Dibattito
Governi & privati
La transizione, tra sfide e opportunità
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ircola l’ipotesi che adottare una politica energetica e un quadro normativa possa favorire la transizione. I paesi che lo fanno sembrano avere maggiori probabilità di adottare anche sistemi di energia sostenibile come il solare fotovoltaico, su cui investono o comunque si concentrano di più, e di passare così molto più rapidamente alle energie rinnovabili. Questa ipotesi si applica in Mozambico? Più in generale, qual è il ruolo della regolamentazione energetica nella transizione energetica?
Partiamo dai numeri. Stando ai dati più recenti della Banca Mondiale, nel 2020 solo il 31 percento della popolazione mozambicana aveva accesso all’elettricità. Nell’aprile di quest’anno il governo del Mozambico ha dichiarato che l’accesso è salito al 43 percento. Quanto alle fonti energetiche, la principale è l’idroelettrica, che rappresenta il 64 percento della generazione di elettricità. Abbiamo anche un generatore termoelettrico alimentato a gas ed energia solare, una novità introdotta dalla legislazione sulla produzione indipendente di energia del 2013. I produttori indipendenti di energia (IPP, Independent Power Producer) generano elettricità e la immettono nel sistema di rete nazionale, che è di proprietà del governo.
Tra gli impianti solari del Mozambico cito quello di Mocuba, nel centro del paese, con capacità di 40 megawatt, quello di Cuamba e di Metoro
Tra gli attori internazionali, Eni con i suoi impianti di gas ha dato avvio all’export nel 2022. Il gas del Mozambico è destinato principalmente all’Europa, contribuendo a sopperire alle carenze causate dal conflitto tra Russia e Ucraina. In questa situazione, il Mozambico è diventato un fornitore alternativo. Lo scopo della normativa, approvata nel 2021, è di stabilire norme e principi per la fornitura di energia elettrica da parte di comunità ed enti privati. Le piccole imprese del settore privato forniscono elettricità nelle aree non collegate alla rete elettrica; stabilisce norme e principi per le comunità, i privati cittadini e il settore privato per la realizzazione di impianti solari fotovoltaici fino a dieci megawatt e per risolvere il problema della povertà energetica. Questa legislazione non ha ancora dispiegato appieno la propria efficacia, perché di fatto è abbastanza recente, risale al dicembre del 2021. Ci sono poi degli strumenti in attesa di approvazione da parte del governo, finora ne sono stati approvati solo 27; questi strumenti consentono ai settori privati di ottenere riduzioni dell’IVA sull’importazione di pannelli solari da Cina, India e Sudafrica, e altre esenzioni fiscali. Queste esenzioni e riduzioni dovrebbero consentire ai consumatori finali, specie alle persone colpite da povertà, di comprare elettricità a una tariffa decisamente bassa; ma se queste misure non verranno applicate, tante famiglie continueranno a non potersi permettere di allacciarsi alla rete.
Chi sono i principali attori energetici in Mozambico? Il primo è il governo, responsabile del 52 percento dell’elettricità disponibile nel paese, e la utility company che produce il 12 percento è di proprietà dello stato, per un totale del 64 percento dell’elettricità. Il solare non ha ancora dispiegato appieno il proprio potenziale, ma aprirà la strada verso la transizione energetica, come il gas. Il Mozambico non si limita a esportare il proprio gas all’UE: infatti, affida il gas prodotto nel sud dalla Sasol a dei produttori indipendenti di energia. Parte dell’elettricità così generata è destinata al consumo interno e contribuisce a colmare il divario energetico e a ridurre la povertà energetica, ma un’altra parte di quest’elettricità viene esportata in Sudafrica. Il Mozambico ha una capacità idroelettrica e di gas enorme che consentirebbe al Paese di generare elettricità anche per tutti i paesi dell’Africa meridionale. Abbiamo anche attori internazionali a livello geopolitico, l’Ue, il Regno Unito, la Svezia, la Germani. In conclusione, gli attori energetici del Mozambico non sono solo i produttori indipendenti di energia del settore privato e i piccoli operatori energetici, ma sono anche realtà internazionali come Eni, l’Ue e gli stati membri, e tutti danno un grande contributo alla definizione dell’attuale quadro di politica energetica del Mozambico.
