Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
COP27 futurafricadi Giulia Sofia Sarno
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Scenario

COP27 futurafrica

di Giulia Sofia Sarno

A Sharm el-Sheikh i paesi africani hanno avuto un ruolo e uno spazio fondamentali. Ora per il continente è essenziale produrre tempestivamente risultati nella finanza per il clima, anche per il pilastro della mitigazione

12 min

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a COP27 è stata tutta africana: ha portato, infatti, a una serie di progressi inattesi per il continente.

A Sharm el-Sheikh i paesi vulnerabili ai cambiamenti climatici hanno condotto i negoziati con grinta e coesione, dimostrando di poter essere attori potenti nel plasmare l’agenda della conferenza. I paesi africani hanno contribuito in modo significativo alla costruzione dell’unità tra gli attori del sud del mondo. Con una mossa sorprendente e ambiziosa, all’inizio dei negoziati il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha annunciato che l’ordine del giorno comprendeva, per la prima volta nella storia, il tema del finanziamento di perdite e danni.

 

 

Un potere negoziale sempre maggiore

 

L’accresciuto potere negoziale dell’Africa e degli attori del sud del mondo ha portato a un risultato senza precedenti con la creazione del fondo perdite e danni, da oltre trent’anni avversata dalle economie avanzate. Per quanto molti aspetti chiave siano ancora da chiarire, attraverso questo fondo i paesi ricchi, su cui ricade la responsabilità storica dei cambiamenti climatici, daranno sostegno finanziario alle nazioni più povere per i danni e le perdite da esse subiti a causa dei disastri climatici. Si tratta di un risultato cruciale per l’Africa, che è tra le regioni più colpite: solo nel 2022 nel continente gli eventi meteorologici estremi hanno ucciso almeno 4.000 persone e ne hanno colpite 19 milioni, ma le cifre reali sono probabilmente più alte, perché spesso le conseguenze dei disastri climatici non vengono debitamente registrate.  Nel complesso, si stima che entro il 2050 gli impatti climatici potrebbero costare ai paesi africani 50 miliardi di dollari l’anno.

 

Un altro passo in avanti riguarda la finanza. Il primo ministro delle Barbados, Mia Mottley, ha presentato la Bridgetown Initiative, che mira a trasformare l’architettura finanziaria mondiale in modo da poter affrontare adeguatamente la crisi climatica e sostenere le economie in via di sviluppo, intrappolate in un circolo vizioso di difficoltà finanziarie e disastri climatici. L’iniziativa nasce dalla consapevolezza che le istituzioni di Bretton Woods non sono adatte a detto scopo, in un momento in cui il sistema finanziario mondiale inasprisce i rischi associati ai cambiamenti climatici e al maladattamento. L’iniziativa è stata inclusa nel Piano di attuazione di Sharm el-Sheikh, il testo finale della COP27. Questo offre un’opportunità senza precedenti per il cambiamento sistemico tanto atteso dai paesi vulnerabili ai cambiamenti climatici.

 

Le economie in via di sviluppo si trovano spesso intrappolate in un circolo vizioso di alti livelli di debito e vulnerabilità climatica, fattori che si rafforzano a vicenda: l’indebitamento riduce la capacità di investire nella costruzione della resilienza climatica, di conseguenza l’entità dei danni e delle perdite causati dagli eventi climatici estremi resta ingente e va ad aggravare l’indebitamento, con il costo dei prestiti che cresce parallelamente all’innalzarsi del livello di rischio climatico del singolo paese. La pandemia di Covid-19 aveva già portato, in tutta l’Africa, a un aumento dei livelli di sovraindebitamento, e lo scoppio della guerra e l’aumento dei costi hanno notevolmente peggiorato la situazione. A metà del 2022, erano 23 i paesi africani sovraindebitati o a rischio di sovraindebitamento.

 

la fotoImpianto petrolifero offshore.

