Emissioni un focus strategico crescente

Il Sud-est asiatico è destinato a incrementare le importazioni di gas per consolidare la propria sicurezza energetica e garantirne l’accessibilità. In parallelo l’allineamento con gli standard globali climatici è una leva d’azione chiave che offre rapidi benefici economici, ambientali ed energetici
Il Sud-est asiatico è destinato a incrementare le importazioni di gas per consolidare la propria sicurezza energetica e garantirne l’accessibilità. In parallelo l’allineamento con gli standard globali climatici è una leva d’azione chiave che offre rapidi benefici economici, ambientali ed energetici
di Pier Paolo Raimondi

I

l Sud-est asiatico si è affermato come un polo cruciale per la domanda di gas naturale. Negli ultimi decenni, il gas ha giocato un ruolo fondamentale nel soddisfare il fabbisogno energetico della regione, con un picco di crescita soprattutto tra il 2000 e il 2010: in quel periodo, la domanda era prevalentemente trainata da nazioni chiave quali Thailandia, Indonesia, Vietnam, Malesia e Singapore.

 

 

A partire dal 2014, tuttavia, la crescita della pipeline del gas ha subìto un rallentamento, in parte dovuto alla perdita di competitività nei confronti del carbone e, successivamente, delle energie rinnovabili, senza contare lo stallo della produzione nazionale. Nonostante ciò, il gas naturale è destinato a mantenere una posizione strategica, spinto dalla necessità di sostituire la generazione elettrica a carbone e dalla crescita economica e demografica. Sebbene alcune nazioni stiano rivolgendo l’attenzione alla produzione interna, importare gas si rivelerà indispensabile. In questo scenario, si prevede che il Sud-est asiatico diventerà un importatore netto di gas entro il 2030; nello specifico, le importazioni di GNL sono destinate a guadagnare sempre più quota di mercato nei mix energetici nazionali e regionali – trend favorito anche dal previsto eccesso di offerta sui mercati globali del GNL nel prossimo futuro, che dovrebbe portare a un ribasso dei prezzi del combustibile.

 

 

La presenza del GNL dal 2010 in poi

 

Il GNL non è una novità nel panorama energetico regionale, dato che la sua presenza risale ai primi anni 2010: la Thailandia ha aperto la strada importando GNL nel 2011, seguita da Singapore e Malesia (2013), Pakistan e Indonesia (2014), Bangladesh (2018) e Myanmar (2020). Anche le Filippine e il Vietnam sono entrati in questo mercato nel 2024, attivando i primi terminali nel 2023. Se da un lato il gas naturale è in grado di garantire la sicurezza energetica e soddisfare in maniera sostenibile il fabbisogno contribuendo nel breve termine alla riduzione delle emissioni, dall’altro i paesi della regione devono confrontarsi con la dimensione ambientale legata alle emissioni di metano. Il metano è infatti classificato come un super-inquinante il cui potenziale di riscaldamento nell’arco di 20 anni è oltre 80 volte superiore a quello dell’anidride carbonica (CO2); inoltre, è il secondo maggiore responsabile del cambiamento climatico dopo la CO2.

 

 

Un canale nella provincia di Ca Mau, in Vietnam. Il GNL non è una novità nel panorama energetico del Sud-est asiatico. La Thailandia ha aperto la strada importando GNL nel 2011, seguita da Singapore e Malesia (2013), Pakistan e Indonesia (2014), Bangladesh (2018) e Myanmar (2020). Gli ultimi a entrare in questo mercato sono stati le Filippine e il Vietnam, nel 2024, attivando i primi terminali nel 2023

 

 

Questo sviluppo del mercato deve necessariamente allinearsi con le dinamiche politiche in atto. La quasi totalità dei paesi del Sud-est asiatico si è formalmente impegnata nella transizione climatica, fissando obiettivi di zero emissioni nette entro la metà del secolo. Nello specifico, Brunei, Cambogia, Laos, Malesia, Singapore e Vietnam puntano a raggiungere il traguardo entro il 2050, mentre l’Indonesia si pone tale obiettivo per il 2060 e la Thailandia per il 2065. A livello globale, i responsabili politici hanno progressivamente ampliato il proprio focus andando oltre la tradizionale anidride carbonica e iniziando a dare priorità alla gestione delle emissioni di metano. Una svolta cruciale in tal senso è avvenuta in occasione della COP26 di Glasgow con il lancio del Global Methane Pledge da parte dell’UE, degli Stati Uniti e di oltre un centinaio di altri paesi, accomunati dall’impegno di ridurre le emissioni globali di metano di almeno il 30 percento entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2020) – un intervento vitale per restare in linea con l’obiettivo di 1,5°C. La disponibilità tecnologica e i costi relativamente contenuti rappresentano ulteriori argomentazioni a favore di un’azione concreta: affrontando le emissioni di metano, i paesi possono conseguire nel breve termine importanti benefici energetici, economici e ambientali. Attraverso la cattura delle emissioni di metano disperse, governi e compagnie hanno l’opportunità di contrastare il riscaldamento globale in modo economicamente vantaggioso, aumentare la liquidità del mercato (abbassando i prezzi) e infine migliorare la sicurezza energetica.

