Ultimo numero: 60/The race for critical minerals

Il primo mattone

di Lapo Pistelli 
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Sostenibilità

Il primo mattone

di Lapo Pistelli 

L’International Network on African Energy Transition rappresenta un passo importante nella costruzione di un ponte che annulli le distanze tra Africa ed Europa, facilitando una migliore comprensione reciproca

13 min

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a conoscenza reciproca e un dialogo senza pregiudizi sono condizione essenziale per raggiungere insieme obiettivi ambiziosi in termini di transizione energetica e di sviluppo sostenibile nel continente africano.

Oltre al mio lavoro all’Eni sono presidente di un’organizzazione per l’energia e il clima del Mediterraneo, l’Organisation Méditerranéenne de l’Energie et du Climat (OMEC), che unisce aziende e attori delle due sponde del bacino del Mediterraneo, con membri provenienti dall’Africa settentrionale, parte del Medio Oriente e dai Balcani.

 

Vorrei ricordare l’impressione che ebbi in occasione della nostra assemblea generale al Cairo nel gennaio del 2020, un paio di mesi prima dello scoppio della pandemia. In termini di consapevolezza reciproca, quello è stato forse il momento peggiore della mia vita nel campo dell’energia: in quell’occasione mi resi conto del fatto che il Mediterraneo non era un piccolo bacino bensì un grande mare che divideva sensibilità e problemi. Eravamo là, noi europei, a parlare del nostro percorso di transizione e dei nostri obiettivi, mentre i nostri amici del Nord Africa erano lì a rivendicare, se così posso dire, il loro “orgoglio fossile”. Il dibattito fu molto duro. C’erano rappresentanti della European Investment Bank, presentavano i nuovi criteri di prestito dell’istituto, concentrati esclusivamente sulla transizione verde, ma non parlavano affatto di infrastrutture, di gas e altro. È stato un momento difficile perché lo scopo di OMEC era di promuovere il dialogo tra paesi di diversi continenti, ma la mia percezione era che non ci fosse dialogo. Eravamo su piani diversi.

 

 

La discussione sul trilemma energetico

Ritengo che negli ultimi tre anni il dibattito su clima ed energia sia cresciuto in modo davvero importante. L’Europa, l’Italia, il nord del mondo sono effettivamente molto impegnati nella discussione del cosiddetto trilemma energetico, con maggiore consapevolezza della necessità di affrontare il tema dell’energia, che si articola in tre diversi aspetti da considerare tutti allo stesso tempo, anche se talvolta sono in conflitto l’uno con l’altro. Primo pilastro, la sicurezza energetica, e sappiamo tutti come l’Europa la stia affrontando a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, cercando di affrancarsi dalle tradizionali dipendenze.

 

 

 

 

Secondo pilastro, la transizione energetica, che è un viaggio, e a volte dobbiamo affrontare l’approccio, direi, ideologico di chi pensa che la transizione energetica sia qualcosa di simile alla zucca di Cenerentola che si trasforma in carrozza al tocco della bacchetta magica, insomma, che la transizione energetica possa compiersi dall’oggi al domani, oggi nel mondo nero degli idrocarburi e domani nel mondo verde delle energie rinnovabili. Tutti noi sappiamo bene che per passare da un paradigma all’altro è necessario un grande cambiamento trasformativo delle fonti energetiche, dei vettori energetici, delle infrastrutture e anche degli strumenti finali di utilizzo dell’energia. E il passaggio da una fonte energetica all’altra è sempre un lungo viaggio, come lo è stato passare dal carbone al petrolio, dal petrolio al gas, dal gas al nucleare, dal nucleare all’idroelettrico rinnovabile. E bisogna aggiungere nuove fonti di energia, i vettori di energia e modificare le infrastrutture. Insomma, nel discorso mondiale sul clima dobbiamo correre una maratona alla velocità con cui si corrono i 100 metri, e non è affatto facile.

