Far risorgere la potenza marittima a stelle e strisce
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li Stati Uniti stanno finalmente prendendo coscienza della vulnerabilità geoeconomica che deriva loro dalla cessione alla Cina del predominio sui trasporti marittimi. Da decenni ormai l’Occidente trascura l’importanza strategica della flotta mercantile mondiale, navi cisterna comprese, negligenza che ha consentito alla Cina di assurgere al predominio di infrastrutture, logistica e rotte marittime. Oggi la Cina è il maggior costruttore navale e il maggior armatore del mondo, governa gli accessi ai porti attraverso i principali punti di strozzatura, definisce gli standard marittimi e controlla le attività logistiche d’importanza critica. Tale vantaggio competitivo, ben pianificato, conferisce a Pechino un’enorme influenza non solo sulle filiere di approvvigionamento mondiali ma anche sui flussi energetici e sulla logistica in tempo di guerra. Oggi gli USA sono il maggior esportatore marittimo del mondo ed è fondamentale che Washington si muova celermente per recuperare un po’ di influenza, anche se si tratta di un iter lungo e dispendioso.
In questo tempo di guerre, dispute commerciali, crisi di domanda e offerta e interruzioni delle filiere di approvvigionamento, il controllo sulla flotta commerciale potrebbe essere strumentalizzato fino a diventare un’arma. Il commercio è sotto il controllo di chi possiede le navi. L’eccessiva dipendenza dell’Occidente dalle navi di costruzione e proprietà cinese potrebbe presto tradursi in un handicap. L’uso del trasporto marittimo come arma, cioè la sua weaponization, avrebbe ripercussioni sui mercati e sui prezzi, con conseguenze immediate per la sicurezza nazionale e la stabilità economica, soprattutto nel caso delle materie prime energetiche, quali il gas naturale liquefatto (GNL).
Consapevole di tale rischio, l’amministrazione Trump ha elevato il trasporto marittimo a priorità strategica. Sono almeno tre gli ordini esecutivi che indicano la sicurezza marittima e la cantieristica navale come interessi fondamentali per la nazione. La vision è ambiziosa e non può essere realizzata da un giorno all’altro, ma la direzione strategica è ben definita e chiara. In collaborazione con partner stranieri capaci, i decisori politici statunitensi sono impegnati nel gettare le basi per la ricostituzione, sul lungo termine, della capacità sovrana degli USA nella cantieristica navale e nella logistica marittima e nel garantire la libertà di navigazione in tutto il mondo.
Stati Uniti e Cina sono in competizione anche per le infrastrutture fisiche essenziali al commercio mondiale, cioè le navi. Circa l’80 percento del commercio mondiale (in termini di volume) si muove via mare, eppure, sono solo 80 le navi per il commercio internazionale che battono bandiera statunitense, mentre la Cina ne vanta più di 5.500. Lo squilibrio è più marcato in segmenti quali quello del GNL: a oggi vi è una sola metaniera con bandiera statunitense, equipaggio statunitense e di proprietà statunitense. Si tratta della American Energy, ribattezzata nel 2024 per trasportare GNL statunitense a Puerto Rico.
Pechino ha metodicamente conquistato quote di mercato nella cantieristica navale, superando di recente Corea del Sud e Giappone. La maggioranza delle navi del mondo nasce nei cantieri cinesi; attualmente, al primo posto nella costruzione di metaniere c’è la Corea del Sud (con circa il 70 percento per i nuovi ordini), ma la Cina punta a recuperare terreno. Le esportazioni di GNL sono oggi un pilastro centrale della politica energetica e commerciale degli USA, ma dipendono da navi che sono per lo più di proprietà straniera, battono bandiera straniera e hanno equipaggio straniero: in caso di crisi geopolitica, queste navi potrebbero essere richiamate o dirottate e vedersi negare del tutto l’accesso in porto.
Ad alleati quali la Corea del Sud non è sfuggito che gli USA stanno investendo capitale politico nella reindustrializzazione marittima. Nel discorso sullo Stato dell’Unione del 2025, il presidente Trump ha dichiarato in modo inequivocabile: “Per dare impulso alla base industriale della difesa degli Stati Uniti, dobbiamo anche far risorgere l’industria navale del nostro paese, compresa la cantieristica commerciale e quella militare”.
L’incarnazione legislativa di questa vision è il SHIPS for America Act, proposta di legge per un programma di incentivi finanziari per la cantieristica navale volto a rivitalizzare il settore navale statunitense. Il programma renderebbe disponibili sovvenzioni, crediti d’imposta e altri strumenti per sostenere la costruzione, il potenziamento e la ricostruzione di navi d’alto mare nei cantieri navali nazionali.
