Tutta in salita la prossima sessione sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite

La COP 30 aprirà i battenti tra poco a Belem, Brasile, alle porte della Foresta Amazzonica. I dossier difficili arriveranno sul tavolo presto ma le sessioni Onu sulla plastica di Ginevra hanno registrato una battuta d’arresto e al momento c’è perfino il problema degli alloggiamenti e dei luoghi di riunione degli oltre 50mila funzionari e diplomatici che saranno presenti.
La COP 30 aprirà i battenti tra poco a Belem, Brasile, alle porte della Foresta Amazzonica. I dossier difficili arriveranno sul tavolo presto ma le sessioni Onu sulla plastica di Ginevra hanno registrato una battuta d’arresto e al momento c’è perfino il problema degli alloggiamenti e dei luoghi di riunione degli oltre 50mila funzionari e diplomatici che saranno presenti.
di Roberto Di Giovan Paolo

Cop 30. Belem, Brasile. L'appuntamento delle Nazioni Unite inizierà il 10 Novembre e i segnali non sono certo buoni.
Si sapeva già che gli USA non parteciperanno perché Trump con ordine esecutivo si è cancellato dalla COP (ma non dalla convenzione quadro delle Nazioni Unite sul clima, che fu approvata dal Congresso e richiede quindi un voto anche del Congresso). In aggiunta Trump ha fatto un intervento al Palazzo di Vetro per l’ottantesimo anniversario dell’Onu in cui ha definito i temi del cambiamento climatico come una sorta di inganno generale. Fin qui piena coerenza, se non fosse che si è sperticato in lodi e abbracci con il Presidente brasiliano Lula e ha confermato dazi del cinquanta per cento al Brasile. Il fatto che gli USA non ci saranno evita forse maggiori complicazioni diplomatiche di quante non ce ne sarebbero dovendo interpretare la posizione ufficiale dell’amministrazione Trump, tra Presidenza, Dipartimento di Stato e Segretariato di Stato all’ambiente.

 

Il nodo della plastica


Che non sia un bel periodo di accordi non ce lo dice la constatazione della situazione geopolitica mondiale ma anche fatti concreti legati al settore dell’ambiente. Proprio alla fine di agosto scorso a Ginevra si è svolta la quinta sessione di quella che doveva essere la “roadmap” verso un accordo generale sostenuto dalle Nazioni Unite sull’uso responsabile della plastica nel mondo.
Ebbene, si è concluso con un nulla di fatto e un rinvio e un documento finale “ufficioso”, che elenca a scopo quasi didascalico tutte le tappe di un cammino iniziato nel 2022 e che verte su attenzione all’uso della ricerca, conservazione e riconversione delle aziende del settore, mitigazione degli effetti su montagne, oceani, fiumi e mari e si conclude bruscamente con la tipica frase dei diplomatici che maschera l’assenza di accordo: “to be defined”, da definirsi.   
Non essendo riusciti a trovare un compromesso per un trattato comune, essendoci una forte divisione tra Stati che chiedono obiettivi più ambiziosi fino al divieto di alcune plastiche e dei loro prodotti finiti e coloro che chiedono una strada meno onerosa economicamente e socialmente più comunicabile ai cittadini per un settore economico che è presente con i suoi prodotti di servizio praticamente in ogni branca dell’economia, si è scelto di prendere ancora tempo.


Accordo necessario


Le trattative continueranno ovviamente solo se tutti sono almeno d’accordo che si tratta di un argomento riguardante 460 milioni di tonnellate di materiali plastici prodotti nel mondo, di cui solo il nove per cento viene realmente riciclato e che comporta una spesa d’ inquinamento calcolata tra il 2016 e il 2040 di 281 triliardi, ovvero 281 miliardi di miliardo di dollari secondo i dati messi a disposizione dal World Economic Forum.
In ogni caso e previsioni economiche a parte non c’è dubbio che ci sia anche molto interesse imprenditoriale in campo, con aziende importanti che ormai non sono più semplici “start up”, impegnate a utilizzare sistemi di trasporto e riciclaggio in mari, oceani e fiumi, ovvero dove la maggior parte della plastica, soprattutto contenitori e bottiglie, si raggruppa in “isole” vaste che sono divenute ormai una conoscenza diretta e concreta di ogni nave mercantile d’alto mare, non solo da diporto lungo la costa.

