Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
Il ruolo norvegese nel risiko del gasdi Oystein Noreng
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Nuovi protagonisti

Il ruolo norvegese nel risiko del gas

di Oystein Noreng

Con lo stop alle importazioni dalla Russia, la Norvegia è diventata il principale fornitore di gas dell’Unione, ma per riuscire a soddisfare a lungo termine la domanda sui mercati europei sono necessari investimenti nell’esplorazione e lo sviluppo e un clima politico favorevole

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a guerra in Ucraina ha destabilizzato i mercati energetici europei e compromesso la posizione di leadership della Russia, che nel 2020 esportava 132 miliardi di metri cubi di gas naturale nell’Unione europea (Ue), soprattutto in Germania e in Italia. Da quando l’Ue ha interrotto le importazioni dalla Russia, il suo principale fornitore di gas è diventato la Norvegia. In Europa, l’impatto del conflitto in Ucraina sui mercati energetici è maggiore che altrove. I prezzi dell’elettricità sono saliti: nell’estate del 2022 paesi chiave come Germania, Italia e Regno Unito avevano prezzi due o tre volte più alti di quelli degli Stati Uniti. I costi elevati dell’energia penalizzano gravemente l’economia europea. Dato che la Russia è fuori dal mercato del gas, almeno per il momento, bisogna capire sino a che punto la Norvegia potrebbe tornare a rifornire l’Europa.

 

 

Il potenziale della Norvegia

Attualmente la Norvegia produce petrolio e gas praticamente a pieno regime, e in futuro potrebbe intensificare l’attività di esplorazione e sviluppare le eventuali nuove scoperte. Al paese serve tuttavia un accordo politico per accelerare le attività petrolifere e alimentare la domanda a lungo termine sui mercati europei. A fronte della crisi del Covid-19, per evitare al settore oil & gas una battuta d’arresto, il parlamento norvegese ha approvato a larga maggioranza uno sgravio fiscale; tali misure hanno protetto le filiere di approvvigionamento e la capacità industriale e nel 2023 gli investimenti nell’oil & gas stanno riprendendo quota.
 

Il mantenimento e lo sviluppo della capacità del settore petrolifero sono essenziali se si considera che la Norvegia ha un territorio marittimo di 2 milioni di chilometri quadrati (si pensi che il Golfo del Messico ne misura 1,6 milioni). Si stima che in circa metà dell’area vi siano rocce sedimentarie con tracce di petrolio. In termini di trivellazioni esplorative, la piattaforma continentale norvegese non è una provincia petrolifera particolarmente matura: in quasi sessant’anni i pozzi esplorativi sono stati 1.200. La parte norvegese del Mare del Nord è stata finora esplorata meno di quella britannica, e le porzioni centrale e settentrionale della piattaforma continentale (Mare di Norvegia e Mare di Barents) risultano ancora relativamente poco esplorate. Il governo stima che il volume residuo di liquidi e gas sia paragonabile a quello estratto a partire dal 1970. Con la sua base di risorse, la Norvegia potrebbe confermarsi un importante esportatore di petrolio e gas per almeno un altro paio di generazioni. Il problema è il mercato.
 

A seguito della diminuzione dei volumi esportati dalla Russia, la Norvegia è diventata il principale fornitore di gas dell’Europa. Tra gli interventi a breve termine volti ad aumentare le esportazioni di gas naturale vi è la riapertura del terminale per il gas naturale liquefatto (GNL) di Melkoya, danneggiato da un incendio. Nel 2022 l’estrazione di gas potrebbe raggiungere i 115 miliardi di metri cubi; lo sviluppo di giacimenti minori attigui ai campi petroliferi attivi consentirà di aumentare leggermente la produzione, mentre per un ampliamento più consistente saranno necessari nuovi investimenti.
 

Bisogna considerare il potenziale e la volontà della Norvegia, oltre che il mercato europeo. Il potenziale è notevole, ma occorrono esplorazioni, risultati e investimenti. A fronte di un’esplorazione limitata, il concetto di maturità della base di risorse va applicato con cautela alla piattaforma continentale norvegese, soprattutto perché a nord, nella zona poco esplorata, le acque sono libere. Alcune aree sono state esplorate a fondo e risultano pienamente mature, con poche prospettive, modeste e sfavorevoli; altre aree scarsamente esplorate presentano un grande potenziale proprio perché sono zone vergini. Un accordo parlamentare prevede che fino al 2026 non la Norvegia non apra altre aree all’esplorazione.

