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Il paradosso del climadi Ruben David
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Cambiamento climatico

Il paradosso del clima

di Ruben David

Sebbene molti paesi africani siano tra le aree più esposte agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, il loro contributo al fenomeno risulta limitato. Il sostegno della comunità internazionale è di importanza fondamentale per gli interventi di adattamento

13 min

L’

Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il più autorevole organismo internazionale impegnato nello studio scientifico dei mutamenti climatici, ha recentemente pubblicato la seconda parte del Sixth Assessment Report, il rapporto di valutazione che quantifica l’impatto del cambiamento climatico e misura la vulnerabilità e la capacità di adattamento di ambienti naturali e società umane agli effetti negativi del fenomeno. Per redigere il report, l’IPCC ha effettuato una serie di studi approfonditi volti a quantificare l’impatto del cambiamento climatico su società ed ecosistemi nelle diverse regioni del mondo.

Lo studio incentrato sull’Africa mette in luce un aspetto allarmante, ma non certo sorprendente: il continente è tra i minori emettitori di gas serra, e tuttavia settori strategici per il suo sviluppo hanno già subito perdite e danni generalizzati a causa dei cambiamenti climatici causati dall’uomo, tra cui perdita di biodiversità, carenza d’acqua, diminuzione della produzione alimentare, decessi e riduzione della crescita economica. Inoltre, nel caso dell’Africa l’IPCC stima che il contenimento del rialzo della temperatura mondiale entro gli 1,5°C dovrebbe tradursi in una sostanziale riduzione dei danni alle economie, all’agricoltura, alla salute umana e agli ecosistemi rispetto a livelli di riscaldamento globale più elevati.

 

Chi è responsabile delle emissioni? 

 

Gli effetti nocivi dell’aumento delle emissioni danneggiano tutti i paesi e le popolazioni indipendentemente dal loro livello di responsabilità: chi emette più gas serra non corrisponde a chi risente maggiormente delle emissioni. Sebbene molti paesi africani siano tra le aree più esposte e vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, tenuto conto delle emissioni storiche e attuali, il loro contributo al fenomeno risulta limitato.

L’intero continente africano è responsabile di appena il 3 percento delle emissioni cumulative nel periodo 1750-2021. In ottica storica gli Stati Uniti sono responsabili del 25 percento delle emissioni, i 27 paesi che attualmente compongono l’UE contribuiscono per il 22 percento, la Cina per il 12,7 percento, la Russia per il 6 percento e l’India per il 3 percento.

L’impatto dell’Africa sull’alterazione del clima è sempre stato marginale; lo stesso non si può dire per altre aree geografiche che negli ultimi tempi hanno notevolmente incrementato la quota relativa di emissioni. All’inizio del secolo scorso, il 1900, l’Africa era responsabile dello 0,12 percento delle emissioni globali; nel 1950 la sua quota era passata all’1,5 percento e all’inizio del nuovo millennio si attestava al 3,5 percento. Europa e Stati Uniti sono stati di gran lunga i maggiori emettitori per gran parte del XX secolo. Se da un lato nel 1900 oltre il 90 percento delle emissioni proveniva da queste due aree, dall’altro nel 1950 la loro quota era scesa all’85 percento e nel 2000 era pari a poco meno del 50 percento. A tale tendenza ribassista si è contrapposto l’aumento delle emissioni di un piccolo gruppo di economie emergenti, in particolare asiatiche, tra cui spicca la Cina, che oggi è il principale responsabile delle emissioni a livello mondiale. Per tutto il periodo l’aumento delle emissioni dei paesi africani è stato decisamente contenuto.

I dati sulle emissioni attuali dipingono un quadro diverso da quello storico, in cui la Cina si rivela il primo emettitore in virtù di una quota del 28 percento circa. Al secondo posto si collocano gli Stati Uniti con il 14 percento, seguiti dall’India con il 6 percento, dalla Russia con il 5 percento e dal Giappone con il 4 percento. La quota di emissioni dell’UE è pari all’8 percento. Neppure oggi l’Africa rappresenta una fonte significativa di emissioni in grado di alterare il clima poiché è responsabile di appena il 3,9 percento circa delle emissioni globali. Tra i principali produttori globali di emissioni non figura alcun paese africano. Soltanto la quota del Sudafrica, il maggiore emettitore del continente, supera l’1 percento delle emissioni mondiali complessive, mentre il resto dell’Africa dà un contributo marginale.

