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COP27 un punto di svolta? di Robert Dewar 
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Cambiamento climatico

COP27 un punto di svolta? 

di Robert Dewar 

La Conferenza si terrà in Egitto: questo darà maggior rilievo ai messaggi africani. Idealmente Europa, Stati Uniti, Cina, India e molti altri paesi dovrebbero sostenere l'Africa. Ma il Continente deve muoversi, a prescindere da tutti

13 min

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a COP27 del prossimo novembre in Egitto rappresenta una grande opportunità. Che la conferenza si tenga in suolo africano significa puntare i riflettori sulla vulnerabilità climatica del continente. E le preoccupazioni e aspirazioni dell’Africa saranno espresse con voce chiara, come ha promesso Sameh Shokry, che presiederà l’evento.  

Ma le conferenze non sono e non fanno tutto. Possono catalizzare ambizioni maggiori, ma il multilateralismo implica un compromesso politico: il progresso generale è spesso troppo lento. Il tempo non è dalla parte del nostro pianeta, come chiarisce il recente rapporto (davvero cupo) dell’Intergovernmental Panel on Climate Change’s (IPCC).  

Quello che accadrà sul campo nei prossimi mesi può quindi fare davvero la differenza: qui si parla della volontà politica e delle performance reali di tutti i governi, gli enti mondiali, le città, il settore privato, il mondo accademico, le comunità, e di ciascuno di noi nella vita quotidiana.  

Il cambiamento climatico è un problema urgente per l’Africa? Sì, lo è. Ancor più che in altri continenti, in Africa gli impatti del cambiamento climatico sono la realtà del vissuto quotidiano. 

Il bilancio dell’ultimo anno 

Sono stati dodici mesi difficili. Il rapporto dell’IPCC ha di nuovo evidenziato la particolare vulnerabilità dell’Africa. Inondazioni, ondate di calore, siccità, perdita dei raccolti, riscaldamento degli oceani, malattie, conflitti influenzati dalle pressioni climatiche: tutti fattori dall’impatto severo che aggiungono strati di vulnerabilità a un continente già danneggiato dalla pandemia di Covid-19, che ha esacerbato i livelli di diseguaglianza del debito pubblico e della disponibilità dei vaccini nel mondo. 

Le ripetute inondazioni dovute all’inasprirsi delle tempeste hanno ripetutamente devastato il Mozambico, per fare solo un esempio. E potremmo descrivere la siccità quasi dimenticata nel Madagascar meridionale come la prima carestia al mondo a essere indotta dai cambiamenti climatici.  

Ora ci sono gli ingredienti per un avanzamento riguardo alle priorità dell’Africa. Possiamo sperare che la COP27 rafforzi nuovamente gli impegni per la riduzione delle emissioni, processo cui serve una vera scossa. La COP26 ha lasciato un grande divario tra promesse, impegni e ciò che è realmente necessario fare per evitare il crollo della parabola dell’obiettivo degli 1,5 °C. Siamo già a 1,1 °C.  

Dal punto di vista dell’Africa, tuttavia, gli ingredienti per un certo progresso ci sono già.  

C’è nuovo consenso sul fatto che il finanziamento per l’adattamento climatico dovrebbe essere al 50/50 con quello per la mitigazione. Si sono assunti impegni finanziari, seppur deludenti per tempistica e dimensioni.  

Sono ormai in atto i meccanismi di scambio delle quote di emissione dell’Articolo 6 e quelli del sostegno finanziario “Loss and Damage” (aiuti finanziari per coprire i danni e le perdite legati alle conseguenze dei cambiamenti climatici, ndr), ed è su queste basi che bisogna costruire. L’Africa può avviare un mercato del carbonio? È possibile che il dibattito sul “Loss and Damage” faccia progressi concreti, non da ultimo anche per il fatto che il rapporto dell’IPCC, in una certa misura, avalla il concetto? 

Pur se non nelle sessioni formali della COP26, sono stati assunti impegni a opzioni basate sulla natura (Nature Based), quali fermare la deforestazione, conservare gli ecosistemi e il pozzo di carbonio del bacino del Congo. Se il consenso globale può portare a nuovi obiettivi di conservazione del 30 percento o più delle aree terrestri e marine, alla COP27 questo potrà dare slancio a impegni maggiori basati sulla natura, a vantaggio dell’Africa, sempre che si possa invertire l’alto tasso di deforestazione del continente?  

la fotoVeduta aerea del delta dell’Okavango, in Botswana. Il cambiamento climatico sta riducendo il volume dell’acqua che raggiunge il delta.

