Cambio di paradigma
Un piano minerario per l’Italia
Per garantire un livello soddisfacente di approvvigionamento all’industria italiana il governo potrebbe inserire il dossier relativo ai minerali all’interno del Piano Mattei per il continente africano, aggirando le resistenze locali che imbrigliano il Paese
8 minL’
adozione delle politiche Net Zero rappresenta uno dei più importanti cambi di paradigma che la società contemporanea si troverà ad affrontare. Ammantate dal nobile scopo di de-carbonizzare l’economia al fine di eliminare l’elemento antropico responsabile del cambiamento climatico, le politiche climatiche comporteranno delle sfide enormi soprattutto nell’ambito dell’execution. Passare infatti da un sistema energetico basato sulle fonti fossili a uno basato sull’elettrificazione non significa solo ristrutturare l’intera infrastruttura energetica ma rivedere totalmente anche la catena di approvvigionamento in una fase storica caratterizzata dalla frammentazione e ripristino dei blocchi commerciali.
I numeri per il Net Zero
Il percorso verso la transizione energetica si tradurrà in un aumento esponenziale della domanda di metalli critici, tra cui rame, litio, nichel, manganese, cobalto, grafite, molibdeno, zinco, terre rare e silicio. Domanda che l’Europa farà fatica a soddisfare in ragione della quasi inesistente attività mineraria e della bassa capacità di raffinazione. Secondo le stime di Bloomberg, al fine di raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050, saranno necessari una quantità di metallo per un controvalore di 10 mila miliardi di dollari e una quantità di 242 milioni di tonnellate dalle attuali 52 milioni di tonnellate. Sempre Bloomberg stima che le dimensioni della rete elettrica globale dovranno quasi raddoppiare fino a raggiungere i 152 milioni di chilometri entro il 2050, richiedendo enormi quantità di acciaio, rame e alluminio. L’espansione delle reti, dunque, è quella che utilizzerà la maggior parte del rame tra tutte le applicazioni di transizione energetica, arrivando a 427 milioni di tonnellate tra oggi e la metà del secolo, mentre le turbine eoliche costituiranno l’applicazione che consumerà la maggior quantità di metalli entro il 2050. L’acciaio, in particolare, incide per circa il 90 percento dei materiali utilizzati per la costruzione di una pala eolica offshore e per circa il 25 percento per la costruzione di una onshore.
Le nuove tipologie di pale eoliche conterranno una quantità inferiore di acciaio, che però verrà bilanciata da una maggiore quantità di terre rare come il neodimio
Il comparto delle auto elettriche rappresenta un driver di crescita per il consumo di litio che secondo le stime potrebbe balzare di 9 volte rispetto ai consumi attuali a quasi 7 milioni di tonnellate su base annuale. Il forte aumento previsto del consumo di metalli si scontra però con una condizione dell’offerta particolarmente tesa frutto da un lato del trend ribassista del comparto delle commodities nel periodo 2011-2020 e, dall’altro, dell’adozione di zelanti target di decarbonizzazione: due elementi, questi, che hanno indotto le aziende minerarie a non investire in nuova capacità produttiva dal 2014 a oggi. In ragione delle previsioni di consumo e stante lo stato attuale dell’offerta mondiale, la maggior parte dei metalli utilizzati nel processo di transizione energetica sarà interessata da una carenza strutturale nell’arco dei prossimi anni. Il vulnus ruota attorno al fatto che, non potendo contare su un’adeguata capacità di estrazione e raffinazione di minerali, l’Europa rimarrà fortemente dipendente dalle importazioni. Importazioni che nel caso specifico di alcuni minerali come le terre rare provengono da Paesi come la Cina la cui assertività sul piano geopolitico la sta gradualmente allontanando dall’Occidente.
Il predominio cinese e il rischio weaponization
Pechino controlla attualmente 15 delle 17 miniere di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo nonché il 97 percento delle forniture indonesiane. Anche per il nichel, il governo cinese detiene una posizione di leadership, incidendo circa per il 45 percento dell’offerta globale di miniere attraverso la sua proprietà delle operazioni in Indonesia. La Cina domina, poi, anche le catene di fornitura di grafite: il 70 percento della fornitura mondiale attualmente proviene dalla Cina, seguita da Mozambico, Madagascar e Brasile. Anche la mancanza di capacità di fusione e raffinazione rappresenta un elemento di preoccupazione per l’Occidente.
La Cina è il leader indiscusso nella raffinazione di una gamma di minerali
Attualmente Pechino controlla l’85 percento della raffinazione delle terre rare, mentre l’Australia, che è il principale estrattore di litio, ne esporta la maggior parte in Cina, che rappresenta, a sua volta, oltre il 70 percento della capacità mondiale di raffinazione. Quasi l’80 percento del minerale di cobalto lascia il Congo per essere raffinato in Cina e quasi il 70 percento della capacità di nichel raffinato è di proprietà di società cinesi. Pressoché il 100 percento della grafite mondiale viene raffinata in Cina. Proprio il controllo della supply chain ha aiutato Pechino a diventare il principale produttore mondiale di veicoli elettrici. Contestualmente il Governo di Pechino continua a stoccare materia prima. A oggi detiene il 93 percento delle scorte mondiali di rame e il 74 percento di quelle di alluminio. Viceversa, il livello di scorte in Europa e USA rimane straordinariamente basso. Un controllo, quello esercitato da Pechino sul mercato dei metalli, che potrebbe essere sfruttato in chiave geostrategica nei prossimi anni nei confronti dell’Occidente seguendo l’esempio dell’azione di weaponization intrapresa dal governo di Mosca sul gas e petrolio come già emerso nel 2023 in seguito a riduzioni dell’export di gallio, germanio e grafite.
L’Italia nella filiera delle materie prime critiche
La combinazione data dai rischi di approvvigionamento e aumento dei consumi in vista dell’attuazione delle politiche climatiche impone che venga ideato un Piano Nazionale Minerario al fine di garantire un livello soddisfacente di approvvigionamento all’industria italiana, il cui fabbisogno di metalli registrerà un’importante crescita dai valori registrati negli ultimi anni. Il processo rischia però di impantanarsi in ragione sia degli ostacoli di natura normativa sia della sindrome NIMBY (not in my yard) un cui assaggio si è visto con le resistenza locali registrate nei mesi precedenti installazione di un rigassificatore davanti alla città di Piombino. In ragione di tali difficoltà una exit strategy potrebbe essere quella di inserire il dossier relativo ai minerali all’interno del Piano Mattei.
L’ampia disponibilità di materie prime nel continente africano all’interno del sottosuolo terrestre e marino, unita all’estesa rete di relazioni maturata nel tempo dal settore della Difesa, rappresentano due elementi che, messi insieme, potranno contribuire a mitigare i futuri rischi che si presenteranno sul lato approvvigionamento. Ma potrebbe non bastare. Dal punto di vista strategico appare evidente come l’Italia, seconda potenza manifatturiera europea, prema sulla prossima Commissione europea affinché venga abbandonato il target del Net Zero in favore di una riduzione dei gas serra più praticabile (-90 percento) al fine di poter rendere le politiche climatiche realmente sostenibili e rimuovere il primato dell’elettrico sulle altre tecnologie. Persistere in un atteggiamento da prima della classe, pensando di imporre sul resto del mondo i propri standard ambientali, non farà altro che spingere irreversibilmente l’Europa all’interno di un processo di de-industrializzazione.