Ultimo numero: 61/Decarbonizing the hard-to-abate sectors
Le voci dell’Asia
 
di Giulia Pompili
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Alleanze geopolitiche per le rinnovabili

Le voci dell’Asia
 

di Giulia Pompili

L’India punta a essere leader dei responsabili del Sud Globale. Il Giappone, sollecitato del presidente della COP28, deve garantire un maggiore attivismo diplomatico nei paesi della regione con le maggiori emissioni

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I

l governo di Narendra Modi considera la sua presidenza del G20, quest’anno, un successo diplomatico. E questo perché il 9 settembre scorso, il primo giorno del summit tra capi di stato e di governo, le venti più grandi economie della terra sono riuscite a negoziare un accordo che le impegna a lavorare per triplicare la capacità globale di energie rinnovabili entro il 2030. Era quello che voleva Modi e il suo sherpa, Amitabh Kant: l’India, che insieme alla Cina è considerata una delle potenze responsabili delle emissioni globali, ha bisogno di raggiungere obiettivi diplomatici e di mettersi alla testa di una coalizione di responsabili nei confronti del cosiddetto Sud globale per essere credibile anche nelle questioni più geopolitiche.

 

“Dare voce al Sud globale”, “Risolvere insieme le più grandi sfide del mondo”, “Garantire che i benefici dello sviluppo siano universali e inclusivi”, erano alcuni degli slogan affissi sui numerosi cartelli che hanno invaso le strade di New Delhi nei giorni del Summit, tutti accompagnati dal volto del primo ministro Narendra Modi: quasi un inizio di campagna elettorale in vista delle elezioni generali che iniziano ad aprile 2024.

 

Per questo l’intesa sulle rinnovabili è quella su cui si è negoziato di più, un tema che secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia è fondamentale per tenere in vita l’obiettivo di mantenere l’aumento delle temperature globali a 1,5 gradi centigradi: durante la riunione dei ministri dell’Energia dei paesi membri, due mesi prima del G20, l’accordo era fallito per l’opposizione di Arabia Saudita, Russia e Cina, e invece a settembre il lavorìo diplomatico indiano ha funzionato. Ma sulla riduzione dei combustibili fossili inquinanti, Delhi ha deciso di mantenere lo status quo, lasciando nella dichiarazione finale l’incoraggiamento “ad accelerare gli sforzi per la riduzione graduale dell’energia a carbone non smaltita”. Aprire un negoziato anche su quel punto sarebbe stato probabilmente un fallimento, e così il governo indiano ha deciso di lasciare la palla alla COP28. Lì, al vertice negli Emirati, è improbabile che l’India sottoscriva un impegno globale per la riduzione delle emissioni perché, secondo alcune fonti governative sentite dai media internazionali, il “paese più popoloso del mondo ha bisogno di un sistema di raffreddamento a prezzi accessibili”.

 

Alleanze geopolitiche tra stati arcipelagici e insulari

 

Sul clima e l’avvicinamento alla COP28 si muovono anche le alleanze geopolitiche. A metà ottobre per la prima volta il governo dell’Indonesia ha ospitato a Bali il primo incontro del Forum degli Stati arcipelagici e insulari: Timor Est, Tuvalu, Niue, Sao Tomé e Principe, gli stati federati di Micronesia, Figi e Tonga – cioè i più esposti alle conseguenze dei cambiamenti climatici – si sono incontrati in vista della riunione internazionale di Dubai con l'obiettivo di “continuare a dare voce alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo”, ha detto il presidente indonesiano Joko Widodo. “Queste minacce non riguardano solo il mare”, cioè l’innalzamento del livello del mare e l’inquinamento, ha detto Widodo, “ma anche la sovranità e l’unità” dei territori delle nazioni. L’Indonesia, da parte sua, sta per ufficializzare il piano dettagliato del programma di pensionamento delle centrali elettriche a carbone da 20 miliardi di dollari, finanziato con le economie del G7 e una coalizione di istituzioni finanziarie globali.

 

la fotoIl quartiere di Shinjuku, centro commerciale e amministrativo di Tokyo e sede del nodo ferroviario più trafficato al mondo 

 

L’appello di al-Jaber a Kishida

 

Anche per questo a fine settembre il presidente della COP28, Sultan Ahmed al-Jaber, è volato a Tokyo per chiedere al governo giapponese, guidato da Fumio Kishida e paese membro del G7, più attivismo diplomatico nei confronti dei paesi inquinanti della regione: “La stella polare della presidenza COP28 sta tenendo 1,5 (gradi, ndr) a portata di mano. Per raggiungere questo obiettivo”, ha detto al Jaber in Giappone, “dobbiamo eliminare 22 gigatonnellate di emissioni entro il 2030. Allo stesso tempo, sappiamo che la domanda di energia crescerà di quasi il 25 per cento entro il 2045 e due terzi di tale crescita saranno in Asia".

 

Pertanto, le scelte energetiche che l’Asia farà avranno un impatto enorme per il mondo intero

 

Tokyo conosce molto bene l’insicurezza energetica, ma i recenti sconvolgimenti globali non hanno fatto altro che aggravare la situazione. Tra l’85 e il 90 per cento del fabbisogno energetico nipponico viene soddisfatto dalle importazioni di combustibili fossili (soprattutto GNL), ma quando lo yen s’indebolisce, questo provoca un aumento del prezzo dell’energia importata e la spirale inflazionistica dei prezzi. Non solo: per garantirsi la fornitura stabile di elettricità e allo stesso tempo stare al passo con la neutralità delle emissioni di carbonio, il governo di Tokyo silenziosamente è dovuto tornare all’energia nucleare: 54 reattori nucleari che fornivano circa il 30 per cento dell’energia elettrica del paese, da cui si era completamente staccato dopo il disastro della centrale nucleare di Fukushima nel marzo del 2011. Adesso anche le centrali nucleari più vecchie di quarant’anni potranno essere riattivate. E il primo ministro Kishida lavora, sulla scena internazionale, con i paesi del Golfo per assicurarsi la sicurezza delle importazioni di petrolio. In cambio, Kishida vuole mettere a disposizione le “tecnologie di decarbonizzazione all’avanguardia” del Giappone come parte di un’iniziativa sull’energia green.