Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
Il voto potrebbe essere influenzato dal "clima"di Roberto Di Giovan Paolo 

Elezioni

Il voto potrebbe essere influenzato dal "clima"

di Roberto Di Giovan Paolo 

Nel 2024 vota almeno il quaranta per cento della popolazione mondiale, con le superpotenze Usa, Russia, India e Gran Bretagna in prima fila. Il cambiamento climatico e le sue polemiche sono uno dei momenti di dibattito divisivo

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Ormai lo hanno detto in tutte le salse: il 2024 è uno dei grandi anni “elettorali”, come non accadeva da tempo.

E considerando Usa e Russia, ma soprattutto l’India, che tra poco più di un decennio dovrebbe superare la Cina per popolazione, milioni e milioni di persone andranno ai seggi in uno scenario internazionale per nulla rassicurante: guerre che continuano, guerre che sono esplose nel 2022 e nel finire del 2023, pressioni politiche nel campo dei diritti umani ma anche dello scenario ambientale.

 

Quest’ultimo, sospeso tra una Cop e l’altra sta diventando anche uno dei temi dell’agenda politica e in alcuni casi potrebbe essere anche determinante nelle scelte finali. Vediamo perché. È dalla Cop 24 (ora veleggiamo verso la Cop29 a novembre prossimo a Baku, in Azerbaijan) che il tema carbone è stato messo sotto la lente di ingrandimento e nonostante ci sia almeno su questo tema un accordo tra tutte le parti, ci sono Nazioni dove esso è ancora in forte produzione e argomento di dibattito tra ambientalismo, lavoro, produzione di energia a basso costo. Non c’è dubbio che sicuramente costituisca uno dei temi di campagna elettorale in Indonesia, dove in verità nessuno dei candidati ha presentato un suo specifico piano ambientale; in Sudafrica dove è una spina nel fianco dei rapporti tra l’ ANC e il sindacato, che pure fa parte della galassia politica del “partito-guida” e naturalmente in India, dove però le posizioni di Modi, Premier uscente e probabilmente rientrante, sono più complesse, nel tentativo di usare un mix di energie antiche e nuove e dove la spinta all’ innovazione energetica e tecnologica fa i conti con le arretratezze di un Paese che tenta di ammodernarsi, di contare nella Cop e sulla scena internazionale con i Paesi BRICS e Plus (quelli che chiedono di aderire in una visione che una volta si sarebbe detta dei “non allineati”).

 

Sudamerica tra nuove presidenze ed elezioni

Vi è poi da dare uno sguardo al Sudamerica dove, dopo il ritorno di Lula in Brasile e la nuova Presidenza Milei in Argentina, si vota in Venezuela tra qualche spiraglio di apertura e soprattutto in America Centrale (ma culturalmente assimilabile al Latino America), ovvero in Messico. Qui rispetto al Venezuela con Maduro sempre in “pole position”, la partita per la vittoria potrebbe vedere prevalere la Sindaca di Città del Messico, Claudia Sheinbaum, che sarebbe la prima donna presidente del Paese ed ha un curriculum di scienziata ambientalista, un po’ divergente dalle politiche di quello che comunque è stato il suo “padre” politico, ovvero il Presidente Manuel Lopez Obrador. Lei si muove in equilibrio per il momento, promettendo energie rinnovabili e protezione dell’ambiente senza rinnegare i doveri verso il popolo messicano, vale a dire non dimenticare che la crescita ultima del Paese si è fatta anche sfruttando meglio e in maniera più “green” i fossili.

 

Un voto nella direzione del Green Deal

L’ Unione Europea va al voto come insieme. Il che vuol dire spesso-non solo in Italia- un voto più libero dalle vicende interne e tuttavia la Presidente della Commissione Von Der Leyen ha legato la sua missione di questi anni di Presidenza alla vicenda del “Green Deal” e all’ambizione di divenire il continente politico più all’avanguardia, nonostante l’UE sia responsabile di solo il 10 per cento, e forse meno, delle emissioni di Co2 nel mondo. Un voto che non premiasse la sua coalizione di Popolari, Socialisti democratici, liberali progressisti e alcuni terzaforzisti, rischierebbe di frenare questa spinta. Considerando anche che i riflessi interni del voto non cambieranno immediatamente i responsabili politici di ogni Paese della UE, ma certamente ne ispirerebbero le scelte future in uno scenario in cui il Consiglio Europeo di Capi del Governo e degli Stati ha ancora prevalenza, almeno fino a che non ci sarà una nuova fase dei Trattati istituzionali, su Commissione e Parlamento comune.

 

La via inglese all’energia

Nello spazio europeo anche se non più nella UE dopo la Brexit, va al voto anche la Gran Bretagna, con sondaggi che danno vincente Keir Starmer, leader “blairiano” dei Laburisti. Ha una posizione certamente e naturalmente “pro Cop” e favorevole alla lotta ai cambiamenti climatici, ma molto equilibrata, per confermare la sua attitudine a governare. E qui si inserisce il tentativo del premier uscente Rishi Sunak che ha “tenuto botta” - anche un po’ a sorpresa - in questi anni di declino politico del partito Conservatore, e cerca a ogni costo alcune politiche impattanti sull’ opinione pubblica, contestando l’ambientalismo di alcune scelte precedenti (anche del suo partito) e promettendo una “via inglese” all’ energia che garantisca contro gli effetti, ancora molto incidenti, delle politiche di “Green Deal” UE sul mercato britannico.

 

Russia e Usa tra conferme e nulla di scontato

Siamo giunti così alle due superpotenze, una volta uniche due superpotenze, prima dell’avvento della Cina e poi dell’India. Ovvero Russia e Usa. Nel primo caso non crediamo di essere smentiti immaginando una continuità di Putin e anche una continuità di assenza di influenza delle politiche ambientaliste, che non sono proprio la “tazza di tè” del Presidente uscente, e rientrante. Diverso è il caso degli Stati Uniti d’ America, dove di Trump sappiamo che intenderebbe riprendere il filo della sua politica di uscita diretta dal Trattato di Parigi  sul cambiamento climatico, mentre Biden ha dovuto mettere in atto tutto il suo trentennale “savoir-faire” istituzionale e la perfetta conoscenza dei meandri di Washington e delle mediazioni di Congresso e Senato, per effettuare più di uno slalom tra trivellazioni necessarie e corpi di volontari dell’ ambientalismo, tra legislazione Obamiana e quella Trumpiana.  Qui, e soprattutto qui, in Usa, nulla è scontato e il voto sarà certamente con un traguardo conteso al millimetro. L’ ambientalismo potrebbe essere determinante? Potrebbe. Ma non lo sappiamo davvero.

L’ unica cosa che sappiamo è che l’elezione è una “ripetizione” e vede in campo due contendenti già molto avanti d’ età, quattro anni fa. Di certo potrebbe anche, questa considerazione, avere il suo effetto.