De-risking o decouplingdi Reed Blakemore
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Materie prime critiche e transizione, il rebus degli Stati Uniti

De-risking o decoupling

di Reed Blakemore

La politica USA si trova di fronte a un bivio: “ridurre il rischio” smarcandosi dal dominio della Cina nelle catene di approvvigionamento dei minerali oppure “ridurre le interdipendenze” sganciandosi completamente da esse

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egli ultimi anni i responsabili politici stanno divenendo via via più consapevoli del forte ruolo che i minerali giocano sugli obiettivi zero netto globali. In linea di massima, due sono le priorità che si profilano: garantire un sufficiente accesso alle risorse minerarie della catena di approvvigionamento a favore della produzione nazionale e sfruttare queste catene di approvvigionamento per cogliere le opportunità di sviluppo economico nei mercati emergenti e in transizione dell’energia pulita. Da Bruxelles a Buenos Aires, passando per Giacarta, il prossimo decennio della trasformazione energetica globale rappresenta uno spostamento generazionale della mappa delle risorse globali.

 

 

La dipendenza degli USA dalla Cina

Per gli Stati Uniti, la rimodellazione della base di risorse a sostegno dei parametri di riferimento della transizione energetica ha assunto dei tratti più nitidi. La Cina, principale fonte di minerali critici per gli Stati Uniti e massimo concorrente a livello geostrategico, ha mantenuto l’attenta gestione degli investimenti nell’estrazione, nella lavorazione e nella produzione di componenti risalente a decenni fa, accaparrandosi un vantaggio per divenire la “fabbrica della transizione energetica”. Le politiche di organizzazione e sovvenzionamento delle catene di valore a circuito chiuso hanno generato una produzione e un’esportazione a basso costo e ad alto volume di pannelli solari, veicoli elettrici, elettrolizzatori per la produzione di idrogeno e altri componenti precursori dell’energia pulita che possono tagliare fuori la concorrenza, anche se la domanda di risorse minerarie cresce. Come se non bastasse, il modello di investimento estero della Cina rende quest’ultima un partner interessante per accrescerne la quota di mercato esistente, mentre i partner di tutto il mondo cercano finanziamenti facili per sviluppare le proprie risorse. In questa posizione, è possibile (se non probabile) che Pechino utilizzi il proprio dominio sulle catene di approvvigionamento di minerali critici e terre rare per modellare la geopolitica della trasformazione energetica. E dato che il 74 percento delle importazioni di terre rare degli Stati Uniti nel periodo 2018-2021 proviene dalla Cina, la dipendenza di Washington dal suo più grande concorrente in termini di minerali cruciali per i settori dell’energia pulita e della difesa ha animato profonde sfide economiche e di sicurezza per i politici statunitensi. 

 

In entrambi gli schieramenti, l’entusiasmo per l’azione a favore del clima e della transizione energetica negli Stati Uniti è sempre più influenzato dalle opportunità economiche di produrre tecnologie energetiche pulite su suolo nazionale. Allo stesso tempo, sostenere la leadership degli Stati Uniti nel sistema energetico globale, anche a fronte della sua trasformazione attraverso le esportazioni di energia pulita e le forti relazioni geopolitiche, rimane un obiettivo critico per la sicurezza nazionale. La mancanza di un sufficiente accesso alle catene di approvvigionamento dei minerali apre il fianco a una vulnerabilità: tramite le risorse a basso costo, la Cina resterà in grado di minare le industrie energetiche pulite degli Stati Uniti privilegiando le esportazioni nazionali di tecnologie a riguardo o, in alternativa, sarà in grado di modellare i flussi di risorse del mondo a zero netto per i propri fini geopolitici.

