Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
La corsa alla supremazia verde di Lorenzo Castellani
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La corsa alla supremazia verde 

di Lorenzo Castellani

Guidare la transizione è fondamentale per spingere la crescita economica in un mondo in trasformazione. C’è da aspettarsi che il prossimo capitolo nella sfida tra le potenze globali sarà quello “delle guerre climatiche” 

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ogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta”. Così ha esordito Mario Draghi nel suo discorso in Parlamento al momento dell’insediamento del governo. Le parole erano già state precedute dai fatti. 

Nel nuovo esecutivo è stato creato il ministero della Transizione Ecologica che è stato affidato a Roberto Cingolani, scienziato con eccellenti capacità di gestione (lo ha dimostrato all’Istituto Italiano di Tecnologia) e una solida cultura d’impresa (un’esperienza ai vertici di Leonardo). Mentre per il ministero alle Infrastrutture e ai Trasporti la scelta è caduta su Enrico Giovannini, grande esperto di sviluppo sostenibile e già con una importante esperienza nelle istituzioni. 

Come sempre quando si analizzano le scelte di Draghi, l’azione del governo va iscritta nel contesto internazionale ed europeo anche per quanto riguarda le politiche della green economy. Troppo spesso nel dibattito pubblico si sovrappone la transizione ecologica esclusivamente alla mobilità elettrica, alla componentistica, ai materiali di costruzione. C’è tutto questo naturalmente, fondamentale per rendere vivibili metropoli sempre più affollate e per migliorare l’efficienza energetica a vantaggio dei consumatori; ma non soltanto. C’è una più profonda traccia che si articola tra capitalismo, Stato e industria.  

la fotoIl Parlamento europeo a Strasburgo

 Le azioni per il clima e la supremazia geopolitica  

Proprio come la tecnologia digitale ha sostenuto la crescita economica negli ultimi dieci anni, l’azione sul cambiamento climatico è destinata a diventare il tema chiave a livello globale, dal punto di vista politico ed economico, per i prossimi decenni. In questo contesto, guidare lo sviluppo green e controllare le tecnologie necessarie diviene fondamentale per spingere la crescita economica in un mondo in trasformazione. Pertanto, dopo le guerre commerciali e tecnologiche degli ultimi anni, c’è da aspettarsi che il prossimo capitolo delle tensioni tra Stati Uniti e Cina sarà quello che potremmo chiamare “delle guerre climatiche”. Non si tratta solo di salvare il pianeta e renderlo più vivibile. Nel grande gioco del potere le strategie green offrono una strada per la supremazia globale.  

Come alla fine della seconda guerra mondiale le due grandi potenze del globo iniziarono una competizione tecnologica, bellica e spaziale dando vita ad un complesso militare-industriale che avrebbe fornito una spinta vertiginosa allo sviluppo economico nella seconda metà del ventesimo secolo, allo stesso modo oggi, dopo la grande frenata della pandemia e la stabilizzazione del capitalismo digitale, si cerca una via per dispiegare nuove strategie economiche, industriali e tecnologiche. 

In gioco, dunque, c’è molto di più dell’auto elettrica e del monopattino e al fondo c’è una filosofia molto diversa dalle targhe alterne o dalla limitazione degli spostamenti. Bank of America ha stimato che gli investimenti nella transizione energetica potrebbero aumentare fino a 4 mila miliardi all’anno rivoluzionando la produzione e le tecnologie. Una svolta che imporrà anche una rimodulazione dell’occupazione chiamando gli Stati ad adattare i propri sistemi di welfare e di istruzione. Ciò che verrà lasciato per strada in termini occupazionali dalla vecchia manifattura dovrà essere controbilanciato dai nuovi settori.  

In questo processo ogni regione del globo ha punti di forza e di debolezza, che possono essere utilizzati o sfruttati, per esercitare pressioni o ottenere vantaggi nella corsa alla superiorità verde.  Le capacità eolica e solare della Cina aumenteranno rispettivamente di tre volte e quattro volte entro il 2030, rispetto a due volte e tre volte negli Stati Uniti. Lo stesso vale per le batterie elettriche (quadruplicheranno in Cina entro il 2025, triplicheranno negli Stati Uniti).  Non si tratta solo di attacco ma anche di difesa. Le tensioni potrebbero intensificarsi a causa del predominio della Cina nelle catene del valore dell’energia solare e nella produzione di metalli delle terre rare; per le politiche protezionistiche incentrate sul mercato interno, come la politica del “Made in America” degli ultimi anni; e la spinta europea per costruire catene di approvvigionamento interne per la produzione di batterie elettriche. 