 

la fotoIl teatro dell’Opera di Oslo. In seguito alla diminuzione dei volumi di gas dalla Russia, la Norvegia è diventata il principale fornitore Ue
 

 

Vi sono enormi aree potenzialmente esplorabili lasciate inattive, senza alcuna attività petrolifera. A seguito degli accordi con Islanda e Russia, il territorio marittimo della Norvegia, dalla linea di base ai confini, misura 2 milioni di chilometri quadrati. Secondo le stime del Norwegian Petroleum Directorate, circa metà dell’area, cioè un milione di chilometri quadrati, contiene rocce potenzialmente petrolifere. La gran parte di tale distesa marittima non è ancora stata esplorata ed è quindi inattiva; per più della metà (circa 600.000 chilometri quadrati) è in linea di principio aperta alle attività petrolifere, ma è ben lungi dall’esser stata completamente esplorata. Le aree non aperte comprendono parte del Mare di Barents, parte del Mare di Norvegia (in prossimità della costa), la zona intorno a Jan Mayen, le zone al largo delle isole Lofoten e Vesterålen, e la maggior parte dello Skagerrak, il canale che collega la Norvegia a Danimarca e Svezia.
 

Dal 1965 a oggi sono state rilasciate licenze per circa metà della superficie interessata, per la maggior parte poi cedute allo stato, e si sono eseguite trivellazioni esplorative su blocchi che rappresentano solo una piccola parte (meno di 50.000 chilometri quadrati) dell’area che presenta del potenziale. Il tasso di scoperta storico cumulativo si attesta al 43 percento, contro il 23 percento della piattaforma continentale britannica: in Norvegia, con meno trivellazioni si sono scoperte più risorse che nel Regno Unito.
 

La parte norvegese del Mare del Nord, la più meridionale della piattaforma continentale, è stata esplorata molto meno della vicina porzione britannica, ma i ritrovamenti sono stati più numerosi. Il Mare di Norvegia (la parte centrale) mostra i segni di un potenziale di petrolio e gas naturale quasi pari a quello del Golfo del Messico, pur con un’esplorazione molto minore; le sfide tecniche e i costi sono tuttavia notevolmente più elevati, anche a causa della presenza di uno strato di basalto. Il Mare di Barents (la parte più settentrionale) presenta una geologia promettente, tanto che negli ultimi anni vi si sono effettivamente avuti ritrovamenti di petrolio e di gas naturale. Dal punto di vista geologico, il terreno è composito: a est presenta strutture simili a quelle delle aree marittime russe adiacenti, con un potenziale maggiore in termini di gas naturale, mentre la zona ovest presenta strutture simili a quelle di altre aree norvegesi e un maggior potenziale petrolifero.
 

Il potenziale di risorse petrolifere del Mare di Barents è incerto; si tratta per lo più di una formazione geologica separata, diversa dalle altre aree della piattaforma continentale norvegese, più a sud. Alcune porzioni del Mare di Barents sono state oggetto di studi sismici e di trivellazioni esplorative, ma la maggior parte dell’area non è stata sottoposta a indagini sismiche aggiornate e ancor meno a esplorazioni. La geologia della regione è caratterizzata da grandi strutture che in teoria hanno un potenziale di petrolio e gas, ma, in pratica, è difficile localizzare il petrolio e il gas naturale, a causa della possibile migrazione delle risorse.
 

Secondo le stime più ottimiste, la produzione norvegese di petrolio e gas continuerà ad aumentare fino al 2030

Secondo le stime più pessimiste, invece, la produzione combinata di petrolio e gas naturale si manterrà ai livelli attuali fino al 2039, per poi diminuire. Queste valutazioni si basano sulla possibile resa del Mare di Barents, comprese l’area precedentemente contesa e le acque settentrionali, ma non si escludono sorprese nell’ormai maturo Mare del Nord e nel meno maturo Mare di Norvegia. In primavera è stato valutato lo sviluppo di divere aree minori, soprattutto come satelliti di campi già in essere.
 

 

Il duopolio storico di Russia e Norvegia


Il mercato del gas dell’Europa nord-occidentale è dominato dal duopolio dei fornitori Russia e Norvegia, che applicano condizioni diverse. La Russia possiede le più estese riserve accertate e ha probabilmente i costi più bassi. L’interazione fra i due paesi si basa sulla concorrenza e sul rispetto reciproco. Forti di nuovi gasdotti e di grandi volumi, Norvegia e Russia hanno sempre trainato il mercato del gas, tenendo conto degli interessi reciproci e del desiderio degli acquirenti tedeschi di diversificare rischi e fonti. La concorrenza sui prezzi è stata smorzata da considerazioni di tipo strategico, in accordo con gli acquirenti. Per molto tempo la Russia ha dato l’impressione di essere consapevole di non potersi accaparrare l’intero mercato, mentre la Norvegia lasciava intendere di essere soddisfatta della sua quota, pur inferiore, in un mercato del gas stabile e prevedibile in cui la Russia rappresentava un fattore di stabilità. Dal 23 febbraio 2022 la storia è cambiata: la guerra scatenata da Putin in Ucraina non favorisce gli interessi russi in materia di gas.
 

