Gli impatti del climadi Margherita Bianchi e Alessio Sangiorgio

Energia a rischio

Gli impatti del clima

di Margherita Bianchi e Alessio Sangiorgio

Il riscaldamento globale sta aumentando la frequenza degli eventi meteorologici estremi, con un impatto diretto sulle filiere energetiche e sulla resilienza delle infrastrutture critiche. Le conseguenze includono interruzioni dei sistemi di alimentazione, maggiori costi e gravi effetti socioeconomici. È necessaria una strategia di adattamento adeguata

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e infrastrutture critiche continuano a espandersi e sempre più servizi dipendono dalla loro affidabilità – soprattutto quelli digitali. Sono due le sfide principali che questi sistemi si trovano ad affrontare: aperte minacce da un lato e sempre più interruzioni dovute a fattori accidentali, naturali e climatici dall’altro. Di fatto, il cambiamento climatico sta intensificando gli eventi meteorologici estremi causati dalle attività umane, il che genera un impatto diretto sulle filiere, sulla produzione di energia e sulla resilienza delle infrastrutture fisiche. Le conseguenze sono di vasta portata: interruzione dei sistemi di alimentazione, incremento dei costi operativi, aumento dei divari di finanziamento delle infrastrutture e impatti significativi sulla società e sull’economia.

 

Ne sono esempi noti (e recenti) le interruzioni di corrente su larga scala avvenute nel 2022 e causate da un’ondata di calore senza precedenti, che ha colpito circa 700.000 persone nella regione di Buenos Aires; la pioggia gelata del 2020 che ha ricoperto le linee elettriche della Federazione Russa nell’area dell’Estremo Oriente, lasciando centinaia di migliaia di case senza elettricità per diversi giorni; le siccità estive in Europa, che hanno recentemente compromesso la produzione di energia nucleare, idroelettrica e termica proprio mentre le ondate di calore facevano impennare la domanda di energia.

 

I rischi derivano da molteplici fattori. Innanzitutto, sebbene le infrastrutture critiche siano progettate per funzionare a lungo termine, la maggior parte di esse è stata concepita ipotizzando un clima futuro uguale a quello attuale; purtroppo, la realtà è tutt’altra e i modelli climatici divengono presto obsoleti. Secondariamente, molte infrastrutture critiche presentano componenti fragili, oltre che dei limiti in termini di ridondanza.

 

 

Gli impatti sugli ambienti marittimi e subacquei

Gli ambienti marittimi e subacquei sono particolarmente vulnerabili, dal momento che ospitano una vasta biodiversità e modulano il sistema climatico globale regolando cicli di calore, acqua ed elementi (incluso il carbonio). L’incremento delle temperature degli oceani e dei fondali marini sta portando a modelli meteorologici più rigidi (tra cui correnti oceaniche instabili, mareggiate più potenti e uragani più intensi) e tali cambiamenti minacciano sia le strutture costiere (approdi e terminali) sia gli impianti installati in profondità (condotte e cavi). Nel mentre, il cambiamento climatico sta ridisegnando le opportunità di sviluppo delle infrastrutture – in particolare nell’area dell’Artico, dove lo scioglimento dei ghiacci sta aprendo nuove rotte di navigazione possibilità di progetti. Per poter affrontare queste sfide servono quindi non solo approcci normativi innovativi, ma anche ingenti investimenti finanziari per adeguare i sistemi di infrastrutture.

 

 

la fotoL’innalzamento delle temperature degli oceani e dei fondali marini sta portando ad un aumento dei fenomeni metereologici estremi, che minacciano sia le strutture costiere (approdi e terminali) sia gli impianti installati in profondità (condotte e cavi)

 

 

La maggior frequenza e gravità degli eventi meteorologici estremi è conseguenza diretta degli impatti dei cambiamenti climatici che, in ultima analisi, si ripercuotono sulle infrastrutture marittime. Nella fattispecie, l’innalzamento delle temperature degli oceani (tanto in superficie quanto sui fondali) sta aumentando i rischi legati alle tempeste e il connubio tra venti di maggior potenza e una sostanziale diminuzione della pressione barometrica sta producendo mareggiate più devastanti, oltre che uragani nelle aree oceaniche, marittime e costiere. La ricerca ha già documentato che gli incidenti meteorologici estremi in alto mare sono triplicati nel corso del ventesimo secolo e le proiezioni future mostrano che nel ventunesimo secolo il riscaldamento degli oceani non intende arrestarsi. Le temperature dei fondali e della superficie dei mari aumenteranno, ponendo crescenti minacce nel settore marittimo. Si prevede che il livello più elevato di riscaldamento interesserà l’area tropicale, il Pacifico settentrionale e l’Oceano Artico e che potrebbe superare i 4°C negli scenari di emissioni più estremi.

 

L’aumento della temperatura dei mari sta modificando drasticamente i modelli di circolazione oceanica: l’esempio più allarmante è il continuo indebolimento del sistema della Corrente del Golfo, documentata dagli scienziati con crescente preoccupazione. Se questa corrente critica dovesse continuare a diminuire o addirittura collassare, potrebbe innescare conseguenze estese e devastanti in tutto il sistema oceanico globale, influenzando i modelli climatici, gli ecosistemi marini e le regioni costiere di tutto il mondo. Le correnti oceaniche sono inoltre tra i fattori principali dell’accumulo di detriti sui fondali ed eventuali cambiamenti di schema e intensità potrebbero generare un impatto sulle infrastrutture sottomarine.

