Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
L'ora di agire di Nicola Graziani 
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AMBIENTE

L'ora di agire 

di Nicola Graziani 

Papa Francesco indica la strada, non facile ma nemmeno impossibile, di un ripensamento radicale del modello di sviluppo a partire dalle tematiche dell’ambiente. L’essere umano deve essere custode della casa comune.

13 min

C'

è un errore da evitare con cura, quando si pensa all’insegnamento di Papa Francesco in materia di ambiente e cambiamenti climatici, e cioè che il suo sia un rifiuto totale dell’idea di progresso. Come se il mondo fosse una spaventosa fucina immaginata da J.R.R. Tolkien, dove un mago plasmi a ritmi industriali creature mostruose, senza sapere che tra poco la Natura, con una marcia inarrestabile di alberi millenari, si riprenderà il suo posto distruggendo i distruttori. Quella di Bergoglio, non è una negazione del mondo moderno: è la richiesta di una sua rifondazione, con l’essere umano posto al centro del Creato. E, pertanto, suo tutore e difensore. 

Non un essere umano padrone, ma creatura nobile che alle altre creature deve la propria sopravvivenza. Senza queste, la persona umana non ha né scopo, né possibilità di sopravvivenza. Di qui i toni apocalittici che usa spesso nelle sue interviste e nei suoi libri. Ma anche l’Apocalisse, per la Chiesa Cattolica, non è distruzione: è rivelazione, aprire gli occhi sulla realtà delle cose. Nessuno ha ancora detto a che ora sarà la fine del Mondo, tantomeno lo ha preannunciato Papa Francesco che, anzi, pone l’accento sulla grande capacità dell’Umanità di sapersi rigenerare. Anche questa volta sarà così, sempre che lo si voglia. 

 

Superare la “cultura dello scarto” 

In altre parole, quello che il Pontefice indica è la strada, non facile ma nemmeno impossibile, di un ripensamento radicale del modello di sviluppo ad iniziare dalle tematiche dell’ambiente. La più grande delle opportunità in un momento che vede, anche a motivo della pandemia di Coronavirus, il ripensamento di molte convinzioni e certezze non più date per scontate come ancora accadeva due anni fa. In questo tra Papato e mondo contemporaneo c’è molto di più di una affinità di vedute: c’è una possibile se non probabile unità di intenti. Sia chiaro, però: è questo il momento di agire. 

Comunque il rinnovamento deve prendere le mosse dall’accettare un dato di fatto: la peggiore nemica dell’ambiente è quella che Papa Francesco chiama la “cultura dello scarto”. L’idea, vale a dire, che si possa sfruttare per il proprio vantaggio economico la ricchezza delle materie prime come gli stessi esseri umani, gettando poi il rifiuto – sia esso materiale come umano – senza riconoscergli alcuna dignità, né possibilità di recupero. Questo fa sì che le risorse materiali si assottiglino, la dignità degli uomini e delle donne finisca calpestata, che la Terra sia un paradiso sempre più fragile e, questa volta davvero, un paradiso perduto.  

Non a caso, ancora lo scorso febbraio al momento di ricevere il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Bergoglio accusava questa cultura “usa e getta” chiedendo “una collaborazione internazionale per la cura della nostra casa comune”. Il primo banco di prova si presenterà alla prossima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP26), prevista a Glasgow per novembre. L’auspicio del Pontefice è quello che si trovi “un’intesa efficace per affrontare le conseguenze del cambiamento climatico”.  

 

L’uomo come custode della Terra 

L’essere umano, nella visione di Papa Francesco, è e deve essere custode della terra. Le conoscenze della tecnica danno “a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero”, scrive nella “Laudato Si’”, l’enciclica emanata nel 2015 e che ancora adesso rappresenta il cuore del suo pontificato. “Il mercato da solo non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale”, aggiunge. Questo accade perché alla logica dello scambio, di per sé positiva nel suo ri­sol­ve­re i problemi come nel suo creare ricchezza, si è sovrapposta la logica della massimizzazione del profitto che scarta chi e cosa non sia ad essa coerente. Ne scaturiscono lo sfruttamento dei bam­bini, l’abbandono degli gli anziani, la schiavitù, il commercio di pelli di animali in via di estinzione e di “diamanti insanguinati”. Ugualmente i cambiamenti climatici sono un problema globale, causa ed effetto contemporaneamente, di questa logica. Oggi “costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità”, scrive Jorge Mario Bergoglio nell’enciclica. Molti di quanti “detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi”.  

Emergono così una serie di emergenze, nessuna delle quali rinviabili ed ognuna, anche presa da sola, in grado di stravolgere gli equilibri economici e sociali. Innanzitutto “l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani”. Negare questo accesso significa negare “il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità”. Ugualmente la biodiversità è qualcosa di estremamente delicato ed estremamente necessario: “Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre”. Anch’esse, come gli esseri umani e le materie prime, non sono tanto risorse sfruttabili quanto ricchezze in sé. 

 

La necessità di una “ecologia integrale” 

La dimensione ecologica non è quindi scindibile da quella sociale o politica. É necessaria una vera e propria “ecologia integrale” che spazi su nuovi ambiti della convivenza civile. Infatti “se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana”. Non c’è offesa alla solidarietà e alla convivenza civile che non comporti un danno destinato a riverberarsi sull’ambiente: “Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. Questa ecologia integrale, inoltre, “è inseparabile dalla nozione di bene comune”. 

