Indonesia potenza silenziosa

di Roberto Di Giovan Paolo

Nuovi attori

Indonesia potenza silenziosa

di Roberto Di Giovan Paolo

La terza democrazia più popolosa del mondo cerca un ruolo riconosciuto nello scacchiere asiatico. La stabilità politica e la crescita economica rendono Giacarta un interlocutore chiave tra Cina, India e l’Occidente

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’Indonesia è un gigante che non ama mettersi troppo in mostra, ma che potrebbe giocare un ruolo sempre più centrale in futuro. Con 286 milioni di abitanti, oltre 700 lingue parlate e una popolazione a maggioranza musulmana (l’87 percento), il Paese è la più grande nazione islamica del mondo.

 

L’arcipelago, che conta più di 17.500 isole, ha preservato la propria identità nazionale nonostante secoli di dominazioni straniere: dalla conquista portoghese alla lunga colonizzazione olandese, fino all’occupazione giapponese durante la Seconda guerra mondiale. L’indipendenza è stata conquistata nel 1949, dopo quattro anni di lotta armata. Nel 1965, con un colpo di Stato, il generale Suharto sale al potere, mantenendo il controllo del Paese fino al 1998.

 

Oggi l’Indonesia è tra le economie più dinamiche dell’Asia e figura stabilmente tra le prime dieci al mondo per PIL in termini assoluti. Un trimestre con una crescita inferiore al 5 percento viene considerato debole, a dimostrazione delle aspettative elevate.

 

Per sostenere la domanda interna, il governo ha varato uno stimolo fiscale da oltre 1,5 miliardi di dollari, mirato in particolare alle piccole e medie imprese e al rafforzamento dei consumi. Una misura che riflette la volontà di mantenere il ritmo di sviluppo in un contesto economico globale sempre più incerto.

 

 

la fotoLa moschea Istiqlal, la più grande dell’Indonesia, che si trova nel cuore della capitale Giacarta. L’Indonesia ha la più grande popolazione musulmana al mondo. La religione ha sempre avuto un ruolo significativo nella vita sociale, culturale e politica del Paese

 

 

L’islam indonesiano

L’Indonesia è il Paese con la più grande popolazione musulmana al mondo. La religione ha sempre avuto un ruolo significativo nella vita sociale, culturale e politica del Paese, anche se con accenti diversi nei vari periodi storici. Durante la dittatura di Suharto, l’islam politico fu tenuto ai margini, ma con il ritorno alla democrazia negli anni ’90 si è riaffermato come forza di partecipazione sociale e culturale, senza tuttavia assumere un peso dominante in termini strettamente elettorali.

 

Il panorama islamico indonesiano è spesso descritto attraverso la dialettica tra “tradizionalisti” e “modernisti”. I primi tendono a valorizzare la connessione con la storia e le tradizioni locali, frutto di secoli di scambi, influenze e stratificazioni culturali. I secondi, nati come movimento di riforma all’inizio del XX secolo, puntano invece a un’interpretazione più diretta del Corano e della legge islamica. Questa distinzione, tuttavia, non è rigida: entrambi i filoni si confrontano con le sfide della modernità e con le necessità di una società pluralistica, e spesso finiscono per avvicinarsi nei risultati concreti della loro azione.

 

 

la fotoDonne musulmane in preghiera nella moschea Istiqlal, Giacarta. Il panorama islamico indonesiano è spesso descritto attraverso la dialettica tra “tradizionalisti” e “modernisti”. I primi tendono a valorizzare la connessione con la storia e le tradizioni locali, mentre i secondi puntano a un’interpretazione più diretta del Corano

 

 

Un terreno significativo di questo confronto è la questione ambientale. L’Indonesia, per la sua conformazione geografica e la sua ricchissima biodiversità, è particolarmente esposta alle sfide ecologiche: dall’inquinamento dei fiumi alla deforestazione, fino agli effetti del cambiamento climatico. Le istituzioni statali hanno mostrato attenzione crescente al tema: un caso recente è stata la chiusura di una grande azienda tessile, accusata di corruzione e inquinamento, che ha comportato anche l’avvio di una class action da parte degli agricoltori danneggiati.

