L'inverno del gas di Davide Tabarelli 
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L'analisi

L'inverno del gas 

di Davide Tabarelli 

Dopo il ribasso a primavera 2022, i prezzi alti del gas, con ampie oscillazioni, diventeranno qualcosa a cui ci dovremo abituare, con mercati che faranno fatica ad essere efficienti nel dare indicazioni di lungo termine per gli investimenti 

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È

una crisi annunciata, inevitabile, che anticipa quello che accadrà in futuro con maggiore regolarità, che segnala i gravi errori fatti in passato sul quale sarebbe il caso di intervenire, ma su cui la politica tentenna.  I prezzi del gas e dell’elettricità in Europa sono esplosi a partire dall’estate del 2021, con variazioni che non è esagerato definire irrazionali, tali per cui si può addirittura affermare che i mercati abbiano fallito. Fa parte della confusione che ha investito l’economia globale nella sua faticosa uscita dalla pandemia e quanto accade nel gas riguarda anche altri settori, dai chips alla logistica, dal grano al legno, dal polistirolo all’acciaio. Ad inizio anno i prezzi del gas in Europa, il TTF (Title of Transfer Facility) dell’Olanda, erano a 20 euro per megawattora (MWh), mentre ad ottobre 2020 hanno toccato, dopo una salita vertiginosa, i 137 euro, picco da dove poi sono scesi verso gli 80 euro. È un’instabilità difficile da spiegare, che per intensità in qualsiasi mercato è indicativa di inefficienze profonde.  

 

la fotoGiacimento di PJSC Chayandinskoye, nella Siberia orientale

 

Problemi di scorte e impennate dei prezzi 

La ragione fondamentale del balzo è la scarsità di gas, in particolare quello proveniente dalla Russia, il nostro principale fornitore che nel 2019, prima della pandemia, ha venduto all’Unione europea il 38 percento dei consumi finali, 166 miliardi di metri cubi, un record che probabilmente verrà superato nel 2021. Questa scarsità si è manifestata nelle basse scorte con cui ci si è ritrovati ad inizio dell’inverno, quando gli stoccaggi cominciano a essere utilizzati per coprire l’impennata dei consumi stagionali per riscaldamento. Rispetto agli anni prima, le scorte complessive europee risultavano inferiori di circa un quinto, un 25 percento in meno che, anche se con una domanda in ripresa, non giustifica l’impennata di quasi cinque volte dei prezzi. La situazione delle scorte era piuttosto eterogenea fra i vari paesi, con livelli molto alti in Italia e in Francia, mentre quelle della Germania erano più basse, con uno scarto rispetto ai livelli normali del 30 percento.

A basse scorte si è arrivati prima di tutto per un inverno che è durato più a lungo del normale, in tutto l’emisfero nord, anche in Russia. Nel frattempo la domanda è stata in netta ripresa per il rimbalzo dell’economia e per il forte incremento dei consumi di elettricità. In molti paesi, e in particolare in Italia, l’elettricità si fa soprattutto con il gas, e gli impianti che lo usano sono quelli che vanno a formare i prezzi sui mercati all’ingrosso dell’elettricità. Pertanto i prezzi dell’elettricità sono stati segnati dagli stessi aumenti di quelli del gas con valori che sono passati da 50-60 euro per MWh ad inizio anno a picchi di quasi 300 euro ad ottobre 2021, mentre nelle successive settimane si sono stabilizzati sempre sopra i 200 euro.  

Una delle ragioni che ha spinto a maggiori consumi di gas, e alle tensioni dei prezzi, è stata la minore produzione, durante l’estate, di energia elettrica da eolico, in quanto tutto il nord Europa è stato segnato da un periodo di bassa ventosità. La domanda delle centrali elettriche a gas ha dovuto compensare la minore produzione da eolico, proprio mentre i consumi elettrici erano in ripresa. Minori disponibilità di gas dall’estero sono state dovute al fatto che i carichi di GNL (gas naturale liquefatto) sono stati dirottati prevalentemente verso l’Asia, dove anche lì la domanda è esplosa sia per la ripresa, ma anche per scarsità di carbone, soprattutto in Cina. Il calo della produzione di gas degli Stati Uniti, dopo la caduta dei prezzi del 2020, ha tagliato il numero di carichi in esportazione verso l’Europa.

A ciò si è aggiunta la continua contrazione della produzione interna dell’Europa, in particolare in quei paesi storicamente produttori, come l’Olanda e l’Italia. Il grande giacimento di Groninga sviluppato dagli anni ‘50 da Shell e Exxon è sostanzialmente in chiusura per problemi di microsismicità che hanno sollevato l’opposizione ambientale. In dieci anni la produzione olandese si è ridotta da 75 a 20 miliardi di metri cubi l’anno. In Italia, dove sono abbondanti le riserve, la produzione va verso l’azzeramento per opposizione politica ad ogni tipo di perforazione, sviluppo e ricerca.  Dal picco di 21 miliardi di metri cubi all’anno nel 1994, nel 2021 si produrranno 3 miliardi di metri cubi.  