Una battaglia su due fronti 

Nei prossimi sette mesi si può e, anzi, si deve ingaggiare una battaglia su due fronti. Sul primo fronte bisogna mantenere le promesse: i paesi sviluppati, le istituzioni internazionali, le banche per lo sviluppo e il settore privato mantengano le promesse fatte a Glasgow, e magari facciano qualcosa di più. Il rischio per la reputazione è ancora maggiore se il risultato delude le aspettative.  

Importanti saranno gli incontri del G7 e del G20, presieduti rispettivamente da Germania e Indonesia. Si auspica che gli sconvolgimenti di portata globale, come il conflitto tra Russia e Ucraina, non diventino pretesti per abbassare la priorità dei cambiamenti climatici. La crisi della pandemia ha già influito sui progressi per il clima, non da ultimo con il suo impatto sul bilancio dei paesi sviluppati. Il secondo fronte impone un’azione urgente da parte dell’Africa stessa, e la COP26 ha costruito una piattaforma migliore. L’Africa è in grado di sfruttare le opportunità?  

I capi di stato africani hanno fatto un passo in avanti concordando una nuova strategia per il cambiamento climatico e lo sviluppo resiliente. E gli stati chiave si stanno esponendo con vigore. Per esempio, Kenyatta, presidente del Kenya e nuovo coordinatore del Committee of African Heads of State and Government on Climate Change (CAHOSCC), afferma che il suo paese intende passare al 100 percento di energie rinnovabili entro il 2030 e al 100 percento di accesso alla cucina pulita entro il 2028.  

Parallelamente, il presidente dell’African Union Commission (AUC), Moussa Faki, afferma che gli stati africani stanno addomesticando l’Accordo di Parigi. Questo dovrebbe significare leggi nazionali sul clima, pianificazione di strategie a lungo termine per lo zero netto, contributi determinati a livello nazionale (NDC, Nationally Determined Contributions) possibilmente ancor più ambiziosi, trasformazione degli NDC (anche nelle parti subordinate a un sostegno esterno) in opportunità d’investimento. Molti paesi perseguono il trasferimento tecnologico e cercano aiuto per l’industrializzazione.  

Istituzioni con sede in Africa come l’Unione africana (UA), la United Nations Economic Commission for Africa (UNECA), l’African Development Bank e l’UNEP stanno facendo sforzi straordinari, concentrandosi sulla capacità tecnica e sul sostegno finanziario, sviluppando progetti chiave e lavorando alla costruzione di consenso su una policy che possa guidare l’azione dell’African Group of Negotiators on Climate Change (AGN). 

la foto Ipcc, sesto rapporto di valutazione 2022

Una politica verde in un continente  in rapido cambiamento 

Essere ligi all’agenda è importante, ma ogni stato deve decidere le proprie priorità.  

L’Africa è un continente vasto, con contesti locali e regionali molto diversi. La coerenza delle policy è una sfida. I paesi a reddito medio possono godere di capacità maggiori rispetto ai vicini più poveri e, spesso, più vulnerabili. I conflitti, l’instabilità e la corruzione scoraggiano gli investitori, la cui fiducia è invece attratta dallo stato di diritto e da una legislazione favorevole.  

Tuttavia, come sottolineato dall’IPCC, la resilienza climatica non può essere disgiunta dallo sviluppo sostenibile, mai e in alcun luogo. È fondamentale un approccio sistemico integrato

Considerato il loro particolare potere, se i presidenti africani si dimostreranno padroni dell’azione per il clima, usando i bilanci nazionali e creando condizioni locali favorevoli per attirare la fiducia degli investitori, contribuiranno a una vera svolta. 

Un’altra sfida è l’entusiasmo degli elettori. Il sostegno all’azione per il clima deve prevedere la creazione di mezzi di sussistenza e di posti di lavoro sostenibili, e anche fornire prove che spieghino i motivi dell’insensatezza dei sussidi per i combustibili fossili. 

