Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
Presente e futuro di Fabrizio Lobasso 
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FUTURO

Presente e futuro 

di Fabrizio Lobasso 

Energia, clima e trend socioeconomici nell’Africa attuale e in quella del prossimo decennio. Le sue sfide e quelle della comunità internazionale 

16 min

L

a rinnovata attenzione internazionale verso l’Africa non sorprende l’osservatore attento, soprattutto se europeo: da decenni è infatti evidente quanto le sorti del continente africano siano legate alla sana evoluzione dell’intero pianeta in termini di approvvigionamento energetico ed equilibri climatici e, di conseguenza, anche in termini di stabilità sociale, economica e politica. E viceversa. 

Alcuni studiosi sottolineano l’emergere di una sorta di continente verticale che unisce idealmente Europa, Mediterraneo e paesi africani in un asse integrato in cui l’interdipendenza è, su tutti i livelli, un fatto incontrovertibile. Tradotto: tutti, dai responsabili politici alla gente comune, dobbiamo riconoscere che non potremo avere un domani prospero senza una cooperazione consapevole. Fenomeni comuni, conseguenze comuni, sempre uniti nella diversità. 

la fotoTurbine eoliche che producono elettricità pulita nel porto di Victoria, nelle Seychelles.

Che cosa succede in Africa? 

Alla COP26 di Glasgow, lo scorso novembre, trentanove tra stati (di cui sette africani) e agenzie per lo sviluppo hanno assunto l’impegno di fermare i progetti sui combustibili fossili e, sulla scia del Green New Deal europeo, di ricercare una nuova dimensione basata sull’uso di fonti di energia più pulite. 

Questo proposito non pare tuttavia tenere pienamente conto della peculiare situazione dell’Africa e dei limiti di fatto ancora esistenti all’accesso all’energia: sono quasi 600 milioni i cittadini africani che restano off-grid, con notevoli differenze e disuguaglianze tra i diversi paesi del continente. Attualmente, sono solo quattro i paesi africani ad aver raggiunto l’elettrificazione completa (Egitto, Mauritius, Seychelles e Tunisia). In altre parole, l’accesso all’energia in Africa è prioritario al pari della transizione energetica. 

Il contributo del continente alle emissioni globali di carbonio (4 percento) è meno della metà della sua quota sulla popolazione mondiale (17 percento), mentre le emissioni dell’Unione europea sono il doppio di quelle africane. Inoltre, è chiaro che la responsabilità storica europea per i cambiamenti climatici è molto maggiore di quella dell’Africa. 

Nonostante l’Africa sia dotata di un impressionante potenziale di rinnovabili, le risorse variano molto da paese a paese, e alcune di esse (soprattutto l’eolico e il solare) non sono del tutto affidabili. Concentrare eccessivamente l’attenzione su queste risorse potrebbe pertanto non bastare a garantire energia costante e a prezzi accessibili alla gran quantità di persone che ne ha bisogno.  

Di fatto, alcuni paesi dipendono fortemente dal petrolio e dal gas (p.e. Angola e Nigeria), mentre altri hanno un potenziale molto maggiore per l’implementazione di tecnologie verdi sul breve termine, come le Seychelles, che hanno un’alta capacità eolica offshore, e l’Etiopia, ricca di asset idroelettrici e geotermici. 

Citando l’ex presidente della Nigeria, Olusegun Obasanjo: “A nessun altro continente nella storia è stato mai chiesto di affrontare la sfida di svilupparsi senza inquinare; soprattutto, a nessun continente che fosse al contempo la vittima principale delle emissioni e il loro minor produttore”. 

Poiché l’Africa si trova a dover affrontare questa sfida senza precedenti, sembra innegabile la necessità di mettere a punto un mix energetico che concili fonti rinnovabili e combustibili fossili. Il gas naturale, che nel continente abbonda (con riserve stimate pari a 33 volte quelle dell’UE), è significativamente meno inquinante e dannoso per l’ambiente rispetto alle altre soluzioni disponibili e più economiche. In breve, il gas naturale è il combustibile fossile più pulito attualmente disponibile, ed è anche il miglior strumento di transizione verso un accesso all’energia diffuso e conveniente in tutta l’Africa. 

L’Agenda 2063 dell’Unione Africana riconosce il cambiamento climatico come una delle principali sfide per lo sviluppo del continente. Nonostante gli svantaggi strutturali ed economici, i paesi africani hanno compiuto sforzi notevoli per l’agenda climatica globale, come dimostrano l’alto livello di ratifica dell’Accordo di Parigi del 2015 in tutto il continente (90 percento), e il diffuso impegno a realizzare la transizione all’energia verde in un arco di tempo relativamente breve. 

