
Economia
L'incerta solidità del sistema
L’aumento dell’inflazione dipende da diversi fattori, spingono i bilanci delle banche centrali, la loro crisi, l’instabilità dei conti pubblici e il debito. La svalutazione è la peggiore delle tasse, quella che implica più disordine nella struttura sociale impoverendo i poveri e distruggendo i risparmi
9 minGrazie alle recenti modifiche delle norme regolamentari negli Stati Uniti, i coefficienti patrimoniali tangibili delle otto maggiori banche sono tornati ai livelli precedenti la crisi finanziaria. Tuttavia, il sistema non è più solido oggi rispetto al 2008, e gli stress test risultano ancora più fuorvianti oggi di allora. E soprattutto anche ammesso l’improbabile, che le banche siano più solide oggi, c’è da considerare il credito erogato sempre più altrove: istituzioni finanziarie non bancarie, prestiti a leva, debito privato, eccetera. Le istituzioni finanziarie non bancarie sono più grandi delle banche regolamentate e nessuno ha informazioni vere per sapere cosa sta succedendo in termini di rischi. Tra l’altro i sistemi finanziari non sono percorsi scontati, le loro svolte più probabili sono non convergenti, ovvero sproporzionate ai trend degli indici stimati. Per lungo tempo un sistema finanziario può essere ergodico ovvero convergere a un equilibrio, ma all’improvviso uscire dalla catena di Markov che si era prevista e oscillare nell’instabilità più totale.
Le conferme della difficile gestione della congiuntura finanziaria
Una conferma di quanto detto circa un aumento più difficile da amministrare della instabilità finanziaria sono i ripetuti esempi recenti di mercati distorti: appunto le sinistre avventure delle banche della Silicon Valley americane e del Credite Suisse. Crisi improvvise, brevi, risolte reiterando i vecchi vizi: inutili ora da ricordare. Più interessante, perché si è reso percepibile in essa anche l’altro effetto mostruoso accumulato sui conti pubblici, la crisi inglese. Tagli fiscali mal concepiti e non finanziati dal governo Truss hanno interagito con il mercato dei derivati in modo tale da far quasi saltare i fondi pensione. Si badi che gli stress test fatti per verificare se i fondi pensione avessero sufficiente liquidità per far fronte alle richieste di margini, erano risultati positivi. Ma a falsare il calcolo è stata l'entità del movimento del prezzo dei Gilt.
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i è mosso ben più di quanto ipotizzato come massimo nello stress test. E non meno rivelatore è che la Banca d'Inghilterra abbia fermato il panico, espandendo il proprio bilancio quando invece si era impegnata a ridurlo. Una conferma che le banche centrali sono parte del problema e non della sua soluzione; essendo costrette a gestire le due mostruosità che hanno generato: gonfiando il capitale fittizio del debito pubblico o quello finanziario. Con ciò si dà una conferma ulteriore che lo scenario d’una inflazione non domata resta il più verosimile: le loro ansie per la stabilità finanziaria avranno la meglio sulla stabilità dei prezzi. Un agire che rimanda il problema, alla maniera degli scorsi tre decenni, ma vertiginosamente rischioso. Diversamente dagli anni Settanta, viviamo in un sistema con freni speculativi ridotti, con una libertà di movimenti di capitali impressionante. Un rialzo dei tassi d'interesse sul mercato obbligazionario diventa fisiologico, inevitabile e riprezzamenti superiori alle previsioni molto probabili. I mercati, ovvero la speculazione, potranno seguitare a far finta di niente? Che cosa potrebbe succedere allora? La risposta onesta è che nessuno può dirlo. Ma certo il dubbio se prolungato scredita la credibilità delle banche centrali, quella dei governi nel gestire il debito pubblico è già screditata.