 

Terzo pilastro del trilemma energetico riguarda la sostenibilità economica, perché negli ultimi tre anni abbiamo sperimentato che se ci si concentra troppo sulla transizione e si trascura la sicurezza energetica, i prezzi delle materie prime salgono alle stelle e le famiglie e le imprese protestano per il costo dell’energia. Per contro, se ci si concentra troppo sulla sicurezza energetica si rischia di trascurare la necessità della transizione e si tende a sottovalutare come i primi due pilastri, sicurezza e transizione, debbano essere accessibili, accessibili per i governi, per la spesa pubblica ma anche per le famiglie e le imprese. Questo è il trilemma. È facile affrontare un argomento per volta, ma non lo è affatto affrontarne tre contemporaneamente.

 

 

Percezioni distorte

Quando si parla di Africa, io so che come europeo - pur essendo un europeo molto particolare, un “homo Eni” che l’Africa la frequenta - devo superare molte percezioni distorte sul continente. Anche se l’Unione Europea parla molto dell’Africa, la mia percezione è che spesso noi europei parliamo dell’Africa senza davvero conoscerla. Fondamentalmente, se guardiamo i dati mondiali sull’economia vediamo che l’Africa è fuori dai giochi. Eppure, è un continente enorme, potenzialmente ricchissimo.

 

 

 

la fotoUna sala di lettura della Biblioteca Alexandrina, importante centro di cultura dell’area del mar Mediterraneo, situata nella città di Alessandria, in Egitto.

 

 

Sappiamo che ci sono molte Afriche, non una sola, ma sappiamo che l’Africa nella sua interezza contribuisce per meno del 3 percento al PIL mondiale e per meno del 3 percento alle emissioni mondiali. Eppure, è il continente che soffre più di tutti delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Questa è la grande contraddizione che dobbiamo affrontare. E tra lo sviluppo africano e la transizione africana ci sono dei legami che nel nord del mondo noi trascuriamo o non consideriamo a sufficienza: il legame tra cambiamenti climatici e sicurezza alimentare, il legame tra cambiamenti climatici e migrazione interna e internazionale. Sono questioni che nella nostra percezione distorta tendiamo a separare l’una dall’altra e che, invece, in Africa sono collegate tra loro.

 

Parliamo di approccio olistico, e questo consiste proprio nel considerare tutti i pilastri e tutte le questioni, tutti insieme, allo stesso tempo. Le nostre conversazioni con i responsabili politici internazionali e con le banche multilaterali ne risentono. Per fare un esempio, se si esaminano i criteri di prestito in materia di energia dell’African Development Bank, della Banca Mondiale, dell’International Finance Corporation (IFC), della European Investment Bank, si nota che ciò che è ammissibile per alcune banche non lo è per altre. Alcune pensano che per l’Africa ci sia un’unica soluzione: un balzo in avanti, cioè che basti sviluppare tutto quello che si può per le energie rinnovabili, e il gioco è fatto. Noi sappiamo, tuttavia, che per quanto l’Africa sia ricchissima di nuove fonti energetiche, nei suoi venti, nelle sue acque e nel sottosuolo, non è tutto qui.

 

Sappiamo che nelle aree remote le energie rinnovabili off-grid e mini-grid possono essere una soluzione importante per il problema, seppur non siano la soluzione finale, ma sappiamo anche che se si vuole fornire energia affidabile e continua alle grandi città e alle megalopoli, che in Africa sono in forte crescita, non bastano le rinnovabili. Il cuore della soluzione per le energie rinnovabili in Africa è che il continente sviluppi le proprie risorse interne di supporto alla transizione, come ad esempio il gas, e le utilizzi per il proprio sviluppo. Non è tuttavia facile trasmettere questo messaggio quando ci si trova a Washington o a Bruxelles e negli altri luoghi dove si prendono le grandi decisioni. Penso quindi che l’istituzione di una piattaforma come l’International Network on African Energy Transition possa essere davvero utile per aumentare la consapevolezza della necessità di conoscenza e consapevolezza reciproche, della necessità di comprendere a fondo il punto di vista gli uni degli altri. Per me, per Eni, per tutti gli europei, questa percezione è estremamente importante.