Inoltre, l’Office of the United States Trade Representative (USTR, Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti) sta lavorando per una politica che imponga che almeno l’1 percento delle esportazioni di GNL degli Stati Uniti viaggi su navi battenti bandiera statunitense e operata dagli Stati Uniti. Per quanto l’USTR abbia rimosso la scadenza iniziale del 2029, ritenuta non realistica dagli stakeholder, tutto ciò è comunque un segnale commerciale che invita a investire nella capacità di trasporto di GNL degli Stati Uniti.
La strada da percorrere non sarà facile
La costruzione di nuovi cantieri per la realizzazione di navi cisterna per GNL necessiterebbe di ingenti investimenti in beni strumentali, di orizzonti temporali pluriennali e di un consistente sostegno da parte del governo. A essere realisti, serviranno un mix di sostegno legislativo (sovvenzioni, sussidi, garanzie sugli appalti) e una stretta collaborazione con alleati che già dispongano del know-how tecnico, come Corea e Giappone.Gli stakeholder del settore hanno le idee chiare. Un dirigente ha giustamente dichiarato: “Non potremo costruire una metaniera statunitense con componenti al 100 percento statunitensi, non è realistico”. Realistico è invece adottare una soluzione ibrida: lavorare con alleati fidati e capaci per co-produrre navi, istruendo al contempo i politici statunitensi circa la pista tecnologica e finanziaria. Se il governo fornisce questa pista, il settore privato probabilmente risponderà.
Sebbene gli Stati Uniti non dispongano dell’intera filiera necessaria per costruire una nave metaniera utilizzando esclusivamente componenti di produzione nazionale, un approccio ibrido—importando le componenti critiche e al contempo realizzando gli scafi e integrando i sistemi nei cantieri navali statunitensi—potrebbe gettare le basi per il rinnovo della loro flotta di metaniere.
Il controllo delle navi è un aspetto della potenza marittima. Garantire la sicurezza delle rotte ne è un aspetto di pari valore strategico. La Cina è presente nelle infrastrutture portuali di tutto il mondo, principalmente per il tramite di società statali come COSCO e CMPort, il che le dà accesso privilegiato a più di 80 terminal in tutto il mondo, alcuni dei quali in colli di bottiglia strategici come il Canale di Panama e il Canale di Suez. Ne consegue che, anche senza un confronto militare, la Cina potrebbe interrompere i flussi commerciali mondiali semplicemente facendo leva sulla propria impronta commerciale.
Il Canale di Panama è diventato il simbolo degli Stati Uniti che riaffermano la propria sicurezza nazionale garantendo un accesso privo di ostacoli a porti e rotte marittime strategici. La Cina ha stabilito punti d’appoggio strategici nell’ecosistema portuale e logistico di Panama acquisendo partecipazioni in terminal chiave come il Colón Container Terminal (tramite CMPort) e grazie all’acquisizione del controllo nel lungo termine dei porti Balboa e Cristóbal da parte di Hutchison Ports, operatore di Hong Kong che vanta stretti legami con Pechino. Questi punti d’appoggio consentono alla Cina un potere d’influenza sugli accessi in prossimità dei due ingressi del Canale di Panama.
A Washington tale situazione non è passata inosservata
Gli USA hanno chiarito che intendono salvaguardare la sicurezza e la sovranità del transito nel Canale di Panama, per motivi sia commerciali sia militari. Uno degli sviluppi critici seguiti alle forti pressioni diplomatiche esercitate dagli USA dalla fine del 2024 è stata, a inizio febbraio, la decisione di Panama di ritirarsi ufficialmente dalla Belt and Road Initiative (BRI, La Nuova via della seta). Tale decisione ha segnato una svolta nelle relazioni bilaterali tra USA e Cina, che negli ultimi anni erano state contrassegnate da importanti collaborazioni in campo economico e infrastrutturale.
Altra vittoria per la Casa Bianca è l’approvazione (a lungo ritardata), da parte del governo panamense, del progetto del bacino di riserva idrica di Rio Indio, per 1,6 miliardi di dollari, il cui completamento è atteso per il 2032. Il bacino non solo consentirà di far fronte alle gravi carenze idriche che possono limitare il transito nel canale, ma assicurerà anche la continuità strategica dei flussi di merci, in particolare del GNL statunitense. Dati gli enormi colli di bottiglia verificatisi, nel 2024 il 94 percento del GNL statunitense destinato all’Asia è transitato per Capo di Buona Speranza anziché per il Canale di Panama.
