Revolution di Gianluigi Bonanomi
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Luci e ombre

Revolution 

di Gianluigi Bonanomi

L’impatto che l’intelligenza artificiale ha avuto sin dall’inizio è stato travolgente. I punti di forza e le debolezze di una scoperta che sta cambiando il mondo

14 min

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uando, verso la fine del 2022, OpenAI ha reso pubblico ChatGPT, la curiosità è stata devastante. Per la prima volta, un software di intelligenza artificiale era in grado di sostenere una conversazione credibile, in varie lingue, con le persone. Interrogandolo col linguaggio naturale, già un milione di utenti nei primi cinque giorni dal lancio ha iniziato a sperimentare, facendogli eseguire compiti considerati sino al giorno prima non alla portata di un computer: riassumere testi, effettuare traduzioni di qualità, spiegare concetti complessi in maniera semplice. Ma anche realizzare script per i video, inventare storie per bambini e per adulti, risolvere problemi matematici, addirittura di scrivere codice per svariati linguaggi di programmazione. 

 

 

ChatGPT ha subito colpito il grande pubblico per la semplicità di utilizzo e le sue straordinarie capacità. Ma nel 2022 eravamo solo all’inizio e due anni dopo il sistema è evoluto in maniera impressionante: la sua “conoscenza”, inizialmente ferma al 2021, è stata aggiornata, e in più ora può cercare le informazioni che mancano. Ed è diventato multimodale: è in grado di “vedere” e generare immagini. Può essere interrogato vocalmente, senza nemmeno dover digitare. Ed è stata migliorata la sua capacità di elaborazione, rendendolo più “intelligente”. Siamo solo all’inizio: ChatGPT 5, previsto per il 2025, rappresenterà secondo Sam Altman, CEO di OpenAI, l’azienda che lo ha sviluppato, un salto avanti impressionante: il nuovo chatbot sarà superiore all’attuale di ordini di grandezza (“100 volte più potente”). Tra l’altro, OpenAI non è più solo: sulla sua scia sono nati altri modelli, come Claude di Anthropic (azienda nata da due transfughi italo-americani di OpenAI), Gemini di Google (inizialmente chiamato Bard), Copilot di Microsoft (basato sul modello di OpenAI), solo per citare i più noti.  

 

 

In poco tempo l’IA è entrata nelle vite di milioni di individui e, inevitabilmente, ha fatto breccia anche nel mondo aziendale. Realtà di ogni dimensione hanno iniziato a sperimentare con l’IA generativa, integrandola nei propri processi. Parallelamente all’entusiasmo, hanno iniziato anche a sorgere una serie di dubbi sulla qualità e affidabilità dei modelli di IA, ma anche sul suo impatto, che potrebbe essere enorme. A partire dall’occupazione, con numerose mansioni che potrebbero essere sostituite dall’IA, ma non solo: l’IA può essere usata anche per scopi poco nobili, e questo è un aspetto che preoccupa. I criminali informatici la stanno usando per potenziare i loro attacchi ai sistemi informativi, confezionando messaggi di phishing più efficaci, capaci di trarre più facilmente in inganno le vittime; e anche per scrivere malware migliori, in grado di non farsi rilevare dai sistemi di sicurezza aziendali. Non sono le uniche ombre: un utilizzo sconsiderato dei sistemi di IA potrebbe provocare storture nella società, aprendo la via a sistemi di sorveglianza di massa e all’adozione di sistemi di riconoscimento facciale invasivi. Non è un caso che di recente sia stato approvato l’UE AI Act, un documento che norma lo sviluppo e l’utilizzo dei sistema di IA nell’area UE (americani e cinesi sviluppano, noi europei normiamo).  

 

 

 

la fotoIl report di McKinsey sullo stato dell'intelligenza artificiale nei primi mesi del 2024 rileva che tale tecnologia è stata adottata dal 72 percento delle organizzazioni intervistate, contro il 55 percento registrato nel 2023

 

 

 

I numeri dell’IA 

Secondo una ricerca di Microsoft e The European House Ambrosetti, l’adozione dell’IA potrebbe portare nella sola Italia 312 miliardi di euro di Pil aggiuntivo (circa il 18,3 percento del Pil italiano) al Paese, a parità di ore lavorate. Ecco il tanto agognato aumento della produttività. In alternativa, la ricerca suggerisce che potrebbe liberare 5,7 miliardi di ore di lavoro, equivalenti alle otto ore quotidiane di circa 3,2 milioni di italiani. Considerato l’investimento monstre di Microsoft in OpenAI (parliamo di oltre 13 miliardi) i dati potrebbero peccare di eccessivo ottimismo, ma anche altre ricerche confermano l’enorme interesse verso questa tecnologia a livello globale, nonostante dati spesso molto distanti fra loro. Secondo Bloomberg, il mercato dell’IA generativa raggiungerà il valore di 1.300 miliardi di dollari nel 2034, mentre Fortune stima per lo stesso anno un valore di 2.740 miliardi di dollari.  

