
Le sfide del clima e della sicurezza
La chiave della transizione
Il territorio, con le sue riserve di minerali critici, rappresenta una frontiera strategica per l’energia del mondo di domani. Ma per sbloccare il suo potenziale occorreranno decisioni coraggiose, investimenti strategici e la volontà di AGIRE IN TEMPI BREVI
12 minL’Artico, che ospita quattro milioni di persone, di cui il 10 percento di comunità indigene, attrae da sempre esploratori e governi. È una regione misteriosa, resiliente e ricca di risorse, che per secoli ha rifornito il resto del mondo di materie prime essenziali. Dall’olio di balena un tempo usato per illuminare i lampioni delle strade europee al petrolio e al gas che vengono estratti oggigiorno, le ricchezze naturali dell’Artico contribuiscono da sempre allo sviluppo delle economie globali. Ma ora si apre un nuovo capitolo. Nell’era della transizione globale verso le energie rinnovabili e le economie digitali, l’Artico torna al centro dell’attenzione, questa volta come fornitore strategico di pesce, energia pulita e, in misura sempre maggiore, di minerali critici. Inoltre, essendo situata in cima al mondo, la regione è posizionata strategicamente dal punto di vista della logistica e della difesa.
Economia artica, tra tradizione e innovazione
Da diverse decine di anni l’Artico si contraddistingue per l’economia blu. Le acque dell’estremo nord del pianeta, fredde e ricche di nutrienti, sostengono l’industria ittica globale a vantaggio di milioni di persone nei centri urbani collocati più a sud. Da secoli la regione esporta a sud pesce per uso alimentare, ma ora la situazione sta cambiando. Il settore ittico si rinnova integrando bio innovazione e prodotti farmaceutici nella sua catena del valore. Le aziende esplorano nuovi modi per sfruttare le risorse marine, dal collagene di pesce nei cosmetici ai composti ricchi di omega nei medicinali. Quelli che prima erano rifiuti sono ora prodotti preziosi.

Un’altra colonna portante storica dell’economia artica è l’energia. Già secoli fa le baleniere europee cacciavano i grossi cetacei per trarne grasso che serviva ad accendere i lampioni di Londra e Amsterdam. Nel XX secolo, con l’avvento del petrolio e del gas, l’Artico è diventato un fornitore cruciale di combustibili fossili; oggi la Norvegia settentrionale, l’Alaska e la Russia sono grandi produttori di energia. Tuttavia, il vento sta cambiando, nel vero senso della parola. Nella regione si registrano crescenti investimenti nelle energie rinnovabili. In piccole comunità isolate i generatori diesel vengono sostituiti con pannelli solari. In Islanda l’energia geotermica sta trasformando l’agricoltura con enormi serre riscaldate che prolungano la stagione vegetativa. La Groenlandia sta avviando il più grande progetto infrastrutturale mai realizzato nell’isola: l’ampliamento di una centrale idroelettrica vicino a Nuuk. Nei paesi nordici, le turbine eoliche ridefiniscono i mercati dell’energia, in quanto sostengono l’economia dell’idrogeno e forniscono energia verde a poli industriali, tra cui Kiruna, in Svezia, dove l’energia rinnovabile rivoluzionerà la produzione di minerale di ferro. Secondo noi la prossima grande opportunità riguarda la produzione di energia e l’estrazione e la lavorazione delle materie prime.
L’industria mineraria conquista la scena
La trasformazione più importante dell’Artico avviene sotto la superficie. L’industria mineraria, una presenza costante nella regione, è ora pronta a conquistare il centro della scena. L’economia regionale è stata sempre dominata dalla pesca e dall’energia, ma alla luce della crescente domanda globale di materie prime l’estrazione mineraria diverrà presto il settore di punta dell’Artico. Questo cambiamento è trainato da due potenti driver.
Il primo è la transizione verde, che accresce il fabbisogno di minerali. Per i veicoli elettrici occorre una quantità di minerali sei volte superiore che per i veicoli alimentati con combustibili fossili. I parchi eolici offshore hanno bisogno di una quantità di materiali critici tredici volte superiore a quella necessaria per centrali elettriche a gas simili. Il conseguimento dell’obiettivo di un mondo alimentato a energia pulita dipende inevitabilmente dalla disponibilità di rame, litio, nichel, terre rare e alluminio, molti dei quali si trovano nei territori artici. Tuttavia, l’offerta è inferiore alla domanda, pertanto gli obiettivi climatici fissati dagli accordi globali sono a rischio.

