Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
Terre rare, il bando della Cina: sfida o opportunità?
 
di Alessio Sangiorgio

Energia

Terre rare, il bando della Cina: sfida o opportunità?
 

di Alessio Sangiorgio

Il bando di Pechino sull’export di tecnologie di raffinazione delle terre rare mette in evidenza le criticità legate ai famosi 17 elementi, alla luce della loro crescente importanza in aeree chiave della transizione energetica e dell’industria della difesa

10 min

Il 21 dicembre 2023, Pechino, leader mondiale nel settore delle terre rare, ha annunciato un divieto sulle esportazioni di tecnologie per la lavorazione delle terre rare. La misura prevede l'inserimento delle tecnologie per la separazione e purificazione delle terre rare nel "catalogo di tecnologie vietate e ristrette all'esportazione", estendendo il divieto che in precedenza comprendeva tecnologie per l’estrazione e per la fabbricazione di magneti permanenti. La Cina, responsabile secondo la IEA, di circa il 60% della produzione globale e del 90% della capacità di raffinazione di questi elementi, mira a mantenere il suo quasi monopolio, ostacolando lo sviluppo di impianti di lavorazione in altri paesi. Il bando cinese si inserisce inoltre in un quadro più ampio di tensioni commerciali preesistenti tra Cina e Occidente, con le restrizioni statunitensi all'importazione di chip cinesi e le limitazioni cinesi all'esportazione di altri minerali critici per le tecnologie verdi, quali gallio, germanio e grafite, che hanno contribuito a un clima di incertezza per la transizione energetica globale.

 

Cosa sono

Anche le terre rare rivestono un ruolo cruciale in un'ampia gamma di tecnologie indispensabili alla transizione energetica, soprattutto nella produzione di magneti permanenti utilizzati in turbine eoliche e veicoli elettrici. Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici che comprende scandio, ittrio, lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio e lutezio. La loro rilevanza si estende anche ai settori dei dispositivi mobili e dei semiconduttori e per le tecnologie di difesa, come dispositivi di mira laser, sistemi radar e tecnologie aerospaziali. Negli Stati Uniti è proprio nell’ambito militare che la presenza di componenti di fabbricazione cinese ha già sollevato criticità. La dipendenza dalla Cina aumenterebbe con la crescita della domanda globale di terre rare, con previsioni che indicano un aumento di 4-5 volte entro il 2030, e di 11-13 volte entro il 2050. Eppure, nonostante il nome suggerisca una rarità, i diciassette elementi classificati come terre rare sono relativamente abbondanti nella crosta terrestre. La loro lavorazione, tuttavia, presenta notevoli sfide.  Le terre rare sono infatti spesso trovate in basse concentrazioni e mescolate con altri elementi comuni come ferro e rame, ma anche radioattivi come torio e uranio. La separazione dagli altri minerali inutilizzati o nocivi è necessaria per il loro effettivo utilizzo, ma questi processi sono costosi e presentano un notevole impatto ambientale, richiedendo tecnologie specializzate.

 

Il ruolo della Cina

Virtualmente nessuna compagnia fuori dalla Cina è in grado di eseguire lo stesso processo di lavorazione su scala industriale e per alcuni elementi, come il disprosio, la quota di raffinazione cinese arriva al 99,9%. La Cina è entrata nel mercato delle terre rare negli anni '80, incentivata da Deng Xiaoping, che già nel 1987 prevedeva l'importanza strategica di queste risorse affermando che "il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare". Il paese dispone infatti dei maggiori giacimenti mondiali di queste risorse, come la miniera di Bayan Obo, stimata di contenere il 40% delle riserve mondiali. Nei decenni successivi, un intenso sviluppo tecnologico nel settore ha conferito alla Cina un vantaggio comparato rispetto agli altri produttori. La strategia cinese, inoltre, caratterizzata da un'intensa integrazione tra produzione e raffinazione insieme ad una scarsa attenzione delle conseguenze ambientali e a bassi costi di manodopera, ha permesso al paese entro gli anni '90 di superare gli Stati Uniti, divenendo il principale produttore di terre rare e raggiungendo nel 2010 il 95% della produzione e raffinazione globale.

 