di Carlos Shenga, direttore del Centre for Research on Governance and Development, Mozambico
Le sfide da affrontare nella transizione
L’allarmante stato di povertà energetica in Africa - circa 40 miliardi di africani non hanno accesso all’elettricità - pone limiti enormi all’industrializzazione, alla creazione di posti di lavoro, alla riduzione della povertà e al raggiungimento di una crescita e di uno sviluppo sostenibili. Purtroppo, la situazione non potrà che peggiorare dato l’andamento demografico del continente, il rapido aumento della popolazione e la rapida urbanizzazione: la domanda di energia è destinata ad aumentare e il carattere limitato dell’offerta renderà la situazione ancor più grave. Ritengo che l’Africa tutta debba essere realistica sulla transizione energetica. Per determinare la strategia energetica bisogna considerare il contesto: l’obiettivo dello zero netto sembra abbastanza realistico per paesi come il Kenya, che ha un mix energetico composto per più dell’80 percento di energie rinnovabili, mentre è poco realistico per paesi come la Nigeria, il cui mix energetico ha una componente di rinnovabili molto bassa. La Nigeria ha riserve di gas enormi ma deve impegnarsi con molto vigore nell’introduzione delle rinnovabili in parallelo all’uso del gas e sul fronte dell’accesso all’energia. Questa è la realtà in un paese come la Nigeria, e la maggior parte dei paesi africani si trova anche a dover affrontare un dilemma politico: investire solo in base al proprio vantaggio comparativo, per esempio sul gas? L’Africa è il continente più esposto agli impatti negativi del cambiamento climatico e pertanto necessita di maggiori investimenti nelle energie rinnovabili sia come strategia complementare sia come strategia per aumentare in modo consistente l’accesso all’energia. Molti attori internazionali e molti settori privati hanno fatto passi da gigante in termini di miglioramento delle opzioni di energia rinnovabile, come nel caso dell’energia solare. Tra questi attori vi sono la World Bank e l’African Development Bank, che danno sia assistenza tecnica sia finanziamenti agevolati con tassi di interesse molto bassi per investimenti rapidi nell’energia solare; c’è l’International Renewable Energy Agency (IRENA), che sostiene nella definizione di una roadmap per l’energia rinnovabile; c’è l’Eni, che svolge un ruolo fondamentale in vari paesi, tra cui il Kenya, e lavora all’opzione rinnovabile dei biocarburanti. Ma le sfide restano: la portata degli investimenti non è ancora sufficiente a garantire un accesso all’energia su larga scala in Africa. Il fabbisogno di finanziamenti è ancora enorme, come anche la necessità di assistenza tecnica, e l’Africa non ha ancora davvero adottato le tecnologie delle rinnovabili. Bisogna sviluppare capacità, fare ricerca e condividere la conoscenza, in modo che gli africani siano in grado di guidare da sé il processo della propria transizione energetica verso le energie rinnovabili. Ci servono pertanto soluzioni sviluppate in Africa, investimenti rapidi dal settore privato, investimenti esteri diretti, investimenti esteri nelle aree rurali e nel trasferimento tecnologico, perché il trasferimento tecnologico è necessario affinché l’Africa possa concretamente adottare le tecnologie per le energie rinnovabili. Servono investimenti mirati che migliorino l’adozione delle tecnologie.
