Mito ed energia
Prometeo e la molecola incatenata
La capacità di superare i limiti naturali ha caratterizzato la storia dell’umanità: abbiamo trovato l’energia che ha forgiato il mondo moderno, ma, liberando il carbonio, contribuisce al riscaldamento del pianeta. Incatenare la CO2 e reiniettarla negli strati minerari da cui proviene rappresenta una delle possibili soluzioni
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l dio incatenato e doloroso, quello detestato da tutti gli dèi perché amò i mortali oltre misura. Se c’è un mito che più di tutti riflette la sfida della umanità al superamento dei limiti naturali, allora bisogna risalire al quinto secolo prima di Cristo e al mito di Prometeo. Prometeo ha donato il fuoco agli uomini, ovvero la potenza tecnologica e scientifica di cambiare il mondo. E gli dèi temono questa immensa forza. Il fuoco è stato essenziale per la storia umana. Ma, con tutto il rispetto per Eschilo, è nulla al confronto della sua evoluzione moderna: i combustibili fossili.
Il nuovo Prometeo ha un nome anch’esso molto simbolico: Drake (Drago in italiano, ndr), il colonnello (un titolo che aveva millantato per raccogliere i fondi necessari alla perforazione) che nel 1859 a Titusville in Pennsylvania ha donato agli uomini non solo un fuoco più energetico e facile da trasportare ma una delle risorse più camaleontiche e flessibili: l’olio di roccia. Il petrolio, come i suoi parenti stretti carbone e gas, è il risultato di un processo che dura da milioni di anni e che attraverso la sedimentazione di materiale vegetale in condizioni di assenza di ossigeno ed una lentissima cottura si è trasformato in idrocarburo.
Con quel pozzo del Drago (a volte la storia è meglio di una sceneggiatura) abbiamo avuto accesso non solo ad un gigantesco magazzino energetico ma a strutture molecolari facilmente malleabili e trasformabili in nuovi oggetti. In sintesi, ci è stato messo a disposizione sia il materiale di costruzione che l’energia che serve per cambiare il mondo. Abbiamo trovato la chiave per passare da una energia di flusso (muscolare e meteoropatica) ad una energia di stock (sotterranea e costante), da una economia organica ad una prettamente mineraria.
I progressi senza precedenti dell’uomo “fossile”
È per questo che in meno di due secoli abbiamo rotto tutte le catene che impedivano all’umanità di crescere e progredire. Le statistiche sulla durata della vita umana, sulla capacità di alimentazione, sull’educazione, sulla ricchezza individuale hanno un punto di rottura a cavallo dell’Ottocento. I limiti di Malthus, Jevons, Hubbert ed i timori millenaristi sono stati regolarmente smentiti e la crescita è divenuta esponenziale.
Solo 50 anni fa profetizzavamo la crisi alimentare, la fine delle risorse e altre sventure. Ma nulla ha finora impedito il raddoppio della popolazione mondiale e la crescita del 1000 percento del PIL pro-capite.
Infatti, con lo stock dei combustibili fossili si superano le volubilità naturali, quelle del meteo (sole, acqua e vento), il sacrificio al lavoro della biosfera (legna ed animali) e la competizione sull’uso del suolo. E molti esseri umani destinati a morte in età infantile riescono a sopravvivere e invecchiare (37 bambini su 1000 muoiono oggi nei primi cinque anni di vita mentre erano 150 ad inizio degli anni ‘70).
Il grande successo economico e sanitario della nostra storia recente, tuttavia, non ha comportato solo benefici ma anche complessità. Per questo siamo davanti ad una nuova sfida tecnologica che è stata determinata dalla rapidità e dalla dimensione del successo dell’umanità “fossile”: la necessità di contenere e annullare progressivamente le emissioni di carbonio che sono una naturale conseguenza dell’uso dell’enorme stock minerario che stiamo trasformando per produrre la modernità.
Gli idrocarburi sono strutture molecolari che devono essere spezzate attraverso il calore per produrre energia e materiali. Idrogeno e carbonio devono quindi essere separati per liberare il massimo potenziale prometeico. Ma il carbonio ha un difetto: teme la solitudine. E appena può si lega ad altre molecole con grande facilità. L’incontro tra carbonio e ossigeno nell’aria determina quindi la crescita di un gas serra (l’anidride carbonica) e il riscaldamento progressivo dell’atmosfera. Abbiamo recuperato lo stock energetico ma stiamo anche reinserendo in circolo il carbonio preistorico.
Ovviamente l’opzione più evidente per frenare la crescita delle CO2 appare quella di ridurre l’uso dell’idrocarburi superando la dipendenza dai combustibili fossili e incrementando l’uso di altre fonti di energia, e del vettore elettrico nei consumi finali. Ma è un’opzione limitata. Infatti, l’elettrificazione dei consumi si scontra con la difficoltà di usare l’elettricità in tutti i nostri bisogni finali (es. volare, navigare, fondere metalli o cercare/processare minerali e scaldarsi), di stoccare l’energia prodotta attraverso i raggi solari e il vento e con la bassa densità energetica di queste fonti che impone l’utilizzo massiccio del suolo.