 

Vulnerabile ai cambiamenti climatici

 

Il fatto che l’Africa sia uno dei minori responsabili del cambiamento climatico e al contempo una delle aree geografiche più vulnerabili alle ripercussioni negative del fenomeno è uno dei paradossi della politica climatica globale.

L’effetto composito di fattori geografici, socioeconomici e politico-istituzionali rende l’Africa uno dei continenti più esposti ai cambiamenti climatici, al pari di aree quali il sud-est asiatico, l’America centrale e meridionale e i piccoli stati insulari in via di sviluppo.

Infatti, la maggiore esposizione dell’Africa ai mutamenti climatici rispetto ad altre regioni dipende non solo da posizione geografica e conformazione del territorio, ma anche dalle precarie condizioni socioeconomiche e dalla fragilità della struttura di governance istituzionale e politica, che penalizzano molti paesi africani. Pertanto, il cambiamento climatico grava su un contesto già fragile e acuisce i molteplici fattori di stress che caratterizzano l’Africa: insicurezza alimentare, perdita di biodiversità, instabilità politica e conflitti.

la foto Cooperativa di produttori di frutta e verdura di Meki Batu, Etiopia.

 

Il legame tra cibo e clima

 

In molti paesi africani l’agricoltura costituisce il principale motore dell’economia; di conseguenza la vulnerabilità al cambiamento climatico è elevata poiché il fenomeno mette a rischio i raccolti e quindi i mezzi di sussistenza di singoli individui e intere comunità. Secondo il Sixth Assessment Report dell’IPCC, a causa dei mutamenti climatici in Africa la crescita della produttività agricola si è già contratta del 34 percento dal 1961, più che in ogni altra regione. Le temperature più elevate eserciteranno ulteriori pressioni sul sistema alimentare per via della riduzione del periodo vegetativo delle colture e dell’aumento dello stress idrico. Dato che nell’area sub-sahariana la sopravvivenza del 60 percento circa della popolazione dipende dall’agricoltura, la variazione dei cicli delle piogge e delle stagioni di semina e raccolta aggrava l’insicurezza alimentare. Come se non bastasse, in base a previsioni aggiornate l’innalzamento del livello del mare minaccerà le comunità costiere, vulnerabili a fenomeni quali inondazioni ed erosione, salinizzazione dei terreni agricoli e danni alle aree di pesca interne e costiere.

 

Il legame tra migrazioni e clima

 

Inondazioni, siccità e tempeste più frequenti dovute ai cambiamenti climatici potrebbero anche comportare un’intensificazione dei fenomeni migratori e degli spostamenti di esseri umani. Sinora in Africa le migrazioni legate al clima sono avvenute in larga misura all’interno dei singoli paesi o tra paesi confinanti. In base ai dati forniti dall’IPCC nel report (AR6 WG2), nell’Africa sub-sahariana nel 2018 e nel 2019 si sono verificati rispettivamente 2,6 e 3,4 milioni di spostamenti per via del clima. Tali numeri sono destinati a salire a causa delle ripercussioni dei cambiamenti climatici. Le stime fornite dall’IPCC nel documento indicano che in caso di rialzo della temperatura globale di 1,7°C entro il 2050, tra 17 e 40 milioni di persone potrebbero spostarsi all’interno del continente e il numero dei migranti potrebbe arrivare a 56-86 milioni in presenza di un riscaldamento di 2,5°C.

 

Il legame tra sicurezza e clima

 

Non mancano poi i rischi per la sicurezza legati al cambiamento climatico, un potenziale moltiplicatore di conflitti che accresce la competizione per assicurarsi le sempre più scarse risorse per il sostentamento. Di conseguenza, la presenza simultanea di crescita demografica, scarsità delle risorse, debolezza della governance e cambiamenti climatici aumenta le probabilità di una ripresa dei conflitti armati in Africa.

la fotoBarche di pescatori sul fiume Gambia.