di Chukwuka Onyekwena, Executive Director del Centre for the Study of the Economies of Africa, Nigeria
Il rischio di selezionare i beneficiari degli aiuti
La percezione europea dell’Africa è decisamente distorta, per una serie di motivi legati alle campagne politiche e alla superficialità dei mezzi di comunicazione. Gli osservatori africani sono invece molto più informati e consapevoli di quanto accade in Europa con riferimento all’Africa. Gli europei hanno un atteggiamento paternalistico verso l’Africa, ma in Africa tutto accade a una velocità che non possiamo nemmeno immaginare, con tanti esperti che lavorano e si muovono tra i 55 paesi del continente. Negli ultimi vent’anni l’Africa è diventata teatro di competizione economica, ma la rapidità della globalizzazione mette in crisi gli stereotipi neocoloniali e i pregiudizi paternalistici ancora diffusi. Strana coincidenza, all’inizio di questo millennio, è quasi un’ironia, la Cina è entrata in forze in Africa e proprio allora l’Africa ha iniziato a svilupparsi in modo incontenibile e irreversibile. Riflettiamo su questo. Negli scorsi settant’anni le attività di solidarietà e di cooperazione internazionale del primo mondo non si sono affatto curate di sviluppare infrastrutture per il trasferimento tecnologico in Africa, perché il continente non era industrializzato. Eni rappresenta una rara eccezione, perché invece lo ha fatto. In questo mondo multipolare post-occidentale in cui proliferano partenariati in quella che è una vera e propria corsa all’Africa, gli africani possono scegliere. Possono scegliere tra diversi partner da mettere in implicita o esplicita competizione russi, europei, cinesi, indonesiani, sia in termini politici che più prettamente tecnici. Questi blocchi alternativi al monopolio europeo, con nuovi attori, per esempio, hanno spinto l’Unione europea ad avviare, 9-10 anni dopo, una risposta all’iniziativa cinese attraverso lo EU Global Gateway: una risposta passiva, non proattiva.
Pensiamoci bene: in un momento in cui gli investimenti cinesi e occidentali in Africa si vanno esaurendo, sembra vi sia un nuovo gruppo di paesi a medio reddito, medie potenze, che si sta inserendo o è pronto a inserirsi in questa corsa. In un momento in cui l’African Union, l’unica piattaforma politica istituzionale di portata continentale, e le comunità economiche regionali sono messe in crisi da alcuni dei propri stessi stati membri a causa dell’evoluzione e delle dinamiche politiche in atto, soprattutto in alcuni paesi dell’Africa occidentale ma non solo, non è forse il caso di pensare a punti di ingresso per inserirsi in paesi dalla leadership non più riconosciuta istituzionalmente e ufficialmente, attraverso progetti proattivi per rilanciare lo sviluppo? Perché i leader di Burkina Faso, Mali e altri paesi sono in cerca di nuovi interlocutori. Hanno avuto un colpo di stato, ma non per questo sono fuori dai giochi, anzi, al contrario, è proprio questo il momento di impegnarsi con loro, su altri binari, con la diplomazia ufficiale o di secondo livello, o forse con un terzo livello di diplomazia, che potrebbe essere anche la diplomazia delle città, la cooperazione regionale, insomma qualcosa che faccia da ponte, che sia quel ponte di cui tanto si parla.
Diversamente, il rischio è che i partner europei e occidentali cerchino semplicemente dei paesi affini per mentalità, selezionati sulla base di criteri parziali, democratici o liberaldemocratici che siano, senza alcuna considerazione per il potenziale di questi paesi con cui nessuno vuole impegnarsi, paesi fragilissimi e dai problemi difficilissimi, paesi dilaniati dalla guerra o con territori enormi devastati dalla guerra. Questo è un grosso rischio anche perché nel 2022 gli aiuti ufficiali allo sviluppo da parte dei paesi dell’OCSE e di tutto questo gruppo di altri paesi rifletteva la disuguaglianza dell’ordine internazionale e, lo sappiamo, un forte ritorno all’uso geopolitico degli strumenti finanziari di solidarietà.
Esiste il rischio concreto che l’Africa torni a essere quello che gli studiosi paventano già da due anni
Esiste il rischio concreto che l’Africa torni a essere un terreno di scontro militare nella nuova, presunta, ondata di guerra fredda, il rischio che sia teatro delle cosiddette guerre per procura del terzo millennio, e questo a causa del crescere delle rivalità geopolitiche. Il modo migliore per evitare che ciò accada è trovare vie innovative, gettando ponti diplomatici verso gruppi di interlocutori diversi al di fuori dei canali ufficiali bilaterali e multilaterali che già conosciamo.
di Marco Massoni, docente presso l’Università Luiss