Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
Il mercato del gas è diventato adultodi Francesco Gattei
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Strategie per il futuro

Il mercato del gas è diventato adulto

di Francesco Gattei

A farlo “crescere” gli eventi dell’ultimo decennio: il fracking, la crisi del nucleare, la fame asiatica. L’Europa, che fino all’anno scorso viveva di rimbalzo, con la crisi ucraina è ora esposta: la forma prevalente del gas sarà liquida e la competizione tra mercati Ue e Asia sarà sempre più forte

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ell’ultimo decennio, quello che era considerato il cugino sonnolente del petrolio (dove guerre, embarghi e crisi sono un ingrediente permanente della sua agitata storia) è entrato in una fase turbolenta.

 

Prima era stato il fracking, la nuova tecnica di estrazione dai giacimenti meno permeabili (shale) a creare uno scossone. L’intuizione di George Mitchell, il cui secondo nome Fidia era già rivelatore di uno che sapeva trattare bene le rocce, aveva portato a rendere gli Stati Uniti da paese importatore al più grande esportatore di GNL al mondo. Poi un altro tremore (questo più fragoroso) aveva scosso il Far East. Fukushima aveva interrotto la luna di miele dei giapponesi con il nucleare e rafforzato la centralità del mercato asiatico come compratore primario del gas liquido, essenziale per dare energia elettrica alla terza economia del mondo. Insomma, in un decennio abbiamo visto sparire uno dei tre grandi mercati di importazione di gas (quello USA) e crescere in maniera drammatica la fame asiatica. Ma in Europa si viveva di rimbalzo.
 

 

Gli stabilizzatori dell’Unione europea

L’Europa, infatti, fino al 2022 era rimasta passiva di fronte a queste dinamiche: dapprima subendo le mancate importazioni americane, che, cambiando rotta verso Est, avevano depresso il mercato spot. Tale prezzo era divenuto rapidamente il benchmark di riferimento in sostituzione del tradizionale modello che quotava il gas su contratti di lungo termine con ancoraggio al prezzo del petrolio. E poi, dovendo subire l’effetto di rimbalzo delle dinamiche di acquisto dei mercati asiatici, diventando quindi il mercato residuale dell’export globale di gas liquido. Del resto, l’Europa del decennio scorso aveva ancora una struttura energetica che assicurava tranquillità e una relativa stabilità tra domanda ed offerta di gas. Tre erano gli stabilizzatori.

 

la fotoUna centrale nucleare in Francia. Il nucleare francese ha per anni contenuto la domanda di gas del centro-Europa. Ora però è entrato in crisi 

 

il grande campo a gas di Groningen, che aveva originato dagli anni ’60 lo sviluppo dell’industria europea più energivora. Il gigantesco giacimento assicurava oltre un decimo dei consumi del continente e, assieme ai volumi inglesi, copriva gran parte degli scambi spot, non a caso alimentando il mercato locale del TTF.
 

il nucleare francese, che forniva un contributo costante al baseload elettrico, contenendo la domanda di gas del centro-Europa.
 

la disponibilità di gas russo, che coprendo circa 1/3 dei consumi limitava la necessità di ricorrere massicciamente al GNL e quindi alla competizione internazionale. Inoltre, la rete di gasdotti russi lunga migliaia di chilometri andava a costituire una implicita forma di stoccaggio grazie alla disponibilità del gas contenuto nelle condotte. Stoccaggio fondamentale per coprire le punte di freddo invernale.

 

Tale modello è andato a perdere progressivamente terreno e il mercato europeo si è trovato esposto alla volatilità (a sua volta amplificata dalla grande crescita delle fonti intermittenti nella generazione elettrica).

Dapprima le scosse di terremoto registrate a Groningen hanno determinato la richiesta da parte delle autorità olandesi di una riduzione della produzione da 60 mld Mc/anno a valori prossimi a 4 mld Mc/anno in meno di un decennio. Secondo alcune voci a breve potrebbe essere richiesto l’intero spegnimento della produzione del campo, in anticipo di un paio di anni rispetto alla scadenza ipotizzata.
 