 

Adattamento a un clima già in evoluzione

 

Il contenimento del rialzo della temperatura media globale al di sotto di una determinata soglia è al centro del regime sul clima delle Nazioni Unite. L’Accordo di Parigi (2015), che regola gli interventi sul fronte climatico nel periodo successivo al 2020, mira a mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali e invita le parti ad accrescere gli sforzi per limitare il riscaldamento a 1,5°C. Alcuni dei danni causati sono già irreversibili, ma secondo l’IPCC ogni decimo di grado oltre la soglia indicata avrà ulteriori gravi ripercussioni su ecosistemi e società. In generale, la previsione vale per tutte le regioni mondiali, ma in particolare per le aree più vulnerabili.

Al di là degli interventi di mitigazione, in cui l’Africa è coinvolta marginalmente, a essere davvero rilevante per i paesi del continente è l’adattamento ai cambiamenti climatici, i cui effetti dirompenti su popolazione ed ecosistemi sono già visibili. Tuttavia, molti paesi sub-sahariani hanno una capacità di adattamento relativamente bassa in termini di know-how, tecnologia e disponibilità finanziarie. L’alto indebitamento e il modesto margine di manovra sul fronte fiscale di numerosi paesi dell’Africa limitano la loro capacità di creare sistemi resilienti tramite investimenti per l’adattamento a livello locale e di mobilitare capitali per la transizione a un’economia decarbonizzata. Il sostegno della comunità internazionale ha quindi un’importanza fondamentale.

In conformità all’Accordo di Parigi, i paesi avanzati sono tenuti a fornire risorse finanziarie alle aree in via di sviluppo per la mitigazione e l’adattamento ai mutamenti climatici (art. 9.1). Durante i negoziati alla COP26, tra le questioni più dibattute circa i finanziamenti per il clima rientravano proprio le modalità di traduzione in pratica della suddetta disposizione. Nell’accordo finale, il Patto per il clima di Glasgow, si rileva con profondo rammarico che i paesi sviluppati hanno mancato l’obiettivo per il 2020 di erogare 100 miliardi di dollari l’anno a fini di assistenza dei paesi in via di sviluppo, e si esortano i primi a stanziare importi annui quantomeno equivalenti sino al 2025.

In considerazione delle reali esigenze di molti paesi poveri e in via di sviluppo, tra cui quelli africani, l’impegno a raggiungere il target di 100 miliardi di dollari l’anno ha principalmente un valore simbolico. Si tratta infatti di un requisito minimo, poiché in realtà per una transizione equa a sistemi socioeconomici decarbonizzati e a zero emissioni nette occorrono investimenti per migliaia di miliardi.

Inoltre, il Patto per il clima di Glasgow stabilisce che i paesi sviluppati devono quantomeno raddoppiare il sostegno collettivo alle misure di adattamento entro il 2025 rispetto ai livelli del 2019, così da aiutare le economie in via di sviluppo a prepararsi all’impatto negativo dei cambiamenti climatici già in corso. Se i paesi avanzati terranno fede a tale obbligo, i finanziamenti per l’adattamento ai mutamenti climatici potrebbero passare dai 20 miliardi di dollari del 2019 a circa 40 miliardi di dollari l’anno. Dato che attualmente solo il 25 percento circa dei finanziamenti internazionali per il clima è destinato al supporto di misure di adattamento, una simile evoluzione potrebbe rappresentare un effettivo passo avanti, ma sarà comunque insufficiente a coprire le reali esigenze dei paesi in via di sviluppo e africani in termini di investimenti. In ogni caso, si tratta di un segnale politico importante per i negoziati futuri.

Tutti questi temi, di fondamentale importanza per il futuro di molti paesi africani e per la loro trasformazione in economie climaticamente neutrali e resilienti, saranno al centro della prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP27) che si terrà a novembre 2022 a Sharm El-Sheikh, in Egitto (il quarto paese africano a ospitare l’evento annuale dal 1995).