Nuovi itinerari

Lo scioglimento della calotta artica ha aperto nuove rotte, che potrebbero cambiare radicalmente la rete dei trasporti marittimi mondiali, attraverso cui viaggia la quasi totalità delle merci che si spostano tra i continenti
Lo scioglimento della calotta artica ha aperto nuove rotte, che potrebbero cambiare radicalmente la rete dei trasporti marittimi mondiali, attraverso cui viaggia la quasi totalità delle merci che si spostano tra i continenti
di Angela Stefania Bergantino

I

l fenomeno dell’amplificazione artica è uno degli effetti del riscaldamento globale che può avere le conseguenze maggiori e più ravvicinate nel tempo. Non solo per la vita sulla terra ma anche per l’assetto dei commerci globali, con tutto ciò che questo implica in un mondo sempre più interdipendente. Per amplificazione artica si intende la maggiore velocità con cui la temperatura media cresce ai poli rispetto al resto del globo. Fino a pochi anni fa si riteneva che ai poli l’effetto serra procedesse a velocità doppia. Negli ultimi anni, invece, le evidenze scientifiche ritornano un differenziale molto maggiore: la temperatura ai poli sta crescendo ad una velocità tripla o addirittura quadrupla rispetto all’equatore. Naturalmente, la prima preoccupazione è data dallo scioglimento delle calotte polari e dai pericoli derivanti dall’aumento del livello del medio-mare in tutte le superfici marine, con le note e temute conseguenze sull’abitabilità delle coste. Ma lo scioglimento della calotta artica può cambiare radicalmente anche la rete dei trasporti marittimi mondiali, attraverso cui viaggia ormai tra l’80 e il 90 percento delle merci che si spostano tra i continenti.

 

Lo statuto del Mar Glaciale Artico

Il Mar Glaciale Artico, che alcuni definiscono Oceano, ha uno statuto particolare. A seguito di diversi trattati internazionali, nel 1996 si formò un Consiglio Artico, preposto alla salvaguardia delle condizioni ambientali dell’ecosistema artico, per prevenire lo sfruttamento indiscriminato delle sue risorse. Si calcola, infatti, che una quota consistente dei giacimenti inesplorati di petrolio (il 15 percento circa) e di gas (30 percento) del pianeta sia racchiusa in questo scrigno gelato. Otto Paesi formano il Consiglio Artico, le otto nazioni bagnate da questa grande massa d’acqua: Canada, Danimarca (per la Groenlandia e le Isole Fær Øer), Finlandia, Islanda, Norvegia, Federazione Russa, Stati Uniti d’America e Svezia. Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, le rotte che mettono in collegamento lo Stretto di Bering con l’Atlantico passano dal controllo del Consiglio Artico a quello degli stati nazionali nel momento in cui diventano navigabili, cioè non sono ghiacciate per la maggior parte dell’anno. Considerando che nel settembre 2019 la superficie ghiacciata si estendeva solo per 4,3 milioni di km2, contro i 6,1 milioni di km2 di vent’anni prima, è probabile che entro non molti anni l’attraversamento del Mar Glaciale Artico diventi un’opzione più che concreta.

 

Le rotte artiche

Le rotte marittime attraverso l’Artico passano tutte, ad Oriente, attraverso lo Stretto di Bering, la porta di ingresso dall’Oceano Pacifico, o la sua via d’uscita per le navi che procedono da Occidente ad Oriente. A 180°, l’Atlantico non ha invece un passaggio così stretto e vincolante: si apre tra la Groenlandia e le coste della Norvegia. La più diretta delle rotte artiche è la Transpolar Sea Route che passa in prossimità del Polo e praticamente non è mai percorribile. Al largo delle coste della Russia, il paese che affaccia per la maggior quota parte sull’Artico, procede invece la Northern Sea Route (NSR), che tocca anche le coste scandinave. Infine vi è la rotta del mitico “passaggio a nord-ovest” (North West Passage, NWP), che dallo Stretto di Bering costeggia l’Alaska e il Canada per infilarsi, infine, nella Baia di Baffin e raggiungere la costa orientale degli Stati Uniti.