 

Le principali proposte della Bridgetown Initiative sono la prevenzione della crisi del debito con aiuti di emergenza erogati dal Fondo Monetario Internazionale (IMF) e finanziamenti a tasso agevolato a lungo termine, l’ampliamento di mille miliardi di dollari della capacità di prestito delle banche multilaterali per lo sviluppo alle economie in via di sviluppo, per investimenti finalizzati al contrasto dei cambiamenti climatici, e, infine, lo sviluppo di strumenti a lungo termine che mobilitino dai tremila ai quattromila miliardi dollari tra progetti di mitigazione e contributi per la ricostruzione. 

 

La discussione di questi temi proseguirà anche nel 2023, con implicazioni importanti per il continente africano, nelle sedi di maggior rilievo: i vertici della finanza internazionale, compresi il G7, il G20 e i meeting delle banche multilaterali per lo sviluppo, e la prima riunione del “comitato di transizione” che, in vista della COP28, tratterà delle regole del fondo per i danni e le perdite.

Il vertice di Sharm el-Sheikh ha anche dato il via a dibattiti rivoluzionari tesi ad aumentare la finanza per il clima. Solo un anno fa la proposta dell’African Group of Negotiators di innalzare l’obiettivo a 1,3 migliaia di miliardi di dollari l’anno a partire dal 2025 veniva respinta, mentre quest’anno il Piano di attuazione di Sharm el-Sheikh indica che per attuare i loro contributi determinati a livello nazionale (NDC, Nationally Determined Contribution), i paesi in via di sviluppo avranno bisogno di 5,8-5,9 migliaia di miliardi di dollari entro il 2030. Un cambiamento significativo, questo, che evidenzia quanto inadeguato sia l’attuale obiettivo di 100 miliardi l’anno, al cui conseguimento ancora mancano 20 miliardi.

 

 

Un nuovo contesto geopolitico al centro della COP27

 

La COP27 è stata anche la prima conferenza sul clima ad aver luogo nel nuovo contesto geopolitico plasmato dal conflitto in Ucraina. La sicurezza energetica dell’Europa è stata minata dal dispiegarsi delle crisi energetiche legate alla guerra e dall’uso fatto da Putin dei combustibili fossili come arma di pressione geostrategica (weaponization): la corsa dell’Unione europea al gas ha sollevato preoccupazioni sulla sostenibilità delle strategie di diversificazione. Al fine di diversificare la propria domanda di gas, molti paesi europei si sono rivolti all’Africa: il continente è pertanto al centro del dibattito.

 

Anche se non ufficialmente all’ordine del giorno della COP27, il tema del futuro del gas in Africa è stato oggetto di grande dibattito alla conferenza. L’African Union (AU) ha ribadito la propria Posizione comune sull’accesso all’energia e una transizione energetica giusta (Common Position on Energy Access and Just Energy Transition), in cui annuncia che “per soddisfare la domanda di energia, l’Africa continuerà a sfruttare tutte le forme delle proprie abbondanti risorse energetiche, rinnovabili e non rinnovabili”.  Nelle parole di Tosi Mpanu Mpanu, capo negoziatore per il Congo, per l’Africa la priorità non è salvare il pianeta, bensì affrontare la povertà e conseguire l’accesso universale all’energia.  I leader dei paesi africani dotati di riserve di gas importanti, quali Nigeria, Senegal, Mozambico, Congo, Guinea Equatoriale, Algeria ed Egitto (paese ospite della COP27), sostengono con vigore questo approccio, sostenendo il gas naturale come soluzione alle necessità energetiche dell’Africa, e vedono negli sforzi europei per l’affrancamento dalle importazioni russe un’opportunità non solo d’affari ma anche di sostegno politico alla loro visione.

