Le chiavi del futuro

L'Artico è sempre più al centro della competizione globale, tra sfruttamento delle risorse, nuove rotte commerciali e strategie militari. Stati Uniti, Russia e Cina rafforzano la loro presenza in una regione particolarmente strategica per gli equilibri MONDIALI
L'Artico è sempre più al centro della competizione globale, tra sfruttamento delle risorse, nuove rotte commerciali e strategie militari. Stati Uniti, Russia e Cina rafforzano la loro presenza in una regione particolarmente strategica per gli equilibri MONDIALI
di Rita Lofano

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estinazione estremo nord. Allora si chiamava Barrow (dal 2016 è tornata al suo nome originario Utqiagvic), l’insediamento più settentrionale degli Stati Uniti, in Alaska, a 320 miglia dal Circolo artico, dove vivono 4.000 abitanti di cui il 60 percento nativi inuipiat. Per due mesi l’anno è buio polare e da maggio ad agosto non cala mai la notte.

Era dicembre del 2010 e il termometro segnava -20 °C. Il mio mandato era quello di scrivere un reportage sull’energia nella terra dei ghiacci, raccontare la vita dei lavoratori negli impianti di Prudhoe Bay, raccogliere storie sul Trans-Alaska Pipeline (TAPS), l’oleodotto che taglia da Nord a Sud lo Stato e che ha segnato un’epoca di sviluppo. Ho scoperto un mosaico molto più complesso e stratificato, un territorio ricco di contrasti forti, collaborazioni inaspettate, terreno di sfida per le potenze globali. Da un lato, ad esempio, l’industria petrolifera che ha trasformato l’Artico in un motore economico (non c’è famiglia di alaskano che non abbia contribuito alla costruzione del TAPS, mi raccontò l’allora sindaco di Anchorage Dan Sullivan), dall’altro, una popolazione antica e resiliente, gli inuit, custodi di tradizioni millenarie in un territorio dove la natura regna sovrana. Hanno saputo convivere con lo sfruttamento delle risorse, traendone in parte beneficio. Le strade di ghiaccio (le uniche autostrade del nord dell’Alaska, percorribili solo nella stagione fredda), sono una storia di successo, di coinvolgimento attivo delle comunità locali che si sono organizzate in consorzi per realizzarle.

 

 

 

 

Mentre nuove sfide geopolitiche si affacciano sull’Artico, il presidente americano Donald Trump ha formalmente annunciato l’espansione delle trivellazioni in Alaska e il rilancio del progetto di costruzione di un mega gasdotto lungo 800 miglia. Ha precisato che “sarà la pipeline tra le più grandi del mondo”, costerà 44 miliardi di dollari, entrerà in funzione dal 2031, trasporterà 3,3 miliardi di metri cubi di gas al giorno dal North Slope alle comunità locali e verso un terminale per l’export di GNL a sud di Anchorage. Taiwan, che dipende interamente dall’import per soddisfare la sua domanda di gas (e che è il più grande produttore al mondo di semiconduttori), ha già firmato una lettera d’intenti per l’adesione al progetto. Corea del Sud, Giappone e Filippine hanno manifestato interesse. Trump vuole aprire nuove rotte verso l’Asia e investire in un avamposto strategico, l’Artico. In questo contesto, la Groenlandia rappresenta un tassello cruciale.

 

È il punto nevralgico per il controllo delle rotte marittime settentrionali, sempre più navigabili a causa dello scioglimento dei ghiacci. Gli USA già possiedono un’importante base militare sull’isola dai tempi della Secondo Guerra mondiale, la Pituffik Space Base (prima nota come Thule Air Base), un pilastro della difesa missilistica e della sorveglianza radar. La rotta più breve per i missili o gli aerei russi verso gli Stati Uniti (e viceversa) passa proprio sopra l’oceano Artico, pattugliato anche da molti sottomarini. Come certifica l’Artic Institute, negli ultimi anni Mosca e Pechino hanno rafforzato la loro presenza militare nell’area. La Russia ha riaperto e modernizzato le sue grandi basi e gli aeroporti che erano stati quasi abbandonati, la Cina sta investendo pesantemente nell’esplorazione e nella ricerca polare. E se le mire di Trump sulla Groenlandia sono apparse assurde (“Se lo vorrete sarete i benvenuti negli States”), il ministro degli Esteri danese Lars Lokke Rasmussen, lo scorso gennaio si è detto “pronto a discutere con Washington del suo legittimo interesse nella regione, dove la Russia si arma e la Cina manifesta una presenza crescente”. La Groenlandia è al centro degli interessi delle grandi potenze e l’America non intende restare a guardare. Trump ha colto un punto fondamentale: chi controllerà l’Artico avrà in mano una delle chiavi del futuro.