello proficuo di collaborazione è entrato in crisi nel 2022, in seguito all’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina e alle conseguenti sanzioni adottate dai Paesi occidentali. Nel 2022 il Consiglio artico, all’epoca sotto la presidenza russa, ha sospeso i suoi lavori e sono stati sospesi tutti i progetti e le attività che coinvolgevano la Russia. I lavori sono ripresi formalmente nel 2023, con la presidenza di turno norvegese, senza la partecipazione della Russia. La Russia si è ritirata dal Consiglio euro-artico di Barents nel 2023 e nel 2024 ha sospeso il versamento dei contribuiti volontari al Consiglio artico.
D’altro canto, negli ultimi anni si è manifestato un interesse esponenzialmente crescente degli Stati terzi per la valenza strategica dell’Artico, sotto il profilo climatico, delle risorse, dei trasporti, della produzione di energia. Nel 2013, la Cina, che si è proclamata “near Arctic country”, ha concluso con l’Islanda – che ha una popolazione di soli 330.000 abitanti – un accordo di libero scambio che riguarda le merci e la fornitura di alcuni servizi, ingegneristici, di telecomunicazione, di turismo, di trasporto. Nel 2018, i due Paesi hanno firmato un importante accordo per lo sviluppo di energia geotermica. Quasi tutti gli Stati artici hanno avviato trivellazioni petrolifere nelle rispettive piattaforme continentali, particolarmente ricche di depositi di gas naturale e petrolio. Lo scioglimento progressivo dei ghiacci artici, prodotto dal riscaldamento del pianeta, ha messo in evidenza, altresì, l’importanza dell’Artico come via di comunicazione privilegiata delle rotte commerciali dall’Europa verso il Giappone e i Paesi asiatici.
Allo stesso tempo, la presenza di acque progressivamente più libere dai ghiacci darà un impulso alla pesca in vaste aree dell’oceano artico, tanto soggette alle giurisdizioni nazionali degli Stati artici, quanto di alto mare.
Queste circostanze dovrebbero favorire, in prospettiva, lo sviluppo di una cooperazione più ampia, quantomeno in relazione a questioni che hanno un impatto globale (come, la salvaguardia ambientale, la conservazione delle risorse, la produzione di energia), associando, su una base di sostanziale parità con gli Stati artici, quei Paesi che hanno un interesse attivo in Artico.
Tale prospettiva, auspicata da una risoluzione del Parlamento europeo già nel 2014 e convintamente sostenuta di recente dalla Cina, appare oggi assai lontana, a motivo delle tensioni in atto sugli scenari globali.
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