 

la fotoÈ molto probabile che, anche nel 2022, i prezzi del gas subiranno oscillazioni, con mercati che faranno fatica ad essere efficienti nel dare indicazioni
 

 

I bassi volumi di importazione dalla Russia 

La responsabilità maggiore dello squilibrio fra offerta e domanda è dovuta alla non volontà, o, più preoccupante, all’incapacità, della Russia di mandare altri volumi verso l’Europa. Ciò si misura nei bassissimi livelli accumulati negli stoccaggi gestiti dalla sua società Gazprom in Germania e Austria. La Russia ha spiegato che tutti i contratti di lungo termine, solo in parte legati ai prezzi spot, sono stati pienamente rispettati e che, in alcuni casi i volumi sono stati addirittura aumentati. Altrettanto chiaro è che minori volumi sono stati mandati attraverso i gasdotti che passano in Ucraina, paese con il quale è in guerra dal 2014, ragione che ha portato l’Europa ad applicare pesanti sanzioni economiche contro Mosca. Importanza ha avuto anche il contenzioso circa le autorizzazioni all’avvio del nuovo gasdotto Nord Stream 2, quello parallelo alla prima linea, per ottenere le quali Mosca ha dovuto esercitare pressioni.

Tuttavia, non è nel suo interesse creare problemi all’Europa facendo esplodere i prezzi secondo una logica speculativa di breve termine. La Russia da sessant’anni esporta grandi volumi di gas e si è sempre dimostrata un ottimo fornitore, molto affidabile e ha tutto l’interesse a rimanere tale nei prossimi decenni, viste le enormi riserve che dovrà sfruttare e valorizzare per tutto questo secolo. Gli incidenti che ha avuto durante l’estate a due importanti impianti gasdotti sollevano preoccupazioni sul lungo termine, perché vuol dire che ci sono problemi strutturali al sistema di trasporto, sul quale gli investimenti negli ultimi anni non sono stati sufficienti. In effetti, si tratta di un sistema di trasporto poco efficiente, partito addirittura negli anni ‘50, che è vecchio e andrebbe ammodernato, non ultimo per limitare le perdite in atmosfera di metano, problema messo, giustamente, in evidenza a Glasgow alla COP26.

D’altra parte, i volumi mandati verso l’Europa sono stati in costante crescita negli ultimi anni, con un picco di 185 miliardi di metri cubi toccato nel 2020 ed è probabile che di più non riesca a fare. Limiti alla capacità, giochi politici, basse scorte, impennata della domanda interna per l’inverno lungo, sono tutti elementi che spiegano i bassi volumi dal principale fornitore di gas dell’Europa.  

 

Volendo quantificare l’ammanco fisico alla fine del 2021 si può arrivare a circa un quinto, quello che manca nelle scorte rispetto ai livelli normali, e ciò è uno squilibrio che non può interamente spiegare, come accade sempre nei momenti di forte instabilità, un aumento di 5 volte dei prezzi in meno di un anno. Occorre sempre evitare la facile scorciatoia di accusare la speculazione, perché non permette di capire appieno ciò che accade; tuttavia, è chiaro che la liquidità del sistema finanziario internazionale, una costante degli ultimi anni, ha un importante ruolo nel muovere gli investitori da un mercato all’altro, con quelli dell’energia ultimamente diventati particolarmente attrattivi per chi scommette al rialzo. I volumi scambiati sull’ICE di Londra sono passati da circa 2 milioni di contratti al mese a 5 milioni a ottobre 2021, con una correlazione molto alta con l’esplosione dei prezzi.  

Il ruolo della finanza in termini positivi è stato evidenziato dalle prime conclusione dell’indagine avviata dall’ACER (European Union Agency for the Cooperation of Energy Regulators) e rese pubbliche il 13 ottobre 2021. In sostanza, la finanza, assieme alle società di trading fisico e alle società dell’industria, hanno spinto al rialzo perché sussisteva un’oggettiva scarsità di gas in Europa, ma sul fatto che l’intensità degli aumenti sia giustificabile, questo non potremo mai capirlo.  

Più importante sarebbe capire quanto durerà la crisi, se si tratta di una fiammata passeggera oppure se c’è qualcosa di strutturale. Gli stessi mercati sono quelli che per primi ci danno un’idea di quello che potrebbe accadere, attraverso le negoziazioni dei contratti a consegna differita, i forward. Questi indicano prezzi del gas in netto calo a partire dalla primavera del 2022, circa la metà di quelli dell’inverno, 45 contro 90 euro per MWh, mentre per il 2023 i valori sono un terzo, poco sopra a 34 euro per MWh. I mercati, in sostanza, ci dicono che si tratta di tensioni passeggere e che in pochi mesi tutto dovrebbe tornare alla normalità.

Tuttavia, occorre sottolineare che le curve forward sbagliano sempre nel prevedere i prezzi che poi si verificheranno, come è giusto che sia nei mercati delle materie prime. Inoltre, ad inizio 2021 i prezzi per novembre venivano indicati a livelli di 30 euro, un terzo di quelli che poi si sono verificati. Più probabile è un futuro in cui si verificheranno molte oscillazioni, dopo il ribasso che ci sarà a primavera 2022, perché di gas ce ne sarà molto bisogno, anche per complementare le rinnovabili, mentre le importazioni dall’estero cresceranno in un mercato internazionale dove una nuova capacità di esportazione tenderà a scarseggiare. In sostanza, prezzi alti del gas, con ampie oscillazioni, diventeranno qualcosa a cui ci dovremo abituare, con mercati che faranno fatica, come accaduto nel 2021, ad essere efficienti nel dare indicazioni di lungo termine per gli investimenti.