Con la tecnologia mobile l’Africa ha fatto un leapfrogging e superato prassi ormai obsolete. E può fare un altro grande balzo con le energie rinnovabili, l’agricoltura intelligente, trasporti ed edifici innovativi e più ecologici per il fiorire delle sue città, anche se per farlo deve affrontare la questione degli interessi acquisiti.  

la fotoUn ingegnere passa davanti ai pannelli solari della centrale solare di Ain Beni Mathar, in Marocco.

Energia e finanza  

L’energia pulita è un’opportunità enorme, non da ultimo perché la tecnologia diventa sempre più economica. Con oltre 500 milioni di cittadini africani ancora privi di accesso all’elettricità, la trasformazione verso reti di energia pulita sarebbe un investimento produttivo e al contempo sarebbe parte della soluzione, contribuendo a capire che cosa fare con i combustibili fossili e come evitare attivi non recuperabili.  

A Glasgow, il Sudafrica ha dato l’importante esempio della sua pianificazione per il riorientamento dell’approvvigionamento energetico (in allontanamento dal carbone), con un accordo di transizione giusta da 8,5 miliardi di dollari. 

Le compagnie petrolifere multinazionali dovrebbero scegliere di essere parte della soluzione, abbracciando gli obiettivi di zero netto e supportando transizioni giuste. 

Alla COP26 e prima ancora, l’attenzione alla finanza si concentrava sui 100 miliardi di dollari l’anno da trasferire dai paesi sviluppati ai paesi in via di sviluppo, obbiettivo che pare non si possa conseguire che nel 2023. Alcuni pensano che questa cifra magica abbia oscurato questioni pratiche quali i meccanismi di tracciamento del denaro, per assicurarsi che davvero raggiunga i più poveri e al contempo migliorare l’opinione delle comunità sull’uso di questo denaro. Anche la qualità dei finanziamenti è importante (più sovvenzioni e prestiti agevolati), così come anche la maggior disponibilità di fondi dal settore privato attraverso meccanismi innovativi. Se le condizioni sono giuste, gli investitori possono pensare a finanziamenti iniziali più affidabili e produttivi per le energie rinnovabili, l’agricoltura intelligente per il clima, le infrastrutture dei trasporti, l’ecoturismo. Per un impatto duraturo è importante costruire mezzi di sussistenza sostenibili.  

L’Africa ritiene di avere un impatto positivo netto. Ha emissioni inferiori al 4 percento del totale mondiale, una popolazione numerosa e importanti pozzi di carbonio on-shore e off-shore (questo contributo al sequestro del carbonio oceanico e delle aree costiere con mangrovie e alghe marine e l’impatto dei cambiamenti climatici su stock e distribuzione ittici sono menzionati meno spesso di quanto si dovrebbe). Per quanto meritevole, l’Africa avrà la sua ricompensa? Forse sarà difficile ottenere pieno consenso, ricordando come alla COP26 non lo si sia raggiunto sui bisogni e sulle circostanze speciali dell’Africa. Ora, tuttavia, il pubblico internazionale può aspettarsi argomentazioni forti.  

E, si auspica, a Sharm El-Sheikh la società civile africana potrà far sentire appieno la propria voce. Si fanno policy migliori quando i governi devono render conto del proprio operato in modo consistente.  

La COP27 può portare a questa svolta? Sì, ma… 

A Sharm el Sheikh l’Africa si mostrerà determinata a massimizzare le opportunità. Il continente auspica che i partner, le istituzioni e il settore privato delle nazioni sviluppate e internazionali si facciano avanti. Non tutte le aspettative saranno soddisfatte. Ma il cambiamento climatico è una realtà globale e va posta al di sopra di ogni divisione geopolitica. Idealmente, l’impegno di Europa, Stati Uniti, Cina, India e di molti altri paesi dovrebbe sostenere energicamente il continente africano nel suo percorso di sviluppo resiliente al clima. E le ambizioni degli stati africani possono avanzare di molto in contesti interni che incoraggino davvero gli investimenti esterni e la fiducia.  

Ma, soprattutto, l’Africa ha bisogno di fare tutto questo internamente, qualsiasi cosa faccia il resto del mondo. Non c’è tempo più per rimandare. 

(le opinioni espresse appartengono esclusivamente all’autore)