 

La più interessante, sotto vari profili, è la NSR. Essa consente di passare dall’Atlantico al Pacifico (o viceversa) risparmiando fino al 50 percento in termini di distanza marina da percorrere, tra i 14 e i 20 giorni in media di navigazione e fino al 24 percento delle emissioni di gas serra. Naturalmente la possibilità di attraversare un mare così complesso richiede investimenti considerevoli in costi fissi, perché le navi devono rispondere a requisiti particolari sia in termini costruttivi che di sicurezza della navigazione. Anche i costi operativi risultano maggiori; tuttavia i vantaggi in termini generali rimangono considerevoli, soprattutto in un contesto di mercato globale dei trasporti marittimi che è ormai un settore dalla competitività esasperata.

L’altro corno del problema consiste nei problemi geopolitici legati alla sovranità sul Mar Glaciale Artico

Come si è detto la NSR costeggia dalla penisola della Kamchakta fino al mare di Barents le coste della Federazione Russa, e dunque sarebbe sotto il controllo di Mosca e (come vedremo) dei suoi alleati. L’altra rotta, la NWP, anch’essa potenzialmente utilizzabile in caso di avanzamento ai ritmi attuali dello scioglimento della calotta polare, ricade invece principalmente nell’area di controllo e influenza di Canada e Groenlandia/Danimarca. Questo spiega perché le recenti esternazioni del quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha invitato il Canada ad aggregarsi agli Stati Uniti e ha nuovamente offerto di acquistare la Groenlandia, abbiano subito fatto pensare a una nuova strategia di Washington per prendere posizione in un quadrante, quello artico, che rischia di essere fondamentale già nei prossimi decenni e nel quale gli USA non hanno una posizione preminente.

 

Commercio globale, bottlenecks e choke points

La valenza commerciale e politica dell’Artico appare ancora più evidente se si allarga lo sguardo all’intera situazione dei commerci marittimi globali e se si focalizza a quali pericoli essi sono esposti. I due principali bottlenecks delle rotte globali, il Canale di Panama e quello di Suez, sono stati teatro negli ultimi anni di alcune crisi che rischiano di modificare l’intero assetto delle catene di rifornimento (supply chains) globali. Panama – non a caso l’altro nome citato nelle prime uscite di Donald Trump – per l’effetto combinato della siccità causata dal riscaldamento globale e di El Niño, nel corso dell’ultima metà del 2023 e proseguita fino ai primi mesi del 2024, ha dovuto ridurre quasi del 40 percento i transiti giornalieri di navi da 36 fino a 22. Molti vettori hanno così dovuto o preferito far circumnavigare alle proprie flotte l’America meridionale, con un aumento considerevole dei tempi e dei costi.

La crisi di Panama stava quindi facendo pendere il piatto della bilancia a favore dell’altra rotta tra Asia e America, quella attraverso l’Oceano Indiano e il canale di Suez. Senonché, l’offensiva dei ribelli Houti sui convogli che attraversano lo stretto di Bab el-Mandeb, che immette nel mar Rosso, ha contemporaneamente ridotto anche la normale navigazione attraverso Suez.

La tempesta perfetta che si è scatenata nel 2024 sui trasporti globali rischia di ripresentarsi e di rendere endemico lo stato di emergenza nei trasporti marittimi oceanici: choke points come lo stretto di Malacca, il Bosforo (come si è visto per la guerra russo-ucrainica) o il mare di Taiwan possono in qualsiasi momento chiudersi, mandando in tilt le catene globali di valore e aprendo di conseguenza scenari di crisi totale per l’economia della globalizzazione.

 

 

La calotta polare artica è un’area galleggiante in continua mutazione, fondamentale per il sistema climatico del nostro Pianeta. La sua estensione e il suo posizionamento variano in base alle stagioni e alle correnti marine, come anche per effetto dei cambiamenti climatici globali

 

 

Il Codice polare del 2017

La navigazione lungo le rotte artiche ricade in un sistema di accordi internazionali che ha il nome di Codice Polare, che è entrato in vigore il 1° gennaio 2017 e che riguarda la progettazione, la costruzione e l’equipaggiamento delle navi, nonché la protezione dell’ambiente e degli ecosistemi unici delle regioni polari. La categoria di navi che più frequentemente solca il Mar Glaciale Artico è ancora quella dei pescherecci, soprattutto quelli che operano con metodi diversi dalla pesca a strascico, che è spesso impossibile a causa del ghiaccio: nel 2024 sono stati il 38 percento delle imbarcazioni che vi si sono addentrate (nel 2013 erano il 43 percento). Ma tutte le categorie di imbarcazioni segnano un costante rialzo, compresi i Ro-Ro e le navi portacontainer, sebbene su numeri contenuti, che normalmente hanno dimensioni superiori e la cui navigazione nelle acque spesso ghiacciate rappresenta una sfida tecnologica.