 

Auspico anche che i pregiudizi che a volte si manifestano nelle conversazioni europee sull’energia non siano sempre visti dell’Africa come segno di cattiva volontà quanto invece come spie di una percezione erronea su cui bisogna lavorare. Dobbiamo agire in buona fede e con buona volontà per creare un ponte che annulli le divisioni.

 

 

Umiltà, tempestività, ambizione

Un commento semplice su tre parole: la prima è umiltà. L’umiltà è un prerequisito fondamentale per trattare dell’Africa, perché è un argomento vastissimo. Ci sono tanti buoni propositi, e apprezzo molto l’idea avanzata dal governo italiano l’anno scorso del cosiddetto Piano Mattei: l’idea è quella di creare, nel prossimo futuro, una piattaforma ben strutturata per un programma pluriennale di interventi in Africa. Ma sappiamo che ogni singola iniziativa ha valore, perché ogni cosa che facciamo ha un valore, ma ha anche dei limiti, e l’Africa è troppo grande persino per la Cina, figuriamoci per l’Italia. Siamo un paese europeo medio-piccolo che si affaccia su un continente enorme in via di sviluppo e di crescita: dobbiamo considerarlo nella sua interezza, ascoltare tutte le sue voci, e non pensare che ci sia un’unica soluzione per tutto. E per questo ci serve umiltà. L’Africa ha un menù vastissimo di esigenze, situazioni, mix energetici e punti di vista e di partenza diversi. Gli argomenti sono così tanti e tutti interconnessi tra loro che dobbiamo necessariamente affrontarli con umiltà.

 

 

 

la foto

 

 

La seconda parola è tempestività. Questa Conferenza è tempestiva, cioè si è tenuta nel momento giusto, a poche settimane alla COP28 di Dubai. Ripenso a quanto detto su cambiamento climatico e transizione energetica non alla COP21 di Parigi del 2015 ma nelle ultime due edizioni dell’evento, la COP26 di Glasgow e la COP27 di Sharm el-Sheikh. Devo purtroppo semplificare molto, ma ricordo che alla COP26 ci si concentrava su Europa e Stati Uniti e sulle modalità di adesione ad alcuni obiettivi da parte di Cina, India, Russia e basta: fondamentalmente, il sud del mondo non c’era, e non c’erano le società energetiche, che erano considerate parte del problema e non della soluzione. La COP27 è stata invece una conferenza di tipo nuovo, anche se un po’ disordinata, con diversi eventi collaterali che si svolgevano contemporaneamente, nello stesso giorno e alla stessa ora. Là percepivo chiaramente che il sud del mondo era presente e che cominciava a farsi sentire su qualcosa, adattamento e mitigazione, perdite e danni, questioni cruciali della transizione energetica. E allora Eni si è fatta avanti per dire che siamo sviluppatori non solo di energia ma anche di tecnologia, che abbiamo delle soluzioni che potrebbero essere utili per alcuni paesi e che abbiamo una certa esperienza in determinati paesi.

 

La COP28 di Dubai sarà davvero un momento cruciale, per riconciliare la climate community e la energy community, per fare parlare assieme i decisori politici e l’industria, per darci obiettivi ma anche tappe di verifica per raggiungerli. Se faremo così, con pragmatismo e determinazione poi non ci saranno sconti per nessuno. La terza e ultima parola è ambizione. Quando si fa un progetto serve una certa dose di ambizione, e questa piattaforma non è l’unica disponibile per il dialogo tra africani ed europei, tra italiani e africani, ma è un’ottima piattaforma, non è l’unica ma è eccellente. È il primo mattone per costruire non un muro (come quello che richiamavo del 2020), bensì un ponte che unisca le due parti e che ci porti a una migliore comprensione reciproca. Non è scontato, ma da qui parte la nostra ambizione.