Il gas norvegese serve i mercati del Regno Unito e dell’Europa continentale nord-occidentale, e l’infrastruttura in essere consente di inviare gas norvegese in Polonia e nei paesi baltici, a scapito del gas russo. A seconda delle risorse e del mercato, il gas del Mare di Barents potrebbe essere trasportato via gasdotto sino alle coste settentrionali della Norvegia, attraversare la Finlandia ed essere immesso nelle reti del Baltico e della Polonia.

 

Tra gli interventi a breve termine volti ad aumentare le esportazioni vi è la riapertura del terminale GNL di Melkoya, danneggiato da un incendio

 

Nel 2022 l’estrazione di gas potrebbe raggiungere i 115 miliardi di metri cubi. Lo sviluppo di giacimenti minori attigui ai campi petroliferi attivi consentirà di aumentare leggermente la produzione, mentre per un ampliamento più consistente saranno necessari nuovi investimenti. L’esplorazione accelererà e l’infrastruttura verrà potenziata, verisimilmente con nuovi impianti di GNL, ma i costi saranno elevati e i lavori dureranno diversi anni. Anche in questo caso bisogna tener conto del mercato e delle relazioni tra Europa e Russia. Per un aumento duraturo dei volumi di gas norvegese occorrono almeno 5-7 anni, a seconda del mercato, degli interessi delle società coinvolte e della politica norvegese, tre fattori incerti.

 

In Norvegia, le lobby ambientaliste si oppongono a qualsiasi ampliamento delle attività legate al petrolio e al gas; sono una minoranza, ma godono di un certo potere nel frammentato quadro politico del paese, caratterizzato da governi di coalizione. Vi sono inoltre legittimi timori di carattere economico. Poiché il fondo sovrano di investimento norvegese è ben bilanciato e valutato circa tre volte il prodotto interno lordo (PIL), la necessità di ampliare la produzione di petrolio e gas non è così urgente, anzi, i rischi associati a investimenti eccessivi e il possibile calo dei prezzi di petrolio e gas invitano alla cautela. Analogamente, malgrado il fondo sovrano rappresenti una protezione contro variazioni improvvise nei flussi di cassa, i timori di un surriscaldamento dell’economia e di una monocultura economica frenano la possibile rapida espansione dell’oil & gas, e altrettanto rilievo hanno i rischi legati a incidenti industriali, inquinamento, pesca e danni ambientali.

 

Il punto fondamentale è capire se l’Europa vuole davvero il gas norvegese


Se sì, quanto e per quanto tempo? A quali prezzi? Fino al 2022 uno dei principali obiettivi delle politiche energetiche di Ue e Regno Unito era quello di eliminare l’uso del gas naturale entro il 2050, e tale proposito ha disincentivato la Norvegia e altri paesi a cercare nuovi giacimenti di petrolio e gas. Ora il quadro è cambiato? Dal punto di vista norvegese, il termine del 2050 è molto vicino per pensare a un forte rilancio di un settore (quasi) condannato a morte. Secondo l’Ue e il Regno Unito, quale rischio si assumerà la Norvegia? Si potrebbe sostenere che, nel contesto attuale, le emissioni aggiuntive di anidride carbonica (CO2) della Norvegia andrebbero a sostituire le emissioni della Russia, ma come muterebbe la politica energetica dell’Ue in caso di un cambio al potere in Russia? L’Ue e il Regno Unito, ma anche il settore stesso, sono disposti a modificare i propri obiettivi climatici per favorire l’ampliamento dell’oil & gas in Norvegia? Nella situazione attuale, la Norvegia può contribuire all’accesso dell’Europa all’energia, ma è un processo che richiede tempo. La guerra in Ucraina sta cambiando le condizioni economiche, di politica climatica e di sicurezza relative al commercio del gas in Europa, anche per la Norvegia. Resta da capire se Ue e Regno Unito saranno in grado di creare condizioni favorevoli a investimenti a lungo termine nell’energia non solare, non eolica e non nucleare. L’accordo a lungo termine sul gas liquefatto tra Germania e Qatar potrebbe essere un indizio in questo senso. C’è poi la questione dello stato delle relazioni con la Russia nel lungo periodo.