Nel 2024-2025 un’altra importante perturbazione delle rotte marittime si è avuta nel Mar Rosso, quando gli USA hanno dovuto tornare a fare il poliziotto del mondo. Negli ultimi 18 mesi, la flotta navale dell’Occidente, e in essa soprattutto le navi cisterna che portano il GNL statunitense in Asia, ha preferito evitare lo stretto di El-Mandeb e deviare per Capo di Buona Speranza. Nel frattempo, il commercio di petrolio con Russia, Cina e Iran ha continuato a utilizzare questa rotta, rivelando tacite alleanze, cooperazione nell’intelligence e accordi poco trasparenti. Dopo un approccio difensivo, a fine 2024 gli USA sono passati a una posizione militare più assertiva volta a scoraggiare gli attacchi degli Houthi (sostenuti dall’Iran) alle navi commerciali, con l’obiettivo di ripristinare la libertà di navigazione. All’inizio del 2025, gli USA hanno utilizzato i bombardieri stealth B-2 contro obiettivi Houthi nello Yemen: si è trattato anche di un messaggio a Teheran. Il mercato del GNL si è adattato e ha preso a evitare questa rotta strategica, ma ciò si è infine tradotto in un aumento di costi e inflazione.
Gli Houthi potrebbero essere uno degli ultimi proxy iraniani che ancora resiste, ma sembra che il cessate il fuoco tra USA e Houthi del 6 maggio, unitamente alla dimostrazione della superiorità aerea e spionistica d’Israele, sia stato efficace nel dissuadere il gruppo dal venire in soccorso dell'Iran durante i 12 giorni della recente guerra tra Iran e Israele. Forse è ancora presto per dirlo, ma comincia a sembrare meno remota l’ipotesi di una riapertura della rotta del Mar Rosso prima della fine del 2025.
Quando gli USA riaffermano la propria deterrenza, alleati e avversari ne prendono atto. Pechino osserva ciò che gli USA fanno in altre regioni per capire se s’impegneranno a mantenere aperto il Mar Cinese Meridionale. Le operazioni di sicurezza marittima non riguardano solo la protezione del carico ma anche la credibilità del potere degli USA e la competitività delle esportazioni statunitensi in Asia.
L’aumento della capacità marittima della Cina potrebbe anche dare al paese maggior influenza nella definizione degli standard del settore. Pechino non si limita a esportare navi: ha infatti anche il potenziale per definire i parametri di riferimento mondiali per il trasporto marittimo decarbonizzato, come l’adozione di motori alimentati a GNL, metanolo o ammoniaca, celle a combustibile a idrogeno, propulsione elettrica a batteria e logistica digitalizzata. Ciò dà alla Cina un vantaggio in termini di soft power, perché i paesi che dipendono dai costruttori navali cinesi potrebbero trovarsi indirettamente vincolati alle norme e alle tecnologie cinesi.
Gli USA non possono permettere alla Cina di dettare unilateralmente tali standard
Il rilancio della cantieristica statunitense è anche un’occasione per fare un salto di qualità nella tecnologia verde. Allineandosi con Corea e Giappone, paesi che dispongono di sistemi di propulsione e di una pipeline di ricerca e sviluppo all'avanguardia, gli USA potrebbero costituire una coalizione di potenze marittime che la pensano allo stesso modo, per stabilire standard alternativi che bilancino la decarbonizzazione con la sicurezza e l’affidabilità.
La Cina ha costruito il proprio predominio marittimo nel corso degli ultimi vent’anni grazie a una politica industriale di successo guidata dal governo: la situazione non cambierà da un giorno all’altro. Tuttavia, la pazienza strategica combinata con l’urgenza di agire può rivoluzionare il campo di gioco.
Significa investire nei cantieri navali statunitensi, non per un esercizio nostalgico bensì come imperativo di sicurezza nazionale. Significa mettere in sicurezza punti di strozzatura come il Canale di Panama e affermare la propria presenza su rotte marittime contese come il Mar Cinese Meridionale. Significa inoltre stabilire le regole per la prossima fase della decarbonizzazione marittima, assicurando che l’energia statunitense possa solcare i mari libera da condizioni e condizionamenti stranieri. Perché gli Stati Uniti possano davvero riaffermare la propria presenza sovrana negli oceani serve una forte determinazione politica.