 

 

Ma quante aziende, allo stato attuale, la stanno realmente adottando? Il report di McKinsey “The state of AI in early 2024: Gen AI adoption spikes and starts to generate value” indica che a livello globale l’adozione di questa tecnologia è al 72 percento. Un’analisi che tiene in considerazione le imprese che hanno integrato l’IA all’interno di almeno una funzione aziendale. Un dato che però include anche applicazioni di IA tradizionale, come possono essere le soluzioni di manutenzione predittiva molto usate nel manifatturiero, o i sistemi per il forecast finanziario degli istituti finanziari. Limitando l’analisi all’IA generativa, secondo McKinsey l’adozione attuale è del 65 percento, praticamente due su tre: un valore in ogni caso elevato. In particolare, è il marketing l’area in cui l’IA generativa viene usata maggiormente, dato che facilita la creazione di schede prodotto, descrizioni e permette di creare rapidamente campagne pubblicitarie online personalizzate. Un altro ambito in cui l’IA generativa è molto apprezzata è quello dell’helpdesk, supporto clienti: questa tecnologia è infatti di grande supporto nella soluzione di problemi semplici, tanto che molte aziende che si occupano di assistenza hanno introdotto l’IA all’interno dei propri call center. In alcuni casi, come supporto per gli operatori umani, in altri sostituendoli addirittura del tutto o quasi.  

 

 

Col tempo, si prevede un’adozione più massiccia in altri ambiti: le risorse umane, per velocizzare lo screening dei candidati e automatizzare i flussi di lavoro (sebbene già da anni si usino i cosiddetti ATS, sistemi di selezione automatica delle candidature); nello sviluppo di nuovi prodotti. E già oggi vediamo l’IA integrata in tantissime soluzioni sia per il mondo B2B che per quello B2C: sistemi di traduzione automatica, generatori di video basati su IA, nelle soluzioni di sicurezza informatica, nelle piattaforme per la pubblicazione dei contenuti su più social network.  

 

 

 

Rischi e vantaggi di una tecnologia  in rapidissima evoluzione 

I vantaggi più noti dell’IA sono prevalentemente due: maggiore efficienza e velocità. Il risultato di una corretta implementazione è quindi una maggiore produttività. Ma non è l’unico vantaggio di cui tenere conto: nei Paesi occidentali si sta assistendo a un rapido invecchiamento della popolazione e a un calo della natalità, e si sta allargando lo skill mismatch, cioè la difficoltà a far incontrare l’offerta e la domanda di lavoro. In pratica, le aziende sono alla ricerca di persone con specifiche competenze (prevalentemente in ambito STEM: Science, Technology, Engineering, Mathematic), competenze che invece scarseggiano nei candidati. L’uso dell’IA potrebbe aiutare a formare più rapidamente queste figure, così come a potenziare i programmi esistenti di reskilling e upskilling, mirati a fornire ai lavoratori le competenze oggi richieste in ambito professionale.  

 

Il rovescio della medaglia è che l’IA avrà un impatto non trascurabile sull’occupazione: alcune mansioni spariranno del tutto, come in passato è accaduto ai casellanti e come potrebbe succedere ai cassieri; mentre altre verranno profondamente trasformate dalla tecnologia: basti pensare ai consulenti finanziari.

