Ultimo numero: 60/The race for critical minerals

Quali risorse?

di autori vari
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Dibattito

Quali risorse?

di autori vari

Dai cosiddetti 'minerali strategici' al biodiesel, passando per l'economia circolare ma anche per il petrolio. Il potenziale dell'Africa per la transizione energetica pulita richiede di costruire una nuova partnership con il continente.  Idee a confronto

15 min

Q

uello delle risorse necessarie per lo sviluppo dell’Africa è un tema molto ambizioso, che spazia dalle risorse alle soluzioni e, direi, anche alle opportunità. Tra queste, sono importanti quelle che si offrono ai giovani. Per questo motivo stiamo promuovendo alcuni interventi, insieme a una rete di dieci università italiane.

L’Africa è sul suo percorso di sviluppo sostenibile, ma non dimentichiamo che quest’area del mondo si sta oggi riscaldando ad una velocità 20 percento maggiore di quella globale. Siamo indubbiamente in sofferenza. Per questo è necessario sostenere il Continente, anche attraverso un aiuto ai giovani, e ripensare il modo in cui collaborare con l’Africa: è necessario farlo seguendo un approccio win-win.

 

 

di David Chiaramonti, Vice Rettore del Politecnico di Torino

 

 

 

Un forte divario tra Nord e Sud

 

L’Africa è il principale deposito di quelli che chiamiamo “minerali strategici”, necessari per la conversione energetica o per l’industria alternativa. In termini di sviluppo e di evoluzione, tra il Nord e il Sud del mondo il divario è molto elevato. Ma alla luce di ciò, stiamo andando verso la collaborazione oppure verso lo scontro? È questa la grande domanda del futuro che riguarda il Nord e il Sud - e l’Africa in generale, che è il principale fornitore di questi minerali - per superare tutte le sfide che stiamo affrontando in quanto esseri umani. Il fatto è che l’Africa costituisce un terreno fertile per l’influsso di attori esterni, come Stati Uniti, Europa, Cina, Russia, Giappone, India, Australia. Come si potrebbe reinventare il partenariato tra l’Africa e il Nord del mondo? Bisogna reinventare o ripensare il modo di avere a che fare con l’Africa. E questa è una sfida tanto per gli africani quanto per gli europei o per il Nord. Non si tratta solo di soddisfare i requisiti o gli standard per contenere il cambiamento climatico, dunque: la sfida più grande riguarda la collaborazione in tal senso, per evitare lo scontro. In Italia esiste il cosiddetto “Piano Mattei”, un piano appositamente dedicato per collaborare con l’Africa secondo un approccio win-win. Dobbiamo assolutamente costruire questo tipo di partnership, perché mancano molte delle risorse menzionate per la transizione. Solo con le nuove elezioni, che si terranno a metà del prossimo anno, potremo vedere quale direzione sarà intrapresa a livello europeo. L’esito delle elezioni avrà un notevole impatto su tutto ciò.

 

di Arslan Chikhaoui, presidente esecutivo di Nord Sud Ventures, Algeria

 

 

 

Biodiesel e progetti agro energetici in Ruanda

 

Il cambiamento climatico è un grande problema per tutti noi ed è palese l’impatto negativo che sta avendo in tutto il mondo. Ma cosa siamo pronti a fare per cercare di affrontare il problema? In Ruanda, per ridurre le emissioni di gas serra, nel 2007 è stato avviato un progetto di produzione di biodiesel con l’intento di utilizzarlo nel settore dei trasporti, a livello domestico e come combustibile per la produzione di energia elettrica. Quello che abbiamo fatto è solo un progetto pilota. L’impianto è stato realizzato per produrre almeno 2.000 litri di biodiesel al giorno, che abbiamo testato ad esempio nel settore dei trasporti - gli autobus verdi che collegavano Kigali a Bujumbura erano alimentati a biodiesel - oppure per l’illuminazione domestica e per fornelli da cucina. La maggior parte delle persone che ne fanno uso apprezza molto il prodotto, ritenendolo più sicuro del diesel. La stessa produzione di biodiesel solleva un problema noto a tutti, dal momento in alcuni casi la terra utilizzata per produrre le colture da cui estrarre l’olio vegetale viene sottratta alla produzione alimentare.