Il bene comune, nel linguaggio della Chiesa, è lo scopo e la finalità della politica. Bergoglio nei suoi numerosi interventi sul bene comune non ha mai tralasciato (come da ultimo nell’Enciclica “Fratelli Tutti” pubblicata nell’ottobre del 2020) di concludere il suo ragionamento con una riflessione proprio sulla buona politica. Questa parte dall’assunzione di una responsabilità da parte dell’uomo e della donna rispetto a ciò che li circonda, per una valorizzazione dell’essere umano attraverso l’esercizio della sua centralità nell’ambiente.  

Quello del Papa è un invito “ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune”. Purtroppo “i Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non hanno risposto alle aspettative perché, per mancanza di decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali realmente significativi ed efficaci”. La richiesta è quella di una governance mondiale, visto che “la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici” e che “l’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente”. Va da sé che il multilateralismo è una formula privilegiata all’interno delle relazioni internazionali, come anche è bene accetto il rafforzamento di processi come quello del Trattato di Parigi o di istituzioni come l’Organizzazione Mondiale della Sanità.   

È nell’ambito della comunità delle nazioni, retta da un principio democratico al suo interno, che la soluzione dei problemi ambientali e sociali deve essere affidata a processi politici trasparenti e basati sul dialogo. La classe politica internazionale e dei singoli stati deve allora essere in grado di rinunciare alla “logica efficientista” che invece oggi è dominante. Se sarà in grado di farlo “potrà nuovamente riconoscere la dignità che Dio gli ha dato come persona e lascerà, dopo il suo passaggio in questa storia, una testimonianza di generosa responsabilità”.  

 

La funzione primaria di scuola, famiglia e media 

L’ambito antropologico e educativo è, in quest’ottica, essenziale. Bergoglio sottolinea la funzione primaria di scuola, famiglia, mezzi di comunicazione. Per arrivare ad un altro stile di vita, è importante saper “esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale”. È ciò che accade quando le scelte dei consumatori, coscienti del proprio peso, riescono a “modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione”. Percorsi di educazione ambientale e non solo ambientale, insomma, per poter compiere gesti e abitudini quotidiane, dalla riduzione del consumo di acqua, alla raccolta differenziata dei rifiuti fino a “spegnere le luci inutili”.  

Tutto si tiene, nella visione di Papa Bergoglio. Alla radice di tutto, però, l’idea e la convinzione che l’essere umano sia il centro della Natura, la sua più perfetta rappresentazione. Non c’è contrapposizione tra l’una e l’altra cosa, tra l’umanità e ciò che la circonda. Questo fa la differenza tra l’ecologia secondo Bergoglio e l’ecologismo come si è manifestato nelle società occidentali, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso. 

L’ecologismo tradizionale si basa su un concetto di inimicizia insanabile tra l’uomo e la donna da una parte e la Natura dall’altra, quasi a tracciare un conflitto iniziato con la lotta dell’essere umano per la sua sopravvivenza. Un gioco a somma zero in cui non si ha possibilità di sopravvivenza al di fuori della vittoria. Di qui una sostanziale incapacità dei movimenti ecologisti di comprendere la bontà di un progresso sociale ed economico che potesse andare di pari passo con la difesa dell’ambiente. Una mancanza di veduta che ha portato, alla fine, alla quasi totale scomparsa dei movimenti di difesa dell’ambiente dallo scenario delle democrazie avanzate, con il conseguente affermarsi di una concezione iperliberista del mercato, insensibile alle legittime tematiche verdi. 

La Chiesa, arrivata con un certo ritardo sul problema, oggi si pone come la coscienza critica di una umanità dimenticatasi dei suoi doveri nei confronti de una Terra spesso stremata dall’eccesso di sfruttamento delle risorse naturali. In questo le parole poetiche con cui Francesco apre la sua esortazione apostolica “Querida Amazonia” suonano come un richiamo alla Chiesa stessa, innanzitutto, perché continui a ricordare quanto delicato sia il Creato. 

 

Il cattolicesimo e la sfida ecologica 

È, quella ecologica, infatti la terza grande sfida che il cattolicesimo si trova a dover affrontare in quest’ultima parte della sua storia lunga secoli. Settant’anni fa si trattava di affrontare il socialismo reale e l’ideologia antiumana (nonché antimercato) del marxismo-leninismo. Superata la prova è stata combattuta, forse con risultati inferiori, la battaglia dei valori etici contro il relativismo culturale. Adesso Francesco, che ama parlare di inculturazione nel mondo moderno, fa dell’ecologia umana ed integrale la cifra del suo pontificato. A differenza dell’approccio usato dai suoi predecessori, però, non sceglie lo scontro frontale. Sceglie piuttosto la penetrazione lenta ma costante, e forse anche l’attesa e la pazienza con cui Matteo Ricci si poneva di fronte all’ingresso della Città Proibita.  

Il risultato non è scontato, le possibilità di una sconfitta sempre presenti. Forse anche la portata dell’operazione antropologica è ancor più vasta che in passato, proprio a causa della proclamata unitarietà dei tanti temi sottintesi e sintetizzati nella dizione “ambiente”.