Allo stesso tempo il nucleare francese è entrato in una crisi legata alla senescenza degli impianti e ad un piano di manutenzione che aveva ridotto la produzione da 400 a 300 twh nel periodo 2015-22. Un livello produttivo che non si vedeva dal 1993 e che ha imposto alla Francia di importare elettricità dall’estero, aumentando la richiesta di gas. Oggi la situazione è migliorata ma il sistema nucleare francese, che ha oltre 50 anni, richiede pesanti investimenti di manutenzione per assicurarne la continuità.

 

la fotoLo skyline di Doha visto dal Museum of Islamic Art. Il 2022 segna il passaggio a un mercato dominato dal gas via nave. A contendersi il primato saranno Usa e Qatar 

 

Su questo quadro traballante si è inserita la crisi ucraina, che ha rimosso anche l’ultimo ammortizzatore. La riduzione dei transiti in Ucraina e le esplosioni sottomarine dei Nord Stream hanno mutilato le forniture dalla Russia e rimosso il contributo di flessibilità implicito nei gasdotti. In poco più di 12 mesi l’Europa ha perso quasi 120 miliardi di metri cubi di fornitura via pipe. Alcuni paesi, come la Germania, le hanno interamente azzerate. Siamo quindi di fronte ad una trasformazione che oramai ha toccato tutti e i tre grandi mercati del gas. E che ha cancellato dalla mappa degli utilizzi la più importante struttura di esportazione, la rete di gasdotti dalla Siberia alla Europa centrale. Il gas della Siberia occidentale è di fatto diventato stranded.
 

 

Come cambierà il mercato del gas

Il 2022 segna il passaggio ad un mercato dominato dal gas via nave. Infatti, se nel 2000 il gas liquido scambiato via nave era solo il 20 percento di quello complessivamente esportato, e nel 2021 tale valore era già salito al 40 percento , nei prossimi due-tre anni si registrerà il netto superamento della soglia del 50 percento. I grandi pipe resteranno a dominare le forniture russe verso l’est (i campi dell’Est Siberia hanno poche alternative geografiche per raggiungere i mercati di consumo) ed assicureranno qualche scambio interregionale attorno a reti esistenti, ma la maggioranza del nuovo gas sarà liquefatto ed esportato.

I grandi fornitori saranno Stati Uniti e Qatar che si contenderanno il primato, mentre l’Australia ha poco margine di incremento e si colloca ai livelli più elevati in termini di costi; emergeranno quantitativi più limitati da nuovi produttori come Mozambico e Congo e dal bacino del Levante (Egitto, Israele e Cipro).

 

Il mercato liquido integrerà maggiormente i mercati e, nel lungo termine, ridurrà i differenziali geografici (al netto dei diversi costi di trasporto dalle varie regioni) ma allo stesso tempo potrà aumentare le volatilità dei prezzi. Infatti, una rete di gasdotti assicura una flessibilità di offerta quasi tempestiva grazie al gas stoccato nelle condotte e alla possibilità di modulare la compressione. Per il gas liquido il trasporto avviene sulle navi e quindi in quantità discrete che richiedono tempi più lunghi di consegna. Per il mercato europeo (quello asiatico è già sostanzialmente un mercato del GNL) sarà come passare dalla posta elettronica al tradizionale postino in motorino.
 

 

In conclusione, la mappa del gas è in profonda trasformazione. Mancano 120 miliardi di metri cubi all’appello e gran parte di quei volumi dovranno essere rimpiazzati da nuove produzioni e dalle infrastrutture. La forma prevalente sarà liquida e la competizione tra i mercati di consumo tra Europa ed Asia sarà sempre più forte. Infine, oltre a quei volumi è sparita anche una enorme capacità di stoccaggio e modulazione che le reti avevano garantito. Insomma, anche il gas, come il suo cugino petrolio, è diventato volatile e globale.

 

Finalmente è diventato adulto.