 

La politica della catena di approvvigionamento degli Stati Uniti si trova quindi di fronte a un bivio: “ridurre il rischio” (de-risking) smarcandosi dal dominio della Cina nelle catene di approvvigionamento dei minerali oppure “ridurre le interdipendenze” (decoupling) sganciandosi completamente da esse per raggiungere questi obiettivi? E in ogni caso, come? Bisogna riconoscere che gli Stati Uniti non mancano certo di strumenti significativi per perseguire l’uno o l’altro obiettivo, primo tra i quali l’attrattiva del proprio mercato dell’energia pulita per i potenziali partner. Gli Stati Uniti sono al primo posto nel Renewable Energy Country Attractiveness Index (RECAI), il sistema di Ernst & Young per misurare l’attrattiva delle opportunità di investimento e di adozione delle energie rinnovabili nei 40 mercati più importanti del mondo, ulteriormente favorito dall’Inflation Reduction Act (IRA) del 2022. Washington dispone inoltre delle risorse e del capitale geopolitico per creare pacchetti di sviluppo che uniscono partenariati multilaterali e finanziamenti volti all’apertura di nuovi mercati di risorse per le proprie industrie nazionali. Inoltre, gli Stati Uniti possiedono risorse minerarie a livello nazionale capaci di mitigare alcuni rischi della catena di approvvigionamento – sebbene rimanga una sfida far fruttare queste risorse con sufficiente velocità. 

 

 

 

L’iter per una produzione nazionale di energia pulita

 

Ad oggi, le strade percorse da Washington per garantire la produzione nazionale di energia pulita hanno portato a un esercizio di gestione della catena di approvvigionamento più simile al decoupling. L’IRA, il più grande pacchetto di politiche per l’energia pulita attualmente esistente, prevede importanti incentivi per l’attività della catena di approvvigionamento nazionale e disincentiva le catene di valore che passano attraverso concorrenti come la Cina. La conformità all’IRA è quindi divenuta per gli Stati Uniti il contesto predefinito con cui plasmare la resilienza della catena di approvvigionamento e molti partner di lunga data, tra cui l’UE, si affannano a stringere con l’Amministrazione Biden accordi che rientrino in quel quadro. Tuttavia, da solo questo approccio è sempre più insostenibile: data la priorità alle catene di valore nazionali, le politiche statunitensi in materia di catena di approvvigionamento finiranno probabilmente per generare degli attriti proprio con quei partner che gli Stati Uniti intendono portare nel loro campo di ridotte interdipendenze. Molti potenziali partner, in particolare quelli dei mercati emergenti del Sud del mondo, temono di essere costretti a scegliere tra Stati Uniti e Cina. A questo si aggiunge il fatto che gli Stati Uniti non sono soli nel perseguire le opportunità economiche della transizione energetica: in tutto il Sud globale i Paesi desiderano andare oltre il modello di relazione risorsa-cliente e ambiscono a una maggiore equità all’interno della catena di valore dell’energia pulita, richiedendo proprio quella produzione che gli Stati Uniti intendono portare a casa.

 

 

 

la fotoLinea di produzione di wafer in carburo di silicio (SiC) in una fabbrica di Dongying, nella provincia cinese di Shandong. La Cina, che da decenni investe nell’estrazione e lavorazione di minerali critici e nella produzione di componenti, è divenuta la “fabbrica della transizione energetica"

 

 

 

Nel frattempo, non è inverosimile che le considerazioni di Washington sulla catena di approvvigionamento nazionale finiscano per alimentare la fiamma. L’aspetto della competitività globale dei settori esposti alle trasformazioni (come l’industria automobilistica) sta salendo alla ribalta ed è già una questione di punta in Europa. Inoltre, in un anno elettorale altamente conflittuale negli Stati Uniti, il rapporto tra la politica climatica nazionale e la creazione di posti di lavoro non potrà che intensificarsi, soprattutto se si pensa che molti nuovi posti nel settore dell’energia pulita sono concentrati in elettorati politicamente competitivi. Ciascuna di queste tendenze non farà altro che inasprire il requisito della conformità all’IRA; al contempo, l’asticella delle aspettative politiche sarà posta ancora più in alto, mettendo ulteriormente in discussione la stessa creazione di partnership necessaria proprio per il decoupling.