 

Il cambiamento climatico sta sollevando pericoli inattesi e traslando i fenomeni naturali in regioni storicamente non interessate, introducendo nuove minacce per le infrastrutture sottomarine in aree tradizionalmente impreparate. Un esempio principe di ciò è la “tropicalizzazione” dei modelli meteorologici, in grado di portare cicloni di forza pari a quella di un uragano a colpire aree precedentemente protette come le zone costiere europee e le acque dell’Atlantico settentrionale. Per quanto gli effetti di ciò emergeranno nella loro interezza solo gradualmente, molti sistemi subacquei attuali sono già vulnerabili a questi rischi amplificati dal clima. Questo divario di adattamento richiede investimenti sostanziali nella prevenzione e nella resilienza, soprattutto in luoghi come l’Europa e la regione del Mediterraneo, dove si stanno verificando eventi meteorologici estremi senza precedenti.

 

 

L’acidificazione degli oceani

Oltre al riscaldamento degli oceani, le emissioni di gas serra stanno trasformando la composizione chimica dell’acqua marina mediante l’acidificazione e la riduzione dell’ossigeno. Mentre la diminuzione dei livelli di ossigeno mette in pericolo soprattutto la vita marina, la crescente acidità dei nostri oceani comporta rischi sostanziali sia per gli ecosistemi naturali sia per i sistemi di infrastrutture marittime prodotti dall’uomo. Stando alle proiezioni dell’IPCC, l’acidità degli oceani potrebbe addirittura innalzarsi del 150 percento se le emissioni di carbonio non arresteranno la loro corsa. L’acidificazione degli oceani abbassa il pH dell’acqua marina, aumentandone gli effetti corrosivi sulle armature in acciaio delle strutture in calcestruzzo. Nel prossimo decennio, simili livelli di acidificazione potrebbero accelerare la rottura dei rivestimenti protettivi di condotte e cavi sottomarini, portando a un più rapido degrado strutturale. L’esposizione prolungata a condizioni di acidità sempre maggiore potrebbe anche comportare maggiori costi di manutenzione.

 

I cambiamenti climatici avranno inoltre un grave impatto sulle aree costiere, colpendo i punti di contatto tra le infrastrutture sottomarine e le reti terrestri (p. es. gli approdi). Lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte glaciali, unito all’espansione termica dell’oceano, ha già prodotto un innalzamento medio globale del livello del mare di 3,2 mm/anno, aumentando il rischio di danni alle zone costiere dovuti all’erosione, a mareggiate più frequenti e a un maggior numero di inondazioni. 

 

Il cambiamento climatico sta influenzando anche la fattibilità dei siti per lo sviluppo delle infrastrutture – impatto particolarmente pronunciato nei territori artici. Sempre più porzioni di Oceano Artico stanno infatti divenendo accessibili per la navigazione in periodi estesi dell’anno; se l’attuale tendenza alla perdita di superfici ghiacciate continuerà, l’Oceano Artico potrebbe risultare completamente navigabile in estate entro il 2035. Tali cambiamenti stanno alimentando i piani per l’installazione di cavi di telecomunicazione all’interno dell’area: tra questi si cita il Russian Optical Trans-Arctic Submarine Cable System (ROTACS), progetto volto a collegare il Giappone e l’Artico russo con diramazioni che giungono fino alla Corea del Sud e alla Cina. Un simile progetto di stampo europeo è stato il cavo sottomarino Arctic Connect: l’iniziativa a guida finlandese lanciata nel 2015 si propone di collegare l’Europa e l’Asia attraverso un cavo in fibra ottica lungo la Northern Sea Route in collaborazione con la Russia. Tuttavia, a causa delle tensioni crescenti tra l’Europa e la Russia, il progetto ha subìto una battuta d’arresto nel 2021.

 

 

la fotoIl cambiamento climatico ha un impatto diretto sulla produzione di energia e sulla resilienza delle infrastrutture fisiche. La pioggia gelata del 2020 che ha ricoperto le linee elettriche della Federazione Russa nell’area dell’Estremo Oriente ha lasciato centinaia di migliaia di case senza elettricità per diversi giorni

 

 

Affrontare il rischio: cosa sta facendo l’Europa?

L’aumento previsto dei danni alle infrastrutture legate al clima in tutta Europa (sia marittime sia terrestri) nei prossimi decenni rafforza le recenti iniziative dell’Unione Europea di elevare il cambiamento climatico a priorità centrale nell’ambito degli stanziamenti di bilancio e dei quadri politici. Pur riconoscendo le incertezze intrinseche delle attuali proiezioni, i risultati aiutano a tracciare diverse considerazioni fondamentali. In Europa la distribuzione geografica e settoriale degli impatti economici previsti può fungere da prezioso indicatore per individuare le regioni e i settori che con ogni probabilità necessiteranno di investimenti significativi per migliorare la resilienza climatica dei sistemi infrastrutturali critici, siano essi già in essere o in cantiere. Tali risultati evidenziano quanto sia necessario integrare gli interventi di adattamento climatico in un ampio spettro di iniziative politiche e meccanismi finanziari dell’UE.