 

 

la fotoIn Ruanda, per ridurre le emissioni di gas serra, nel 2007 è stato avviato un progetto di produzione di biodiesel con l’intento di utilizzarlo nel settore dei trasporti, a livello domestico e come combustibile per la produzione di energia elettrica

 

 

Esiste quindi un modo per ripensare strategicamente a come affrontare la questione della sicurezza alimentare senza minacciare anche gli aspetti economici? Il nostro governo ha avviato un partenariato strategico con Eni, che ha portato alla firma di un protocollo d’intesa nel 2022, con il quale la società integrata dell'energia sostiene il governo ruandese attraverso una serie di iniziative, inclusa la realizzazione di progetti agro-energetici. Un progetto agro-energetico è già stato avviato: abbiamo iniziato a coltivare in modo sostenibile semi di ricino da distribuire ad altri Paesi africani. Il Ruanda è un Paese molto piccolo, non abbiamo spazio a sufficienza per coltivare tutto quello che può servire per produrre bioenergia, né possiamo sottrarre terra alle filiere alimentari né andare in competizione con loro per evitare di minare la sicurezza alimentare. Moltiplicare i semi in Ruanda e trasferirli per esempio in Kenya, in Mozambico, in Angola o Congo-Brazzaville, potrebbe essere un modo per produrre di più sul suolo africano, sviluppare competenze e avere più materie prime per sviluppare la filiera dei biocarburanti. Dal canto nostro, crediamo che questo sia un modo davvero sostenibile per risolvere la questione del cambiamento climatico.

 

di Christian Sekomo Birame, Direttore Generale della National Industrial and Research Agency in Ruanda

 

 

 

Un sistema unificato, guardando all’Ue

 

 

Quando parliamo di una transizione energetica giusta, dobbiamo prestare attenzione anche all’aspetto politico ed economico. Il primo aspetto su cui riflettere è questo: cosa giustifica la riluttanza di molti Paesi, soprattutto africani, a prendere sul serio questo dialogo sulla transizione energetica? Tra i principali elementi da considerare, c’è l’investimento. Un miliardario nigeriano ha attualmente investito fino a 16 miliardi di dollari in una raffineria di petrolio senza nemmeno iniziare a gestirla. Come si può mai pensare di parlargli di energie rinnovabili? Come fa a recuperare quanto ha investito? È un punto su cui riflettere. Secondo: la proprietà. La proprietà va a braccetto con la sovranità. Molti Paesi africani possiedono risorse del sottosuolo, come combustibili fossili, petrolio greggio. La presenza di tutte queste risorse fa sì che questi Paesi si sentano in diritto di sfruttarle. Ma poi si parla loro di transizione, di rinunciarvi. E poi c’è l’aspetto della fiducia economica: la Nigeria, per esempio, commercia greggio da molto tempo e ne è il più grande esportatore. Ciò che però le conferisce la maggior parte del suo valore è il forex, che in questo momento è in calo. E anche qui si va a parlare di transizione. Dunque, è necessario ampliare il dialogo politico-economico se si intende stimolare realmente questo movimento che ruota attorno alla transizione energetica.

 

Quello che l’Africa, come continente, ha fatto di recente è il cosiddetto Trattato di Libero Commercio Continentale Africano. L’Unione africana ha proposto l’AfCFTA sulla falsariga di quanto avviene col mercato unico dell’UE. In un certo senso, creiamo un sistema unificato che potremmo definire sia giuridico che economico. Il vantaggio di questo regime, oltre a quello della transizione energetica, è che l’AfCFTA affronta alcuni dei problemi che si pongono quando si pensa di passare a un’energia affidabile. Con l’AfCFTA, ad esempio, vengono eliminate le tariffe doganali durante gli scambi commerciali tra i Paesi africani: ciò significa che gli investitori, quando pensano a dove investire, non legano necessariamente il loro rendimento a quel particolare Paese, ma iniziano a considerare il mercato africano come un unico mercato. C’è anche la questione del finanziamento: uno dei protocolli dell’AfCFTA riguarda gli investimenti. Il protocollo serve a creare un regime unificato per gli investimenti nell’ambito dell’AfCFTA.

 

 

la fotoUno degli sviluppi più sorprendenti degli ultimi 20 anni è quello che ha riguardato i sistemi di conversione dell’energia solare, come le celle fotovoltaiche inorganiche o organiche

 

 

Oltre alla libera circolazione delle merci, l’AfCFTA promuove anche la libera circolazione delle persone all’interno del continente, analogamente a quanto realizzato dall’Unione Europea. Ciò significa che, se sto realizzando un progetto in Ruanda, posso ottenere competenze tecniche dal Kenya o dall’Uganda senza pensare ad un aumento delle tasse o del costo del lavoro, semplicemente perché ora, grazie all’AfCFTA, le persone possono muoversi liberamente senza dover ottenere un permesso di lavoro. I Paesi, dunque, possono risolvere da soli molti dei problemi economici, ma quando si pensa agli investimenti nelle energie rinnovabili, agli investimenti in una giusta transizione energetica, soprattutto per il continente africano, per evitare molti influssi esterni una è la concorrenza, vale a dire la concorrenza leale, che non può esistere senza regole e pratiche uniformi.