I bilanci delle banche centrali
Un indice preoccupante di quanto potrebbe accadere alle banche private e alle istituzioni finanziarie è quanto sta accadendo alle banche pubbliche per definizione: le banche centrali. La Federal Reserve è sommersa da mille miliardi di dollari. Anche in Svizzera, l'anno scorso la perdita della Banca Nazionale Svizzera, in termini di valore di mercato, è stata pari al 18% del PIL svizzero. I tassi di interesse dovrebbero salire, ma persino la struttura dei bilanci delle banche centrali rischia l’instabilità. Tutto è iniziato negli anni 90 con la creazione di liquidità in Giappone, tutto finirà in Giappone. La curva dei rendimenti in Giappone sarà quella più rivelatrice. Hanno mantenuto i tassi bassi per così tanto tempo, che se i mercati costringessero i tassi a salire si avrebbe una drammatica verifica e non solo per gli effetti sul servizio del debito pubblico. Se i rendimenti in yen più alti attirassero i capitali dei giapponesi a tornare in Giappone, le implicazioni mondiali sarebbero inquietanti.
L’instabilità dei conti pubblici e lo scenario di consolidamento del debito
Ritorniamo a quando il mercato dei Gilts è esploso, e i mercati si sono accorti che addirittura il governo del Regno Unito stava giocando come niente fosse con l'insostenibilità del debito. Una conferma che il buon senso si è ovunque perduto. Un tempo una politica di bilancio prudente implicava di ridurre il debito nei periodi di congiuntura favorevole, così da avere risorse bastanti nei periodi di crisi o di guerra. Ma tassi di interesse troppo bassi per decenni, e il debito pubblico comunque aumentato, hanno ucciso il buon senso. Giacché i governi si sono abituati a potersi comunque rifinanziare, hanno abbandonato il buon senso.
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l risultato: se al debito e ai disavanzi si aggiunge il debito previdenziale molti stati sono tecnicamente insolventi da anni. Affrontare il guaio senza un serio aumento dei tassi e una recessione dei tassi di interesse nominali bassi e reali negativi imposti dai governi ai detentori del loro debito, implica un’ovvia tentazione. Ripetere quanto successo nel dopoguerra sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito. Si approvano leggi che costringono gli investitori a detenere il proprio debito e, si mantiene l’inflazione attorno al 7%, come sta accadendo negli ultimi due anni. La crescita nominale che ingloba l’inflazione resta superiore ai tassi d’interesse e ridimensiona il debito pubblico. Tre, quattro anni, e il problema del debito come nel dopoguerra ne sarebbe risolto. Ma c’è un difetto nel ragionamento: una simile condotta funzionerebbe in maniera di molto meno prevedibile oggi con mercati dei capitali liberi come non mai di speculare. E se anche funzionasse, poco importerebbe aver evitato di riordinare i conti e aumentato le tasse: l'inflazione è la peggiore delle tasse, quella che da sempre implica più disordine nella struttura sociale impoverendo i poveri e distruggendo i risparmi. Negli ultimi decenni i poveri sono serviti a pretesto per politiche di spesa che servivano ai ricchi. Ma con l’inflazione? La situazione si polarizza, la truffa si scopre e l’instabilità politica prevale.
Instabilità politica come scenario dovuto
Congiurano alla instabilità ambedue gli scenari, quello omissivo in cui le banche centrali rinunciano ad aumentare i tassi reali e a indurre una recessione per contenere l’inflazione, sia quest’ultimo. Più il capitale fittizio accumulato come debito pubblico e capitale privato nei mercati cresce, meno sono peraltro prevedibili processi ordinati di ristrutturazione del debito. Data la necessità di aumentare la spesa per investimenti, una riduzione dei consumi privati potrebbe far quadrare il cerchio e contenere l’inflazione Ma una politica di bilancio onesta è molto impopolare, come dimostra quanto sta accadendo a Macron in Francia. L’aumento delle imposte sull'energia dovrebbe allora essere controbilanciato da imposte patrimoniali. Ma una politica fiscale più mirata, attenta, implica che i detentori di capitale fittizio accettino di vederlo ridimensionato; un gesto non immediato. Soprattutto opposto al gioco al quale trent’anni di denaro facile hanno abituato tutti; sempre ammesso che la ristrutturazione virtuosa del debito pubblico e degli attivi della finanza sia fattibile senza traumi. Comunque sia il seguito di ulteriori squilibri dell’offerta reale che ci attendono già da solo deve riconoscersi inquietante. Se mal orientati, affrontati alla vecchia maniera, essi avvieranno, una transizione dalla crescita a un’età economica di penuria, dovuta appunto al mutarsi dei prezzi relativi e dell’inflazione aggravata dai vizi di una politica monetaria impotente.