 

Nei prossimi decenni l’Europa si troverà di fronte a un aumento costante e sempre più netto dei danni multisettoriali e multirischio: considerando le abbondanti interdipendenze che caratterizzano le moderne reti infrastrutturali, diventa essenziale promuovere approcci collaborativi e multisettoriali quando si sviluppano strategie di adattamento climatico e di resilienza. Questa pianificazione integrata riconosce che le vulnerabilità in un settore possono avere effetti a cascata in tutti i sistemi interconnessi e ciò rende le risposte coordinate più efficaci di quanto non siano interventi isolati e specifici per settore.

 

Da un punto di vista normativo, l’Europa ha già iniziato ad affrontare il problema, come delineato nella Strategia UE 2021 sull’adattamento al cambiamento climatico. Evidenziando quanto sia importante che le infrastrutture siano resilienti ai cambiamenti climatici, il documento si basa in gran parte sul bilancio del 2018 intitolato “Adattamento ai cambiamenti climatici dei grandi progetti infrastrutturali”, che mirava a proporre soluzioni per migliorare la resilienza climatica della rete dell’UE. Il bilancio ha dimostrato che, nonostante le previsioni di funzionamento pluridecennale, le infrastrutture stanno faticando a adattarsi all’evoluzione delle condizioni climatiche. L’esito di questa situazione non sarà altro che un incremento delle spese di manutenzione e riparazione. Inoltre, se si intendono evitare insuccessi a cascata, sarà sempre più cruciale armonizzare i quadri normativi tra gli Stati membri. Di conseguenza, la prima Commissione von der Leyen ha ampliato il mandato degli organismi di normazione europei affinché integrassero le considerazioni climatiche negli standard infrastrutturali e ha esortato gli Stati membri a potenziare il coordinamento nello sviluppo di progetti infrastrutturali transnazionali.

 

I precedenti tentativi dell’UE di progettare un quadro più ampio per le infrastrutture critiche non fanno quasi riferimento all’emergenza climatica: per esempio, il Programma europeo per la protezione delle infrastrutture critiche (EPCIP) del 2006 non menziona mai il cambiamento climatico o i disastri indotti dal clima come minaccia o rischio. Tuttavia, la direttiva del 2023 sulla resilienza delle entità critiche ha tentato di definire un quadro normativo più olistico per quanto riguarda le infrastrutture critiche; il cambiamento climatico viene di fatto specificamente indicato come la causa dell’intensificarsi della frequenza e della scala degli eventi meteorologici estremi in grado di ridurre la capacità, l’efficienza e la vita utile delle infrastrutture. Ciò nonostante, la direttiva manca di definire un quadro di riferimento comune per definire cosa costituisce esattamente un’infrastruttura critica, lasciando in merito ampio margine agli Stati membri a seconda dei singoli contesti nazionali. La direttiva offre solo criteri volti a raggiungere un “livello minimo di armonizzazione” e un’ampia categorizzazione per suddividere le infrastrutture critiche tra quelle legate all’energia, ai trasporti, al sistema bancario, ai mercati finanziari, ai settori digitali, al settore sanitario, alla pubblica amministrazione, allo spazio, quelle legate all’alimentazione e quelle legate alla distribuzione e all’utilizzo dell’acqua. Nel tentativo di essere onnicomprensiva, la direttiva dimentica una delle principali distinzioni tra le infrastrutture critiche: quelle che operano sulla terraferma e quelle che operano in ambiente marittimo e subacqueo. Inoltre, sebbene il clima venga circoscritto come una minaccia, non vengono proposte strategie di adattamento o misure di resilienza specifiche per contrastarlo.

 

L’Europa è di fatto ben lontana dall’avere un quadro di adattamento adeguato a rispondere agli effetti del clima sulle infrastrutture critiche. Inoltre, difetta di regolamenti specifici per il settore marittimo. Nei punti di strozzatura altamente congestionati come il Mar Baltico o nelle aree in cui le infrastrutture sottomarine collegano l’UE e i Paesi terzi (come nel Canale della Manica o nel Mare del Nord), si rende particolarmente pressante e necessario chiarire la regolamentazione. Inoltre, a seconda dei Paesi, la protezione delle infrastrutture critiche e il controllo dei danni (anche a seguito di calamità naturali) possono essere affidati a forze militari e navali, rendendo ancora più difficile la creazione di un quadro uniforme. Le interazioni con gli attori militari e non comunitari aggiungono un livello di complessità a un quadro normativo già carente. Pertanto, oltre alla strategia di adattamento, l’UE dovrebbe creare gruppi di coordinamento permanenti che coinvolgano esperti del clima, autorità di regolamentazione e gestori delle infrastrutture e personale militare, così da classificare e valutare periodicamente i rischi e le minacce causati dal cambiamento climatico alle proprie infrastrutture critiche.