 

Anche le organizzazioni religiose hanno iniziato a giocare un ruolo importante. Muhammadiyah, che conta oltre 50 milioni di aderenti, ha lanciato il progetto di creare migliaia di “eco-moschee”, edifici religiosi alimentati da pannelli solari e gestiti secondo i principi dell’economia circolare. L’iniziativa è promossa anche da figure femminili come Hening Parlan, segno di una crescente apertura al protagonismo delle donne nella vita sociale e religiosa. Un Islam che si intreccia con la sostenibilità ambientale e che cerca di fornire risposte concrete ai bisogni delle comunità.

 

 

la fotoL’Indonesia possiede risorse naturali rilevanti, come petrolio, gas, carbone, minerali, e un’agricoltura diversificata (riso, olio di palma, caucciù), accanto a un settore manifatturiero e dei servizi in espansione

 

 

L’esperienza indonesiana mostra come la religione, pur con le sue diverse interpretazioni, possa contribuire a costruire un’identità collettiva moderata e inclusiva. Nonostante episodi di radicalismo abbiano segnato la storia recente, il Paese resta ancorato al motto nazionale Bhinneka Tunggal Ika (“unità nella diversità”), che valorizza la pluralità di culture e fedi come fondamento della coesione nazionale.

 

 

 

La terza democrazia al mondo

Oltre a essere la più grande nazione musulmana, l’Indonesia viene definita la terza democrazia al mondo in termini di grandezza (dopo India e USA). Le elezioni del 2024 hanno consegnato la vittoria al primo turno a Prabowo Subianto, che non ha ottenuto però la maggioranza assoluta per il suo partito. Il nuovo presidente ha avviato un governo di coalizione destinato a concentrarsi soprattutto sulle questioni economiche più che su quelle ideologiche.

La crescita economica è stata il fulcro della sua campagna

L’obiettivo dichiarato dell’8 percento appare lontano, ma un ritmo del 4-5 percento rimane comunque solido, soprattutto se confrontato con la congiuntura internazionale. L’Indonesia, che ha registrato un aumento delle esportazioni superiore all’11 percento nell’ultimo anno, affronta oggi una sfida centrale: rafforzare il proprio ruolo nello scenario globale, evitando di rimanere ai margini dei grandi equilibri asiatici dominati dalla Cina e, in misura diversa, dall’India.

 

Il Paese possiede risorse naturali rilevanti – petrolio, gas, carbone, minerali – e un’agricoltura diversificata (riso, olio di palma, caucciù), accanto a un settore manifatturiero e dei servizi in espansione. Tuttavia, la distribuzione della ricchezza resta diseguale, e vaste aree rurali non beneficiano ancora delle trasformazioni produttive in corso. Il rischio è quello di rimanere troppo dipendenti dalle filiere globali che vedono l’Indonesia soprattutto come hub manifatturiero a basso costo.

 

Secondo analisi ancora attuali, l’industria indonesiana ha conosciuto negli ultimi due decenni una crescita rilevante, ma la produzione ad alta tecnologia (auto, motociclette, ICT) è in gran parte dominata da multinazionali straniere, in particolare giapponesi, sudcoreane, cinesi, statunitensi e di Singapore. Le imprese a capitale indonesiano restano forti nei settori tradizionali – tessile, abbigliamento, alimentare – e in alcune aree strategiche come il petrolio, l’avionica e le comunicazioni, mentre settori cruciali come sanità e istruzione vedono ancora un ruolo limitato dello Stato e un maggiore affidamento al privato da parte della classe media. Sono questi i nodi che hanno dominato il dibattito elettorale, molto più delle questioni religiose o ideologiche.

 

 

la fotoL’industria indonesiana ha conosciuto negli ultimi due decenni una crescita rilevante

 

 

L’Indonesia si conferma così un Paese-chiave del Sud-est asiatico: la sua evoluzione economica e sociale sarà indicativa delle dinamiche dell’intera regione, offrendo anche un esempio di come un grande Stato a maggioranza musulmana cerchi di coniugare crescita economica, pluralismo sociale e sostenibilità.