Un secondo punto riguarda la certezza di ritorno sull’investimento in termini di mercato in modo da poter vendere, perché ora esistono più off-taker. In terzo luogo, la struttura e il regime di finanziamento devono essere prevalentemente unificati ed efficaci. Solo allora l’AfCFTA diventa un ottimo regime legale istituito dal continente cui fare riferimento.

 

 

di Alexander Ezenagu, Direttore dell’AfCFTA Policy Centre presso la Strathmore University del Kenya

 

 

L’importanza di un approccio all’economia circolare

 

Per quanto riguarda i percorsi di sviluppo dell’Africa e le risorse necessarie, ritengo si debba seguire quello che oggi viene chiamato “approccio all’economia circolare”. Dobbiamo utilizzare le nostre tecnologie in modo da riciclare le risorse rare che abbiamo, come il litio, il cobalto, il cadmio e il piombo. Le tecnologie di cui abbiamo bisogno non servono solo per il riciclo, ma anche perché la maggior parte di queste terre rare o metalli pesanti inquina l’ambiente e rappresenta un pericolo per l’uomo. Il secondo punto in questione, parlando di economia circolare, è che dobbiamo trasformare i rifiuti in oro. Alcuni rifiuti provenienti dalle industrie o anche le piante invasive indesiderate, come il giacinto d’acqua, stanno inquinando l’ecosistema idrico in molte parti dell’Africa, soprattutto in Etiopia e in Egitto. Si tratta di un enorme problema ambientale che va a incidere sulla risorsa idrica. Il terzo punto è che dobbiamo produrre combustibili solari. Uno degli sviluppi più sorprendenti degli ultimi 20 anni è quello che ha riguardato i sistemi di conversione dell’energia solare, come le celle fotovoltaiche inorganiche o organiche.

L’Africa è ricca di energia solare, eolica e idroelettrica

Soprattutto per il mio Paese, l’Etiopia è molto controverso e delicato concentrarsi sull’energia idroelettrica. Ma l’energia solare è gratuita, ce n’è in abbondanza ed è inesauribile. Con lo sviluppo dei pannelli solari, siano essi prodotti con materiali organici o inorganici, è possibile utilizzare l’energia solare per convertirla in combustibili utili. Una possibilità è quella di elettrolizzare l’abbondante risorsa idrica di cui disponiamo: tre quarti del nostro pianeta è fatto di acqua. Non serve acqua pura per l’elettrificazione e l’utilizzo per la produzione di idrogeno. Non solo: è possibile utilizzare l’anidride carbonica presente nell’atmosfera e i metodi elettrochimici, è possibile produrre carburanti ricchi di carbonio come il metano, il metanolo e così via. Si tratta di un importante approccio all’economia circolare in cui è possibile utilizzare l’abbondante energia solare per produrre il combustibile desiderato e poi riutilizzarlo. A quale scopo? Soppiantare i metodi convenzionali. Detto questo, l’appello che rivolgo ai nostri Paesi sviluppati, con umiltà, è che devono passare o intensificare il passaggio da tecnologie ad alta intensità di risorse a tecnologie ad alta intensità di tecnologia.

 

 

di Shimelis Admassie Molla, professore all’Università di Addis Abeba, in Etiopia

 

 

 

La necessità di un maggiore  sviluppo industriale

 

 

Io credo che ciò che serve in generale ai Paesi africani è diventare verdi, ma le esigenze del continente vanno oltre: serve, cioè, una transizione dei sistemi produttivi ed energetici verso processi sostenibili. Riteniamo che l’opportunità all’orizzonte, soprattutto grazie a questa ondata di nuove tecnologie, richieda lo sviluppo combinato di alcune capacità industriali. Concentrandoci sul fotovoltaico, dato che la riteniamo la tecnologia di transizione verde più sviluppata e più diffusa, abbiamo cercato di vedere quali opportunità hanno i Paesi africani, tanto dal punto di vista della dotazione di risorse quanto da quello della produzione.

 

La conclusione principale della nostra analisi è che, se si considera l’abbondanza di irradiazione solare e di risorse di cui dispongono i Paesi africani, le opportunità sono molto limitate. Questo perché sia le risorse minerarie sia gli investimenti, in alcuni di questi processi produttivi, risultato piuttosto contenuti. È necessario utilizzare il solare fotovoltaico prodotto altrove per la generazione di energia elettrica, in modo da risolvere in primis la povertà energetica del continente per poi promuovere altre forme di industrializzazione, oltre a quella legata al solare. Una raccomandazione politica fondamentale, che credo tocchi molto da vicino le questioni dell’AfCFTA, riguarda quindi la necessità di regionalizzare alcuni di questi obiettivi, in modo da permettere ai vari Paesi di completarsi a vicenda.

 

 

di Elvis K. Avenyo, ricercatore senior dell’Università di Johannesburg