Insomma, superare lo stock del fossile per tornare al flusso energetico è costoso, incerto e stagionale ed impone un cambiamento radicale dei nostri sistemi di consumo non completamente perseguibile. Il mondo moderno si basa infatti su quattro pilastri (acciaio, plastica, cemento e fertilizzanti) che hanno a monte cicli industriali ad alto contenuto di carbonio. Se a questi mattoni aggiungiamo anche la sempre più dominante tecnologia digitale scopriremo che un ulteriore processo industriale ad alta intensità carbonica ci accompagnerà nei prossimi decenni. Nuove aree di consumo nuova popolazione e nuovi settori industriali richiederanno sempre più oggetti, processi industriali ed emissioni.
Inoltre, l’obiettivo di una sostituzione rapida si scontra con la differente priorità dei piani di sviluppo delle aree emergenti che ancora per molti decenni spingerà il fabbisogno di nuovi materiali e di nuovi oggetti con l’inevitabile rilevanza dei processi industriali che fondano la nostra civiltà. È per questo è inevitabile studiare un’alternativa alla riduzione dell’uso, cioè la necessità di trovare tecnologie per imbrigliare il carbonio e stoccarlo se non addirittura utilizzarlo.
La cattura del carbonio
Stoccare un gas (come la CO2) non è una attività nuova. Viene effettuata dagli anni ’30 per incrementare la produttività dei giacimenti petroliferi e per gestire (reiniettando gas in giacimenti esausti) la fluttuazione di consumo di gas tra estate e inverno.
Per la CO2 esistono diverse tecniche di reiniezione e di cattura a monte
Ad oggi tali progetti consentono l’assorbimento di circa 45 mln ton all’anno di CO2 da una trentina di impianti. È un numero irrisorio rispetto ai 37 miliardi che vengono emessi ogni anno, ma questa tecnologia è di fatto stata utilizzata solo per altri scopi, aiutare ad aumentare il recupero di petrolio dai giacimenti, e non aveva un sistema di prezzo che ne giustificasse l’applicazione. A fronte delle prospettive di un aumento del prezzo della CO2, negli ultimi anni è già aumentata in maniera significativa la lista di nuovi progetti operativi e in costruzione che porterebbero la capacità complessiva a circa 360 milioni di tonnellate/anno da circa 400 impianti. È un balzo esponenziale rispetto agli appena 50 milioni di tonnellate del 2019. È solo l’inizio di un business di dimensioni enormi tenuto conto che IPCC e IEA stimano il fabbisogno al 2030 di 1 mld tonn/anno e di 10 mld al 2050. Ed è un business inevitabile se si vuole perseguire un percorso di transizione realistico. Infatti, sostanzialmente dà continuità ai sistemi industriali che ci garantiscono tutti i prodotti e beni necessari compreso quelli su cui è costruita la transizione energetica; pretendere di eseguire la transizione energetica senza un sistema efficiente di cattura e stoccaggio della CO2 di fatto rappresenta una condanna al declino e all’impoverimento.
Ma sanzionare un progetto CCS è un problema complesso: infatti bisogna allineare sia le attività a monte di cattura presso gli impianti industriali sia tutta l’attività di raccolta e iniezione a valle, garantendo l’intero processo attraverso un sistema di regolazione che tenga conto dei rischi che l’investimento comporta per gli operatori e lo renda economicamente sostenibile. Negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva presa di consapevolezza delle industrie più emissive e si sono analizzati progetti per valutare la struttura di costo. Il costo di cattura è l’elemento più importante di tutta la catena del valore e può pesare per circa due terzi del costo complessivo. Esso è determinato dal grado di concentrazione dell’anidride carbonica nei processi di combustione, che varia da industria a industria.
In una centrale termoelettrica, ad esempio, la concentrazione di anidride carbonica va dal 10 percento di una centrale a carbone al 3-4 percento di una centrale a gas. Per un impianto petrolchimico, le concentrazioni possono arrivare a circa il 10-15 percento dei volumi, con punte del 20 percento nello steam reformer, nelle acciaierie ad altoforno raggiungono il 20-25 percento, mentre nei cementifici si situano tra il 20 e il 30 percento. Per questo motivo, il costo unitario della CO2 in tali attività varia tra i 40 e gli 80 dollari a tonnellata. È completamente diverso il discorso, se guardiamo alla possibilità di catturare la CO2 direttamente dall’aria: dal momento che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è estremamente bassa, appena lo 0,04 percento, i costi sono ancora proibitivi. L’attività di stoccaggio e trasporto ha invece un impatto relativamente contenuto sulla struttura dei costi ed è funzione della disponibilità di infrastrutture esistenti in giacimenti esausti. Il costo può ragionevolmente oscillare tra i 20 e i 30 dollari a tonnellata.
Insomma, con l’attuale struttura delle emission trading system siamo già vicini alla soglia di economicità per gli impianti più emissivi, mentre per alcuni grandi progetti industriali occorre ancora un supporto tariffario che ne garantisca l’economicità.
I bisogni delle generazioni future
In conclusione, il mito di Prometeo cioè la capacità umana di superare i limiti naturali e di vincere le sfide che gli dèi ci hanno imposto, continua a caratterizzare la storia dell’umanità. Abbiamo trovato le molecole e l’energia che hanno forgiato il mondo moderno. Ma in questi processi liberiamo il carbonio che contribuisce al riscaldamento del pianeta. Una soluzione che sarà necessario applicare è quella di incatenare la CO2, rimettendola all’interno di quegli strati minerari da cui proviene creando un ciclo chiuso. Ciò consentirebbe di utilizzare quelle risorse che sono essenziali per soddisfare i bisogni delle future generazioni e di quei sistemi di intelligenza artificiale che ci accompagneranno nei prossimi secoli.