 

Verso una rinascita europea 

Mentre le relazioni USA-Cina sono state la frontiera geopolitica ed economica negli ultimi dieci anni, l’Europa sembra essere rimasta indietro. Tuttavia, l’onda verde potrebbe segnare una svolta poiché l’Europa è già un leader nella politica climatica, con il 70 percento degli asset dei fondi comuni di investimento, la regolamentazione verde più avanzata e un significativo vantaggio sulla decarbonizzazione. Di conseguenza, le guerre climatiche potrebbero facilitare una rinascita europea. Già oggi l’80 percento delle più grandi aziende mondiali di clean-tech sono europee. Non dobbiamo dimenticare poi che circa un terzo delle risorse del PNRR dovranno essere investite nel campo della transizione ecologica. Impresa verde, economia circolare, energie rinnovabili, efficienza e riqualificazione degli edifici saranno i settori su cui impresa pubblica e privata, ma anche i risparmiatori, dovranno investire nei prossimi anni. 

Inoltre, se la Cina è il paese più avanzato per quanto riguarda l’elettrico, il solare e le batterie, Stati Uniti ed Europa stanno investendo sul nuovo oro verde, l’idrogeno. Sia Francia che Germania si sono gettate nella ricerca sulla produzione dell’idrogeno verde, energia clean e versatile. Parigi ha già stanziato sette miliardi, mentre Berlino ne ha messi sul tavolo ben nove. Due miliardi per lo sviluppo dell’idrogeno, inoltre, sono già stati inseriti dal governo italiano nel pacchetto del Recovery Fund. La Commissione Europea ha stimato un impegno finanziario comune di 120-130 miliardi.  

 

Un’occasione per l’Italia 

Al tavolo di Bruxelles partecipa naturalmente anche l’Italia, in particolare attraverso le sue partecipate di Stato in campo energetico. L’opportunità è fondamentale anche per sfruttare la naturale posizione geografica dell’Italia, al centro del Mediterraneo e connessa con una vasta rete di gasdotti al resto del mondo. Il Belpaese può diventare l’hub del continente ed il rubinetto da cui transita l’energia che viaggia verso Nord, acquistando un nuovo ruolo geopolitico. Per farlo necessita di sinergie tra pubblico e privato più che di sussidi. Serviranno infrastrutture, tecnologia, reti su cui far lavorare i campioni nazionali dell’industria. 

In questo scenario le politiche pubbliche che il governo metterà a punto saranno fondamentali poiché condizioneranno la vita economica del paese ben oltre la fine della legislatura. Siamo in uno dei rari momenti della storia in cui le riforme dovranno sopravvivere al ciclo politico, condizionando le istituzioni nel lungo periodo. Servirà una buona dose di pragmatismo che emerge già dalle parole del ministro Cingolani, il quale ha precisato: “è ovvio che l’idrogeno verde sia la fonte di energia decisamente preferibile, ma dobbiamo avere la capacità di pensare a un mix di vettori energetici, molto variabile nel corso degli anni”. Una flessibilità ed una concretezza che dovranno emergere anche nei vettori amministrativi e finanziari e non solo energetici. Nella rivoluzione verde, proprio come nella realizzazione del complesso militare-industriale degli anni Cinquanta da parte degli Stati Uniti, pubblico e privato diventeranno sempre più osmotici così come il profitto si integrerà sempre di più con il garantire una qualità della vita superiore. Nuove combinazioni e collaborazioni diventeranno possibili per sfruttare al meglio i fondi europei e per rilanciare l’economia attraverso l’apertura dei nuovi mercati. Nell’era della “guerra climatica” non esistono più pochi, grandi, monolitici attori ma sistemi aggregati di capitale, ricerca, impresa e Stato che dovranno forgiare un nuovo ciclo di sviluppo economico ed umano.