 

 

La riduzione delle emissioni di metano: un campo di battaglia strategico

 

Per gli esportatori di GNL, il contenimento delle emissioni di metano può rapidamente diventare un nuovo campo di battaglia strategico per la competizione su futuri acquirenti e contratti, data la crescente pressione politica globale per la riduzione delle emissioni. In questo scenario, i due maggiori attori del mercato, Qatar e Stati Uniti, si preparano a trainare la prossima ondata di capacità produttiva di GNL mostrando approcci divergenti: nel primo caso, la compagnia petrolifera nazionale vanta già uno dei tassi di intensità di carbonio più bassi al mondo nelle sue filiere del GNL. Non solo il paese si è impegnato a tagliare del 35 percento l’intensità di carbonio nei suoi impianti di GNL entro il 2035, ma mira anche a ridurre tale intensità di almeno il 25 percento negli impianti upstream entro il 2025, con l’obiettivo di raggiungere un’intensità di metano dello 0,2 percento entro lo stesso anno.

 

 

Il Secondo ponte di Penang, che collega l’isola alla terraferma della Malesia. La quasi totalità dei paesi del Sud-est asiatico si è formalmente impegnata nella transizione climatica. Nello specifico, Brunei, Cambogia, Laos, Malesia, Singapore e Vietnam puntano a raggiungere il traguardo entro il 2050, mentre l’Indonesia si pone tale obiettivo per il 2060 e la Thailandia per il 2065

 

 

Di contro, nel secondo caso la seconda amministrazione Trump ha adottato una linea più rigida sulla regolamentazione climatica, in particolare riguardo alle emissioni di metano: in questo nuovo scenario politico, nel marzo 2025 l’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti (EPA) ha annunciato la più grande azione di deregolamentazione nella storia del paese - mossa che ha annullato le misure introdotte dall’amministrazione precedente, comprese quelle relative alle emissioni di metano prodotte dall’industria petrolifera e del gas. Nonostante l’arretramento normativo, alcune grandi compagnie statunitensi mantengono l’impegno strategico nella riduzione delle emissioni di metano, da leggersi come scelta in gran parte dettata dagli sviluppi che emergono dalle principali regioni importatrici.

Di fatto, le emissioni di metano sono già finite sotto la lente d’ingrandimento dei maggiori importatori di GNL

L’Unione Europea ha adottato il c.d. “Regolamento sul metano”, entrato in vigore nel 2024, il primo nel suo genere a imporre standard rigorosi non solo ai produttori interni, ma anche alle importazioni. Il regolamento stabilisce un calendario inequivocabile (2025-2030) che obbliga gli importatori a dimostrare e comunicare, attraverso un approccio graduale, le loro misurazioni MRV (Monitoring, Reporting and Verification) e l’intensità di metano del prodotto. Parallelamente agli sforzi europei, due storici importatori asiatici di GNL, il Giappone e la Corea del Sud, hanno lanciato la “Coalition for LNG Emissions Abatement toward Net-Zero” (CLEAN), che punta a ridurre le emissioni di metano lungo l’intera catena del valore del GNL.

 