 

Nel complesso, considerando ogni nave che può aver percorso anche più viaggi una sola volta (unique ships) l’Arctic Ship Traffic Data (ASTD) System ha registrato, per il 2024, 1781 navi che hanno solcato le fredde acque dell’Artico, con un aumento del 37 percento negli ultimi dodici anni. La crescita appare ancora più consistente se si considera la “distanza navigata” (distance sailed), che è cresciuta del 108 percento nello stesso periodo, raggiungendo oltre 12,7 milioni di miglia nautiche. Non estranea a questa crescita è l’espansione della navigazione di crociera, che riserva esperienze e itinerari unici ad una clientela di alta gamma.

 

Molte delle potenzialità della navigazione sotto il Codice Polare sono poi collegate alla possibilità di sfruttare le risorse estrattive presenti al di sopra del Circolo polare artico. Esemplare a tale riguardo è il caso del Mary River Project, una miniera di minerale di ferro a cielo aperto nell’area di Mary River, sull’Isola di Baffin, in Canada. Si tratta di una delle miniere a cielo aperto più settentrionali del globo, e che dal 2014, quando è stata messa in funzione, ha prodotto una quantità considerevole di materiale ferroso puro al 65-70 percento. Dalla miniera, contro la cui espansione hanno cominciato a manifestare le locali popolazioni inuit, nelle stagioni in cui la navigazione è libera, hanno cominciato a partire un numero impressionante di portarinfuse, dirette, attraverso la baia di Baffin e lo stretto di Davis, agli impianti di trasformazione nordamericani.

 

Ma la vera protagonista dell’avanzata dei trasporti marittimi nell’Artico, e colei che potenzialmente può essere maggiormente interessata allo sfruttamento di questo mare, è la Cina. La Repubblica Popolare Cinese non siede nel Consiglio Artico, dove ha tuttavia ha un ruolo preminente la Federazione Russa con cui, come è noto, i rapporti si sono fatti negli ultimi anni più stretti. Che l’alleanza russo-cinese abbia come uno degli obiettivi la navigazione delle navi battenti bandiera rossa sull’Artico non è una speculazione ma una realtà, come testimonia uno dei progetti a corollario della Belt and Road Initiative, la Polar Silk Route.

 

Basata sul principio che l’Oceano polare non debba essere appannaggio dei soli Stati rivieraschi, la Via della Seta Artica (lanciata nel 2018) punta proprio sulla NSR come alternativa per proteggersi contro l’eventualità che lo stretto di Malacca possa, per qualsiasi motivo, bloccarsi. Attraverso questo passaggio transita infatti il 60 percento circa delle importazioni cinesi di petrolio e gas proveniente dal Medio Oriente. 

 

Dal 2013 la Cina ha così dispiegato due navi rompighiaccio operative nell’Artico, la Xue Long (Snow Dragon) e la Xue Long 2, per compiere indagini scientifiche utili alla navigazione, è entrata in varie imprese di estrazione mineraria in collaborazione con la Russia, con particolare attenzione alle terre rare, che costituiscono ormai una risorsa-chiave per le industrie tecnologicamente più avanzate. Nel 2023 la Cina ha dato quindi vita a una sorta di primo servizio regolare di trasporti di container tra Asia ed Europa attraverso l’Artico, effettuando ben sette transiti lungo questa rotta. Nel 2024 i viaggi regolari sono saliti a 14 per circa 150.000 tonnellate di merci, contribuendo dunque in maniera determinante all’avvio di questa “corsa all’Artico” che sembra alle porte.

 

Da oceano marginale che gli ambientalisti sognavano come destinato alla ricerca e alla conservazione di un ecosistema unico, l’Artico si sta trasformando in una pedina cruciale dello sviluppo dei trasporti globali nell’età del cambiamento climatico.