Allarmante dipendenza

La dipendenza da Pechino ha da tempo allarmato sia Washington che Bruxelles, i quali la considerano un rischio per la sicurezza delle proprie catene di approvvigionamento. D’altronde, la Cina ha già sfruttato la sua posizione per manipolare il mercato già durante la crisi del 2010-2011, quando ridusse le proprie quote di esportazione di terre rare del 37% provocando un significativo aumento dei prezzi. Alcuni elementi come l'europio e il disprosio videro il proprio valore rispettivamente triplicare e decuplicare. La disputa raggiunse un punto critico quando nel 2012 Stati Uniti, Unione Europea e Giappone portarono il caso al World Trade Organization (WTO). Nel 2014, il WTO diede loro ragione, obbligando la Cina a rimuovere le restrizioni imposte. A causa dei timori suscitati da questa crisi, la domanda internazionale ha cercato nuovi fornitori. Nuove compagnie minerarie sono emerse in Australia, Myanmar e Stati Uniti; tuttavia, questi competitor sono entrati nel mercato solo nella fase estrattiva. La Cina rappresenta ancora il 90% della quota globale di raffinazione, grazie alle sue tecnologie di separazione e purificazione. Gli altri produttori sono costretti, anche dopo aver sviluppato una capacità estrattiva domestica, ad esportare il materiale grezzo in Cina per la raffinazione. L'espansione del "catalogo di tecnologie vietate e ristrette per l'esportazione" preserva questo vantaggio, limitando la diffusione degli strumenti essenziali per la lavorazione delle terre rare.

 

Quali alternative

I principali importatori hanno ricercato soluzioni alternative, incentivando lo sfruttamento minerario domestico e finanziando compagnie alternative a quelle cinesi. Il Giappone, anticipando il rischio di nuove restrizioni commerciali analoghe a quelle del 2010-2011, ha intrapreso una diversificazione delle proprie fonti di approvvigionamento. La Japan Oil, Gas and Metals National Corporation e il conglomerato Sojitz hanno investito 131 milioni USD in Lynas Rare Earths, un'impresa mineraria australiana, al fine di sviluppare una capacità di raffinazione alternativa a quella cinese. Lynas è l'unico produttore alternativo alla Cina in grado di separare e purificare terre rare su larga scala ed ha attratto significativi investimenti anche dal Dipartimento della Difesa Statunitense, per 258 milioni USD. L'azienda opera un impianto di raffinazione in Malesia, ma la produzione è stata bloccata a causa di rischi di contaminazione ambientale e il governo malesiano sta valutando la revoca definitiva della concessione. Lynas intende espandere le sue operazioni con un nuovo impianto di raffinazione in costruzione a Kalgoorlie, Australia Occidentale previsto per il 2025, ed uno a Seadrift, Texas, finanziato dal governo statunitense, ma previsto non prima del 2026. Gli investimenti di Washington non si sono concentrati solo su Lynas; circa 200 milioni USD sono stati riservati ad aziende americane nel settore delle terre rare, con 35 milioni USD destinati a MP Materials, proprietaria della miniera di Mountain Pass, California. Negli anni ‘80 Mountain Pass rappresentava uno dei maggiori centri di produzione di terre rare al mondo, prima di essere messa fuori mercato dalla concorrenza cinese. Nel 2017, la nuova gestione di MP Materials ha riaperto il sito con l'ambizione di espandersi dall'estrazione alla raffinazione. Un impianto di separazione e purificazione è in costruzione a Fort Worth, Texas, beneficiando degli incentivi fiscali previsti per i produttori domestici di materiali critici dell'Inflation Reduction Act (IRA). Tuttavia, attualmente la capacità di raffinazione rimane assente, con il materiale estratto a Mountain Pass ancora esportato e processato in Cina.

 

L’industria europea

L’UE, l’altro grande acquirente di terre rare cinese, dispone sia di capacità estrattiva che di raffinazione domestiche scarse. Il Critical Raw Material Act (CRMA) classifica i minerali strategici di fondamentale importanza per l'industria europea, stabilendo obiettivi precisi: raggiungere il 10% dell'estrazione attraverso fonti interne e il 40% della capacità di raffinazione a livello domestico entro il 2030. Vista la loro criticità, le terre rare sono state inserite nell’elenco di materiali compresi in questi target. Il CRMA formula strategie per incrementare la produzione interna, quali l'accelerazione delle procedure per le concessioni minerarie e il rafforzamento delle iniziative di riciclaggio. Inoltre, un'analisi preliminare della commissione effettuata nell'ambito del CRMA sottolinea l'importanza delle tecnologie di separazione delle terre rare e delle tecniche per la loro elaborazione in magneti, identificandole come ambiti chiave in cui è necessario ridurre la dipendenza europea. Tuttavia, le misure concrete per stimolare gli investimenti nel settore della raffinazione rimangono limitate. La svolta potrebbe arrivare dalla Svezia, dove la compagnia mineraria Luossavaara-Kiirunavaara Aktiebolag (LKAB) ha annunciato nel 2023 l’esplorazione a Kiruna del maggiore giacimento europeo di terre rare. Per affrontare il monopolio cinese sulla raffinazione, LKAB ha acquisito una partecipazione maggioritaria in REEtec, una compagnia norvegese che gestisce un impianto di separazione e purificazione a Herøya. Tuttavia, LKAB ha previsto che l'avvio delle estrazioni non avverrà prima del 2030 e la bassa concentrazione di terre rare nel suolo di Kiruna, in media stimata allo 0,18%, solleva dubbi sulla viabilità commerciale dell'iniziativa. Emergono anche preoccupazioni ambientali, in particolare per l’impatto sulle comunità indigene Sami.