Il secondo driver è la sicurezza strategica. Poiché i paesi sono consapevoli delle vulnerabilità delle rispettive catene di approvvigionamento, la corsa per accaparrarsi materie prime critiche sufficienti si è intensificata. Oggi l’Unione Europea dipende fortemente da Cina, Russia, Iran e Repubblica Democratica del Congo (RDC) per l’approvvigionamento di minerali. Nel 2023, cinque paesi (Indonesia, Cina, Russia, Australia e Canada) rappresentavano l’87 percento della produzione mondiale di rame, litio, nichel, terre rare, tungsteno e zinco. La capacità di lavorazione rimane concentrata per lo più in Cina. Questa dipendenza rappresenta non solo una sfida economica, ma anche un rischio geopolitico. Per costruire un moderno caccia F-35 o un satellite è necessario avere accesso a diverse materie prime critiche. Ora che le nazioni cercano di ridurre i rischi delle loro catene di approvvigionamento, l’Artico si presenta come un’alternativa fondamentale, poiché ricca di risorse e governata in gran parte da stati membri della NATO.
Un recente rapporto dell’Arctic Economic Council ha rilevato che nell’Artico sono presenti 31 delle 34 materie prime critiche essenziali per le economie moderne. La regione ospita alcune delle maggiori riserve di nichel e cobalto al mondo, oltre a importanti miniere di zinco e minerale di ferro, come Red Dog in Alaska e la miniera di Kiruna in Svezia. Ma nonostante questa abbondanza lo sviluppo minerario dell’Artico è tuttora estremamente lento.
Tempo, infrastrutture e manodopera: una sfida globale
Si tratta comunque di una sfida globale. Dalla scoperta di un giacimento alla produzione su larga scala trascorrono in media sedici anni, un lasso di tempo che è addirittura aumentato negli ultimi anni. Vi sono infatti numerosi colli di bottiglia che concorrono al dilatarsi delle tempistiche: gli interminabili processi di autorizzazione, la lentezza delle approvazioni normative e la mancanza di capacità di lavorazione a livello locale. Anche in presenza di energie rinnovabili abbondanti e di vaste aree che potrebbero favorire la lavorazione dei minerali, le nazioni occidentali tardano a sviluppare le strutture necessarie, un fenomeno che aggrava ulteriormente la loro dipendenza dalle raffinerie estere.
E il tempo non è dalla nostra parte. Per soddisfare la crescente domanda di materie prime critiche, governi e industria devono agire rapidamente. È essenziale accelerare gli iter di approvazione. Le operazioni di estrazione non possono aspettare decine di anni per le valutazioni ambientali, gli studi di fattibilità e le decisioni sui permessi. Per attrarre investimenti e portare le risorse artiche sui mercati globali servono tempistiche chiare, efficienti e responsabili. In questo senso le nuove tecnologie e competenze possono aiutarci nello sviluppo responsabile delle risorse.
Altrettanto importanti sono le infrastrutture. Estrarre minerali nell’Artico è dispendioso. Spesso i siti si trovano in zone remote, lontano da strade, porti e reti elettriche. Le rigide normative ambientali, giustamente più severe che in paesi come la RDC, non fanno che complicare ulteriormente le cose. I governi devono intervenire per costruire strade, ferrovie, porti e reti di comunicazione in funzione dello sviluppo economico e degli investimenti privati. Senza queste opere fondamentali, il potenziale minerario dell’Artico rimarrà inutilizzato.

C’è inoltre un problema che riguarda la forza lavoro. L’industria mineraria è cambiata radicalmente: è più automatizzata, digitalizzata e sostenibile che mai. Eppure, persistono stereotipi obsoleti. Molti considerano tuttora il settore minerario un dinosauro sporco e pericoloso, per questo i giovani professionisti sono restii a entrare nel settore. È assolutamente necessario cambiare questa percezione errata. Il futuro dell’estrazione mineraria nell’Artico dipenderà da ingegneri, geologi e tecnici qualificati in grado di applicare tecnologie all’avanguardia in uno degli ambienti più ostici al mondo. Gli investimenti nell’istruzione e nella formazione professionale sono cruciali affinché le comunità artiche possano beneficiare della trasformazione economica della regione e prendervi parte attivamente. Si avvierebbe così anche una transizione giusta caratterizzata dal graduale abbandono dei settori tradizionali, i quali potrebbero a lungo andare scomparire del tutto dalla regione.
La necessità di un cambiamento culturale
Al di là delle infrastrutture e della forza lavoro occorre anche un cambiamento culturale di più ampio respiro. Troppo spesso i progetti minerari si scontrano con la mentalità “Not In My Backyard” (NIMBY, non nel mio cortile). Tuttavia, se l’Artico vorrà avere un ruolo da protagonista nella transizione verde, questa mentalità deve mutare in “Why In My Backyard?” (WIMBY, perché nel mio cortile?). Il punto è che non possiamo fare a meno dell’estrazione mineraria, poiché è necessaria per continuare a fornire energia al mondo. Quindi dobbiamo decidere se puntare su località con norme rigide in materia di ambiente e lavoro oppure su regioni meno attente alla sostenibilità e ai diritti umani. Infine, il discorso sulle opportunità economiche dell’Artico non può ignorare il ruolo delle comunità indigene. La loro partecipazione al settore minerario è determinante già oggi e lo sarà anche in futuro.
L’Artico si presenta come una soluzione ottimale per soddisfare la domanda globale di minerali critici in modo etico e responsabile. Ma per cogliere questa opportunità occorrono partnership internazionali. Nessuno stato può pensare di sviluppare le risorse dell’Artico da solo. Gli investitori globali possono contribuire al finanziamento di grandi progetti infrastrutturali. Le competenze straniere possono sostenere lo sviluppo di impianti di lavorazione all’avanguardia. Si può trasferire personale qualificato nelle regioni artiche scarsamente popolate. Il fabbisogno di materie prime essenziali è una sfida mondiale che richiede soluzioni collaborative e transfrontaliere. Il recente interesse delle potenze mondiali per l’Artico non farà che aumentare la necessità di collaborazione attraverso organizzazioni come l’Arctic Economic Council. L’Artico è più di un hub di risorse: è una frontiera strategica per l’energia del mondo di domani.
La storia insegna che il progresso umano è trainato dalle risorse che estraiamo dal suolo. Nel momento in cui abbiamo scavato per la prima volta nelle viscere della terra, scoprendo i minerali che consentono processi industriali e innovazione tecnologica, il corso della civiltà è cambiato. Oggi ci troviamo di fronte a un bivio simile. L’Artico è la chiave della transizione energetica globale, ma per sbloccare il suo potenziale occorreranno decisioni coraggiose, investimenti strategici e la volontà di agire, prima che sia troppo tardi.