La principale paura delle persone è proprio che l’IA possa sostituirle nei prossimi anni

Dubbi più che leciti: i data center non dormono sonni tranquilli. Alcune aziende hanno già iniziato a licenziare persone, affermando di sostituirle con l’IA, soprattutto nell’ambito dei contact center, ma anche in settori come quello della traduzione e localizzazione. Proprio quest’ultimo è un ambito molto sensibile, che ha causato forti proteste oltreoceano: alcune aziende del mondo dello spettacolo hanno infatti iniziato a sfruttare l’IA per i doppiaggi, usando voci di veri attori per l’addestramento. Fatto che, inevitabilmente, ha creato agitazioni e scioperi: una volta addestrata un’IA su una specifica voce, infatti, l’attore non sarebbe più necessario. Emblematico il caso dell’attrice Scarlett Johansson: ha minacciato OpenAI di cause legali quando l’azienda guidata da Sam Altman ha utilizzato una “copia” della sua voce per far “parlare” ChatGPT.  Ricordiamo per completezza che Johansson fu protagonista di Her, film del 2013 incentrato proprio sul concetto di interazione fra uomo e IA.  

 

 

Ma anche ruoli più tecnici, e oggi molto ricercati, potrebbero rischiare di vedere la loro importanza scemare. Lo afferma Jensen Huang, numero uno di NVIDIA, una delle aziende al centro della rivoluzione dell’IA (realizza i chip per accelerare i calcoli relativi all’addestramento e all’inferenza dei modelli di intelligenza artificiale e, con una valutazione superiore ai 2 miliardi, è una delle aziende più importanti al mondo). Huang ha infatti dichiarato che oggi imparare a programmare potrebbe essere un pessimo investimento per il futuro: nella sua visione la scrittura di codice entro pochi anni sarà interamente in mano alle IA. E probabilmente non sarà l’unico lavoro impattato da questa tecnologia: anche la scrittura di contenuti editoriali potrebbe venire rapidamente sostituita, e in certi ambiti questo già accade (del resto perché pagare un articolo anche solo due euro se è possibile averlo gratis?). Numerose testate e TV sportive da tempo utilizzano l’IA per scrivere brevi articoli di commento sulle partite dei campionati minori.  

 

 

 

I limiti dell’IA e il rischio bolla 

Per quanto l’IA generativa sia una tecnologia impressionante in grado di risolvere svariati problemi e di migliorare la produttività, non è esente da limiti, anche importanti. Il principale è quello delle allucinazioni: gli attuali modelli di IA scrivono spesso sciocchezze. Sia quando si trovano a generare testi, sia quando si limitano a riassumere. Formalmente, l’output generato è impeccabile (fatta eccezione per qualche refuso), ma il contenuto non sempre è corretto. In certi casi, l’IA letteralmente si inventa informazioni (si parla di “allucinazioni”), e di conseguenza non può essere totalmente affidabile, e ogni testo generato andrebbe controllato scrupolosamente. In caso contrario, si rischia di fare la stessa brutta figura di Steve Schwartz, avvocato statunitense che ha ben pensato di farsi scrivere dei documenti da ChatGPT, che si è inventata di sana pianta una serie di precedenti mai esistiti, mettendo nei guai l’avvocato e la sua credibilità. Per affrontare questo problema, sempre più aziende si stanno appoggiando a soluzioni di RAG, Retrieval-Augmented Generation, una tecnologia in grado di verificare l’output delle IA così da garantire che sia corretto. Un esempio di strumento (gratis) per provare come funziona l’AI in questo ambito? Segnatevi NotebookLM di Google. 

 

 

Altri problemi sono relativi al copyright: a oggi, è infatti sconsigliabile alle aziende di utilizzare soluzioni pubbliche come ChatGPT quando lavorano su documenti riservati. Il rischio è infatti che dandole in pasto all’IA, questi dati non siano più riservati e anzi, vadano ad addestrare il modello stesso, accessibile a tutti. Per questo motivo chi tratta informazioni confidenziali dovrebbe appoggiarsi solamente a soluzioni proprietarie, sviluppate in casa, addestrare coi propri dati, così da mantenere il pieno controllo sulle informazioni.  Bisogna però tenere conto che l’IA è una tecnologia ancora immatura e, aspetto importante, complessa. Non basta acquistare un software per integrarla nei processi.

Serve un approccio strategico a lungo termine

Ed è importante non farsi prendere dall’entusiasmo: tanti dei progetti avviati frettolosamente sono destinati a fallire. Anzi: alcuni big hanno già fatto i loro passi falsi, come McDonald con il suo assistente IA sperimentato su alcuni drive-thru della catena. Niente di differente da quanto accaduto con Internet: dopo l’esaltazione iniziale, è esplosa la bolla delle dot com, che ha travolto moltissime realtà. Ma sul medio e lungo termine, chi ha adottato le giuste strategie ha colto i frutti del proprio lavoro.