Ultimo numero: 60/The race for critical minerals

La nuova energia degli Usa in Africa

di Guido Massimo Dell’Omo e Ester Stefanelli

Energia

La nuova energia degli Usa in Africa

di Guido Massimo Dell’Omo e Ester Stefanelli

Gli Stati Uniti stanno rilanciando le relazioni con l'Africa in un contesto di forte competizione internazionale, con un mutato approccio che punta alla collaborazione tra pari. In gioco vi sono (anche) le abbondanti risorse naturali, specie minerali critici e terre rare, fondamentali per la transizione energetica: un interesse bipartisan tra le forze politiche che puntano a posizionare gli Stati Uniti come leader globale nella decarbonizzazione. Sullo sfondo le presidenziali Usa di novembre

 

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La ridefinizione della relazione con l’Africa è stato un tema sul quale si è concretamente misurata l’amministrazione in carica degli Stati Uniti. Non un caso isolato, dato che dallo scoppio della pandemia una molteplicità di partner internazionali, tra cui la Ue e i suoi paesi principali, oltre a Cina e Russia, stanno cercando di rilanciare la propria partnership con il continente, in un contesto di forte competizione internazionale, anche con le “medie potenze” (paesi del Golfo, Turchia, India, Giappone, ad esempio). Obiettivo comune: non perdere terreno in Africa – soprattutto, dalla prospettiva Usa, nei confronti dei rivali Cina e Russia – per diversi motivi strategici: il blocco di voti che il continente rappresenta all’interno dell’Assemblea Generale Onu, sempre più frammentata sulle grandi questioni internazionali; le opportunità commerciali e di investimento legate al suo mercato ampio e in crescita, che sarà l’area di scambio più grande del mondo per numero di paesi quando diventerà pienamente operativo l’accordo di libero scambio continentale (AfCFTA); le sue abbondanti risorse naturali, tra cui quelle chiave per la transizione energetica.  

 

Strategia d’ascolto e investimenti annunciati

 

Nel 2023, il continente è stato oggetto di un crescente numero di visite ufficiali: 17 tra i più alti funzionari di diversi dipartimenti statunitensi si sono recati in 26 paesi africani (i più visitati sono stati Kenya e Zambia), a segnalare una rinnovata attenzione verso l’Africa. Ad agosto 2022 Washington ha pubblicato la strategia per l’Africa sub-Sahariana, incentrata su clima, transizione energetica e ripresa post Covid-19, oltre a buona governance, democrazia e sicurezza, sulle quali la politica estera statunitense ha tradizionalmente posto enfasi. Novità della strategia – non a caso denominata partnership – è l’approccio, che vuole essere di maggiore ascolto delle esigenze africane, come dimostrato dal processo di consultazione con i paesi che ne ha preceduto l’adozione. Ciò dimostra la volontà di realizzare una collaborazione tra pari, come già annunciato dall’Unione Europea nel 2022 e da ultimo anche dall’Italia attraverso il “Piano Mattei”.

 

Oltre a un cambio di approccio è stato annunciato un maggiore impegno economico degli Usa in Africa, che oggi rappresenta meno del 2% dell’interscambio commerciale degli Stati Uniti, rimanendo per lo più destinataria di programmi di aiuti/finanziamento. Lo sforzo è anche volto a recuperare il terreno perso nella competizione con la Cina, dal 2009 primo partner commerciale dell’Africa e dal 2013 maggiore investitore nella regione.  Al vertice Usa-Africa di dicembre 2022, l’amministrazione Biden ha annunciato $55 miliardi di investimenti nel continente africano in tre anni per finanziare progetti infrastrutturali, su energie rinnovabili e sviluppi tecnologici; le aziende statunitensi e africane hanno inoltre siglato accordi per ulteriori $15 miliardi circa. Nel 2023 gli Usa hanno facilitato quasi 550 nuovi accordi per un valore di circa $14 miliardi in scambi commerciali e investimenti (anche in infrastrutture), in aumento del 60% rispetto all’anno precedente.

 

Nell’ottica del rafforzamento della collaborazione commerciale, può giocare un ruolo importante l’African Growth and Opportunity Act (AGOA). Lanciato nel 2000 per facilitare le esportazioni africane negli Stati Uniti, AGOA è un programma non reciproco che accorda preferenze commerciali ai paesi sub-Sahariani che rispettano criteri (anche sulla governance democratica) fissati dalla Casa Bianca. Il probabile rinnovo di AGOA entro la sua scadenza (settembre 2025) può fornire l’occasione per rilanciare lo strumento - implementando le istanze africane che includono la richiesta di estendere ulteriormente la durata dell’accordo (dagli attuali 8 a 16 anni) e quella di fare “eligibility” check ogni 3 anni invece dell’attuale revisione annuale - e potenziare gli scambi, potenzialmente anche in settori strategici come quello dei minerali critici. Infatti, dopo un iniziale aumento degli scambi commerciali fino al 2008, le esportazioni verso gli Stati Uniti sono rimaste stagnanti. La diversificazione è rimasta indietro, con petrolio e gas che dominano le esportazioni dal 2001 e con quasi il 90% delle importazioni statunitensi non energetiche dall’Africa proveniente da soli cinque paesi (Sud Africa, Nigeria, Kenya, Ghana e Angola).