A livello regionale, sei paesi dell’ASEAN hanno aderito al Global Methane Pledge. Le emissioni di metano derivanti dai combustibili fossili nella regione si dividono equamente: metà proviene dalle miniere di carbone e l’altra metà dal settore petrolifero e del gas; in quest’ultimo comparto, le emissioni sono concentrate principalmente nei maggiori produttori regionali, vale a dire Indonesia, Malesia e Thailandia. Ciò nonostante, il Sud-Est asiatico è proattivo sul tema: diversi paesi della regione (Cambogia, Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore e Vietnam) hanno sottoscritto il Global Methane Pledge, formalizzando il loro impegno ad affrontare la questione delle emissioni di metano. Pur non aderendo al Pledge, la Thailandia ha individuato opportunità di riduzione concrete, come la minimizzazione delle emissioni fuggitive derivanti dalle attività petrolifere e di gas. Per converso, Bangladesh e Vietnam hanno già sviluppato obiettivi quantificati di riduzione delle emissioni di metano: il Vietnam ha presentato il Methane Action Plan 2030, che non solo promuove il monitoraggio e la rendicontazione delle emissioni, ma incoraggia anche gli investimenti nel rilevamento delle perdite e nelle riparazioni, oltre che nella raccolta della produzione di gas associato. Anche l’Indonesia promuove un maggiore utilizzo del gas associato, mentre il Bangladesh punta a mitigare le emissioni di metano attraverso la riduzione delle perdite e il recupero del gas associato che altrimenti verrebbe disperso.

 

 

Gli impegni delle compagnie petrolifere per ridurre le emissioni

 

L’impegno e gli sforzi per ridurre le emissioni non si limitano ai governi: molte compagnie petrolifere nazionali della regione, come l’indonesiana Pertamina, la thailandese PTTEP e la malese PETRONAS, hanno intensificato le proprie strategie fissando obiettivi di riduzione del metano, sia in autonomia sia tramite collaborazioni. Per esempio, PETRONAS è stata la prima compagnia petrolifera e del gas asiatica a fissare un obiettivo zero emissioni nette verso la fine del 2020 e ha successivamente articolato la propria visione climatica coinvolgendo attivamente altre NOC della regione. Inoltre, diverse compagnie ASEAN fanno già parte di charter internazionali fondamentali come l’Oil and Gas Decarbonization Charter (OGDC) e l’UNEP Oil and Gas Methane Partnership 2.0 (OGMP 2.0). Come se non bastasse, stanno emergendo iniziative regionali strategiche, come nel caso dell’ASEAN Energy Sector Methane Leadership Program (MLP), nato dalla collaborazione tra PETRONAS, Pertamina e PTTEP e culminato nella prima ASEAN Energy Sector Methane Roundtable nell’ottobre 2021. Promossa dall’ASEAN, l’iniziativa mira ad affrontare il problema delle emissioni nel settore petrolifero e del gas regionale, spingendo gli attori ad adottare e implementare le migliori pratiche di settore. Il programma include le principali compagnie petrolifere e del gas nazionali – tra cui Pertamina, PETRONAS, PTTEP e PetroVietnam Exploration Production Corporation – che sono collettivamente responsabili di circa il 90 percento delle emissioni regionali legate a petrolio e gas. Collabora inoltre con partner regionali e internazionali come l’ASEAN Council on Petroleum e l’ASEAN Centre for Energy (ACE).

 

L’MLP sta procedendo con un approccio graduale e strutturato: la prima fase, denominata ASEAN MLP 1.0, è stata inaugurata in occasione della Energy Asia Conference nel giugno 2023; tale programma, durato 15 mesi (da giugno 2023 a ottobre 2024), è servito a creare una piattaforma cruciale per la collaborazione, il dialogo e il networking. L’obiettivo primario era la condivisione di conoscenze, l’allineamento degli sforzi e la prevenzione di duplicazioni tra i partner regionali e internazionali. Il gruppo ha inoltre visto la partecipazione di JOGMEC. Visti i risultati positivi, i membri hanno deciso di lanciare una seconda fase, denominata ASEAN MLP 2.0, consistente in un programma di 18 mesi (da ottobre 2024 a marzo 2026) che coinvolge fino a 18 membri, tra cui il Ministero giapponese dell’Economia, del Commercio e dell’Industria (METI). L’obiettivo di questa nuova fase è quello di capitalizzare la base di conoscenze costruita con l’MLP 1.0 per giungere alla pianificazione e all’attuazione di politiche e azioni concrete di mitigazione del metano, in linea con il Global Methane Pledge. Infine, in occasione del lancio di MLP 2.0, JOGMEC e PETRONAS hanno annunciato una partnership strategica per creare il primo centro di valutazione tecnologica delle emissioni di metano della regione.

 

In sintesi, il Sud-est asiatico è destinato a incrementare le importazioni di gas per consolidare la propria sicurezza energetica e garantirne l’accessibilità. Parallelamente, le emissioni di metano sono ormai un focus strategico crescente per governi e compagnie della regione; questo allineamento con gli standard globali è considerato una leva d’azione chiave che offre rapidi benefici economici, ambientali ed energetici. Per sostenere questo duplice sforzo, è essenziale che vi sia collaborazione sinergica tra produttori e importatori.