Per l’Africa la priorità non è salvare il pianeta, bensì affrontare la povertà e conseguire l’accesso universale all’energia

Di recente, l’International Energy Agency (IEA) ha evidenziato, nell’Africa Energy Outlook 2022, che sia il gas naturale sia le energie rinnovabili hanno un ruolo importante ai fini dell’accesso universale all’energia moderna al 2030 e della piena attuazione degli impegni climatici dell’Africa. Lo studio dimostra che l’elettricità può essere la spina dorsale dei futuri sistemi energetici dell’Africa, con il Sustainable Africa Scenario che vede nel 2030 le energie rinnovabili rappresentare più dell’80 percento della nuova capacità di generazione elettrica aggiunta. Al contempo, il gas avrà la funzione di sostenere l’industrializzazione del continente, in particolare nei settori siderurgico, del cemento e dei fertilizzanti, e quella di sostituire i costosi prodotti petroliferi e di integrare le energie rinnovabili nel settore elettrico. Entro il 2030 le riserve di gas disponibili in Africa potrebbero fornire 90 miliardi di metri cubi l’anno, e i calcoli della IEA mostrano che nel corso dei prossimi 30 anni il loro sfruttamento porterebbe la quota africana delle emissioni mondiali ad appena il 3,5 percento.

 

La IEA sottolinea, tuttavia, che pur rimanendo la produzione di gas importante per lo sviluppo economico e sociale dell’Africa, si deve porre attenzione anche al soddisfacimento della domanda interna del continente. Gli sforzi mondiali per accelerare la transizione verso l’energia pulita probabilmente ridurranno i proventi delle esportazioni di gas, motivo per cui si deve porre l’accento anche sulla necessità di sviluppare infrastrutture ben funzionanti per lo sfruttamento del gas all’interno al continente; questo ridurrebbe l’esposizione dei paesi africani alla volatilità dei proventi delle esportazioni e assicurerebbe la possibilità di utilizzare il gas come risorsa che alimenti lo sviluppo interno dell’Africa. Inoltre, le attuali opportunità del mercato non devono distrarre da un’attenta valutazione di nuovi progetti a lungo termine per il gas.

 

Le economie avanzate devono dare priorità all’accelerazione delle soluzioni pulite in suolo africano. Lo straordinario potenziale delle rinnovabili dell’Africa è ancora ampiamente sottosviluppato: il continente detiene il 60 percento delle migliori risorse solari del mondo, ma la sua capacità fotovoltaica solare installata è solo dell’un percento. Le fonti energetiche rinnovabili saranno fondamentali soprattutto ai fini del conseguimento dell’accesso universale all’energia, perché la soluzione più adatta a garantire tale accesso alla popolazione dell’Africa sub-sahariana rurale, altamente dispersa, consiste nelle tecnologie off-grid alimentate a rinnovabili; inoltre, il costo delle energie rinnovabili è in gran parte fissato al punto di sfruttamento e non è esposto alla volatilità globale dei prezzi.

Per conseguire questi obiettivi è necessario aumentare gli investimenti. Secondo l’International Renewable Energy Agency (IRENA), delle 2,8 migliaia di miliardi di dollari investiti nelle rinnovabili a livello mondiale tra il 2000 e il 2020, solo il due percento è stato impiegato in Africa. 

 

 

Un sistema idoneo per sostenere il continente africano

 

Ecco perché i risultati raggiunti alla COP27 sono d’importanza fondamentale. Da un lato, l’ordine di grandezza della finanza per il clima inizia a spostarsi verso le reali necessità dei paesi vulnerabili; dall’altro, le riforme dell’architettura finanziaria internazionale, in particolare per quanto concerne i temi dell’avversione al rischio e della gestione del debito, sono passaggi chiave per creare un sistema idoneo a sostenere il continente africano e le altre regioni vulnerabili ai cambiamenti climatici. È essenziale un cambiamento nella visione e nelle strategie delle banche multilaterali per lo sviluppo, un cambiamento che stimoli gli investimenti del settore privato nella stessa direzione, cosa fondamentale per raggiungere il livello necessario di flussi finanziari. Pertanto, se da un lato i risultati della COP27 sulle perdite e i danni sono essenziali per l’Africa, dall’altro non bisogna perdere di vista l’importanza di produrre tempestivamente risultati nella finanza per il clima, anche per il pilastro della mitigazione.