 

Il lead energetico

 

L’energia è uno dei punti chiave della strategia Usa e relativamente più recente rispetto al tema sicurezza e lotta al terrorismo, che storicamente ha avuto un ruolo centrale nelle relazioni con il continente. Promozione delle rinnovabili, infrastrutture per la generazione di energia elettrica da gas, accesso a minerali critici per la transizione energetica sono tra i focus di questa strategia. Un particolare ruolo di impulso è riconosciuto alle agenzie governative statunitensi, che aiutano a mobilitare investimenti per finanziare infrastrutture per le energie rinnovabili (come l’integrazione tra reti e siti di stoccaggio di energia elettrica) e progetti su nucleare, idroelettrico, biomasse o batterie. Nel 2023 gli Usa hanno investito nell’idroelettrico in Sierra Leone, in biomasse in Costa d’Avorio, in batterie/stoccaggio di energia elettrica in Zambia e Nigeria, nel solare in Angola, in direct air capture in Kenya e nella filiera dei minerali critici in Mozambico.

 

La ridefinizione della relazione con l’Africa è stato un tema sul quale si è concretamente misurata l’amministrazione in carica degli Stati Uniti. Non un caso isolato, dato che dallo scoppio della pandemia una molteplicità di partner internazionali, tra cui la Ue e i suoi paesi principali, oltre a Cina e Russia stanno cercando di rilanciare la propria partnership con il continente, in un contesto di forte competizione internazionale, anche con le “medie potenze” (paesi del Golfo, Turchia, India, Giappone, ad esempio). Un’attenzione particolare (e crescente) è riservata a minerali critici e terre rare. L’Africa detiene l’85% delle riserve mondiali di manganese, l’80% di platino e cromo, il 47% del cobalto, il 21% della grafite e il 6% del rame. L’accesso alle risorse chiave per produrre tecnologia verde rende l’Africa un partner necessario per gli Usa, che sui minerali critici mostrano un interesse bipartisan tra le forze politiche che puntano a posizionare gli Stati Uniti come leader globale nella decarbonizzazione. Nella competizione con la Cina, che domina la catena del valore, dall’estrazione alla lavorazione, gli Stati Uniti puntano ad accreditarsi come partner affidabili dei paesi africani, attenti al rispetto dei criteri ESG. La firma nel 2022 del Memorandum of Understanding (MoU) con Repubblica Democratica del Congo e Zambia per sostenere la manifattura di batterie per veicoli elettrici direttamente in quei paesi ha inoltre rappresentato una dimostrazione dell’impegno degli Usa per sostenere iniziative africane volte a rafforzare i processi locali di industrializzazione, uscendo dalla dinamica che vede essenzialmente l’Africa esportare materie prime e importare prodotti finiti, con la conseguente perdita di entrate e opportunità di sviluppo.

 

Nuovi corridoi

A dimostrazione del crescente interesse sui minerali critici, a settembre 2023, Stati Uniti e Unione Europea hanno adottato una dichiarazione ufficiale di sostegno al progetto del corridoio di Lobito, che prevede il potenziamento della linea ferroviaria esistente tra la Repubblica Democratica del Congo e il porto di Lobito in Angola e, in prospettiva, la realizzazione di una nuova linea che collegherà il corridoio alle province minerarie dello Zambia. Con oltre $1 miliardo di finanziamenti, di cui metà garantiti da Washington, il corridoio (il cui costo previsto si aggira intorno ai $2.3 miliardi) rappresenta il più grande investimento infrastrutturale degli Stati Uniti in Africa degli ultimi anni. Tramite questa infrastruttura le materie prime prodotte in Congo e Zambia (rispettivamente i primi produttori al mondo di cobalto e rame) e cruciali per la produzione di beni fondamentali per la transizione digitale ed ecologica, dai pannelli fotovoltaici alle auto elettriche, potranno raggiungere le coste dell’Oceano Atlantico e da qui i mercati occidentali di Stati Uniti ed Europa, riducendo significativamente i costi di trasporto. Il corridoio di Lobito è diventato per molti il progetto simbolo della Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII) in Africa – iniziativa dei paesi del G7 per finanziare progetti infrastrutturali nei paesi in via di sviluppo, promuovendo processi di transizione digitale ed ecologica. Oltre ai nuovi collegamenti infrastrutturali e alle opportunità commerciali, è probabile che i paesi africani spingano per massimizzare le ricadute positive del progetto e promuovere i propri obiettivi di sviluppo, ad esempio chiedendo di sostenere i processi locali di trasformazione delle materie prime, facendo leva sulla forte competizione per l’accesso ai minerali. La Cina ha di recente presentato al governo dello Zambia una proposta sul c.d. progetto “Tazara” per un finanziamento da $1 miliardo per riattivare la linea ferroviaria esistente che connette il Paese alla Tanzania.

 

Quale il possibile impatto delle elezioni di novembre sulla politica estera Usa in Africa? La politica Usa verso l’Africa è stata storicamente caratterizzata da una sostanziale continuità. Durante il suo mandato, Donald Trump non ha stravolto la direzione delle politiche statunitensi verso l’Africa, come non lo aveva fatto prima di lui Barack Obama. Risale all’amministrazione Trump il piano Prosper Africa, volto a rafforzare la presenza del settore privato statunitense promuovendo sinergie con quello africano. L’interesse Usa verso l’Africa, specie su sicurezza, commercio ed energia, rimarrà probabilmente invariato. A cambiare potrà essere – in caso di vittoria di Trump - il modo in cui si tradurrà questo interesse. Maggiore enfasi potrebbe essere posta su accordi bilaterali con singoli paesi africani ritenuti più strategici – ad esempio le principali economie come Nigeria, Sudafrica e Kenya; paesi ritenuti alleati strategici nella propria regione, come la Costa d’Avorio; o partner che stanno rafforzando la propria collaborazione con Washington, come l’Angola. Anche l’approccio potrebbe cambiare, promuovendo una retorica dichiaratamente improntata al perseguimento degli interessi statunitensi, in un momento in cui gli stessi paesi africani stanno spingendo per mettere le proprie esigenze al centro delle partnership internazionali. “America first” e “Africa first”: è possibile un equilibrio che benefici entrambi?