 

Perso il valore di una COP a Belem?


Con questo viatico non proprio esaltante, il Presidente della COP 30, André Correa do Lago, un diplomatico di grande esperienza scelto da Lula alla fine del 2024, sta cercando di far svolgere molte riunioni preparatorie dei vari settori in cui si articolerà la COP 30. E negli ultimi mesi ha dovuto accelerare anche per motivi pratici e contingenti: la scelta di Belem, adiacente alla Foresta Amazzonica, il più noto polmone verde del pianeta, avrebbe dovuto avvicinare i circa 40-80mila delegati del mondo a una delle ragioni fondamentali del proprio impegno ambientale. Tuttavia, è proprio la scelta del luogo che sta dando origine a problemi organizzativi, non si sa quanto sormontabili.
Negli ultimi anni, infatti, il numero dei leaders presenti ai lavori delle COP è diminuito in misura proporzionale alle decisioni sempre più difficili e cogenti da prendere: un conto è approvare un Trattato, come fu a Parigi, che diveniva operativo solo dopo la firma della maggioranza dei Paesi e un altro è passare al vaglio le dichiarazioni dei singoli Stati e parametrarle a ciò che c’è scritto nel Trattato stesso, che chiede verifiche puntuali, come devono fare le COP successive a Parigi 2015. L’ entusiasmo è inevitabilmente calato. Di conseguenza anche la presenza di funzionari statali, che infatti l’anno scorso scesero a circa 60mila. Tuttavia, alloggiare 60 mila persone ai margini della foresta amazzonica non è impresa semplice considerando che servono alberghi ma anche sale riunioni, aree di incontro e di relax, insomma una vera e propria cittadella che oltretutto non può sbagliare nulla dal punto di vista della logica eco-friendly. Immaginiamo se venisse fuori che ci sono sprechi di acqua o di cibo o che venga deforestato un chilometro quadrato, per fare una zona relax per i diplomatici presenti.
Al momento il governo brasiliano ha prenotato tutti gli hotel presenti in zona, ha previsto l’uso di due navi da crociera come hotel e sale riunioni, e stretto accordi con privati mentre anche le scuole si preparano a divenire ostelli. Ma il fabbisogno sembra al di sotto delle richieste, se si considera che in forma ufficiosa è stato chiesto ad alcune delegazioni nazionali “minori” la disponibilità a ospitare funzionari e diplomatici in accomodamenti per due persone o più, ricevendo sdegnate risposte per il momento o silenzi egualmente pieni di significato.
Circa settanta paesi hanno confermato le loro prenotazioni, una sessantina stanno ancora scegliendo e negoziando, e cinquantasette Paesi non hanno ancora fatto ingresso nella scelta dei luoghi e l’accoglienza.  Al Presidente Correa do Lago non è rimasto che prendere carta e penna e scrivere per invocare “la creatività tipica dei diplomatici” per trovare una soluzione che permetta a tutti di esserci, discutere, negoziare e soprattutto trovare soluzioni.
Può darsi che la recente solenne celebrazione delle Nazioni Unite, con il suo strascico di commenti, analisi, confronto e recriminazioni, possa in realtà scaldare per bene i motori in vista della COP 30, ma non c’è dubbio che la strada resta in salita. Anche dal punto di vista organizzativo. Per Correa Do Lago resta la soddisfazione per la recentissima notizia, dei primi di settembre, che la produzione di energia da fonti solari ed eoliche brasiliana ha superato per la prima volta il trentaquattro per cento di tutta la produzione di energia del paese. Un buon viatico per l’apertura di Lula, certo, ma presto arriverà il momento di aprire i dossier più delicati del mondo.