 

 

Sullo sfondo, emerge un approccio più proiettato al de-risking che incoraggia gli investimenti necessari per diversificare l’attività della catena di approvvigionamento dei minerali, indipendentemente da un unico punto di origine/destinazione e senza interrompere del tutto il commercio con la Cina. L’esempio più eclatante è la Minerals Security Partnership (MSP), un gruppo incentrato sullo sviluppo delle risorse che coinvolge Australia, Canada, Finlandia, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Norvegia, Repubblica di Corea, Svezia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea. Obiettivo dell’MSP è quello di individuare progetti in grado di apportare il massimo valore aggiunto reciproco a tutti i suoi partner. Tale accordo distribuisce i rischi economici derivanti dalla concorrenza con un incumbent del mercato a basso costo. Gli sforzi più ampi volti a migliorare la capacità generale della catena di approvvigionamento e al contempo a lasciare la “fiducia” di queste catene di valore al settore privato (come nel caso dell’investimento azionario della Development Finance Corporation nello sviluppatore di miniere TechMet) migliorano analogamente la posizione degli Stati Uniti, dato che le crescenti richieste di transizione mettono sotto stress le catene di approvvigionamento di minerali in tutto il mondo. Sfruttare il potere dei mercati statunitensi per amplificare l’efficacia di iniziative come queste, più orientate al de-risking, rappresenterà un importante passo successivo.

 

Oltre a introdurre rigide politiche di decoupling e di de-risking, sarebbe bene che gli Stati Uniti sfruttassero altri meccanismi in collaborazione con nuovi partner, proiettandosi verso una strategia olistica per quanto riguarda la catena di approvvigionamento. Uno di questi è l’avanzamento di quadri di sostenibilità incentrati sulla governance, sulla trasparenza e sulle migliori pratiche ambientali, che nel complesso possono migliorare la certezza dell’accesso del settore privato alle risorse minerarie e al contempo limitare l’influenza dell’estrazione a basso costo e poco rispettosa dei criteri ESG. Un altro è quello di rivalutare la criticità dei minerali rispetto alla domanda interna e di stabilire per quali singoli minerali si debbano ridurre le interdipendenze, per quali si possa optare per una riduzione del rischio attraverso una mix di diversificazione e co-dipendenza con partner fidati e per quali si possa, infine, considerare una rivalutazione nel tempo in linea con la naturale evoluzione delle catene di approvvigionamento di minerali globali.

 

 

 

la fotoIl Vessel, struttura architettonica costruita nell’ambito del progetto di riqualificazione urbanistica Hudson Yards a Manhattan, New York. La mancanza da parte degli Stati Uniti di un sufficiente accesso alle catene di approvvigionamento dei minerali li rende vulnerabili alla Cina

 

 

 

L’influenza degli interessi economici, di sicurezza e politici

 

Nel determinare il giusto percorso da seguire per stabilire catene di approvvigionamento affidabili, sicure e sostenibili, la strategia mineraria degli Stati Uniti rimane intrecciata all’influenza degli interessi economici, di sicurezza e politici nazionali. L’evoluzione della politica statunitense delle catene di approvvigionamento di minerali attraverso amministrazioni consecutive (dall’accumulo di scorte al decoupling/de-risking) riflette come si sia trovato il modo di conciliare gli interessi nazionali in fieri con i duplici imperativi di Washington, vale a dire coltivare un sistema energetico che affronti efficacemente la crisi climatica e mantenere la propria leadership in tale sistema durante lo sviluppo.

 

Tralasciando le mutevoli politiche economiche e di sicurezza che ruotano attorno alle catene di approvvigionamento dei minerali critici, la strategia degli Stati Uniti in materia sarà essenzialmente rivolta al coinvolgimento fino a quando non saranno in grado di soddisfare autonomamente il proprio fabbisogno. Rimangono a questo punto due domande, le stesse che continueranno a influenzare l’approccio dei politici statunitensi alla strategia mineraria nazionale: con quali partner il Paese si impegnerà a collaborare in termini di catena di approvvigionamento? E quanto saranno efficaci queste partnership nel sostenere gli obiettivi nazionali legati all’energia pulita?

 

 

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