Per ridurre i rischi legati al clima e l’impatto degli eventi estremi in tutto il continente, molti paesi africani concentrano l’attenzione sulla riduzione della povertà, promuovendo la crescita socioeconomica, soprattutto nel settore primario, che occupa più della metà della popolazione del continente. Le politiche per l’energia pulita e le tecniche per l’aggiunta di valore applicate all’agricoltura, per esempio, si sono rivelate strumenti promettenti in grado di ridurre la povertà da due a quattro volte più rapidamente della crescita di qualsiasi altro settore. 

Inoltre, sembra che la microirrigazione a energia solare, insieme con la riduzione delle emissioni di carbonio, aumenti fino a dieci volte la redditività delle aziende agricole, migliorando la resa dei raccolti di tre volte e riducendo in modo importante, fino al 90 percento, il consumo di acqua. 

Una transizione energetica autoctona 

Alla luce di tutto ciò, per sostenere il continente nel suo percorso verso una crescita sostenibile e inclusiva, che non lasci nessuno indietro, pare assolutamente necessario che si rispetti il diritto del popolo africano a perseguire una transizione energetica autoctona, secondo i propri tempi e le proprie specifiche esigenze. A tal fine, la ripresa post-Covid 19 potrebbe benissimo basarsi su un nuovo paradigma di sviluppo che sia verde, sostenibile e resiliente al clima. 

Come si diceva, l’evidente interdipendenza tra fenomeni climatici ed energetici, nel continente africano come in quello europeo, dovrebbe indurci a pensare in termini di soluzioni condivise, per evitare che le conseguenze socioeconomiche derivanti dagli squilibri che si evidenziano nel nostro pianeta possano intrecciarsi in un groviglio pernicioso e diventare problemi tanto complessi da risultare ingestibili. 

Ci attendono anche importanti sfide politiche: pace e sicurezza sostenibili, buongoverno e promozione dei diritti umani, lotta all’immigrazione clandestina, empowerment della mobilità intelligente, sviluppo economico sostenibile, cooperazione economica e maggior coordinamento in campo culturale, sanitario e scientifico. 

La stabilità e la sicurezza dell’Africa sono presupposti essenziali per l’avvio e l’efficacia di qualsiasi strategia di sviluppo coordinato: per conseguirle, dovrà essere priorità assoluta il lavorare alla pacificazione del continente e al rafforzamento dei suoi sistemi democratici. Analogamente, la promozione del multilateralismo e del dialogo intercomunitario e interreligioso saranno fondamentali per lottare contro l’estremismo violento e prevenire ulteriori conflitti inter e intracomunitari. 

Negli ultimi decenni, per il proprio percorso di integrazione continentale, l’Africa ha preso come modello l’Unione europea. In particolare, l’esperienza europea ha finora evidenziato con chiarezza i vantaggi della cooperazione economica e dell’unificazione del mercato, potenti motori del coordinamento produttivo. In questa prospettiva, l’Africa Continental Free Trade Area (AfCFTA) rappresenta un passo importante verso l’ambizioso obiettivo dell’Unione Africana di realizzare un vero e proprio mercato unico entro il 2050. Il percorso è ancora irto di ostacoli difficili, ma l’inizio del processo fa ben sperare per il futuro, nonostante la tempesta della pandemia. 

Nel continente africano la stretta interconnessione tra pace, sicurezza, stabilità, sviluppo e cambiamenti climatici è sempre più evidente e innegabile: condiziona gli spostamenti degli sfollati, stimola migrazioni forzate, aggrava l’insicurezza alimentare, genera lotte inter e intracomunitarie e pone ulteriori difficoltà alla gestione dell’acqua e delle risorse primarie. 

I paesi in via di sviluppo sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici; le comunità che non hanno la capacità istituzionale e finanziaria di far fronte agli shock sono costrette ad adattarsi.  

Tuttavia, la resilienza è un dono che non va dato per scontato. 

la fotoUn’insegnante assiste una studentessa in classe a Città del Capo, Sud Africa.

Secondo le recenti previsioni della Banca Mondiale, entro il 2050 l’Africa subsahariana potrebbe registrare fino a 86 milioni di sfollati interni per ragioni climatiche, l’Asia meridionale 40 milioni e l’Africa settentrionale 19 milioni. 

In altre parole, una delle sfide più dure legate ai cambiamenti climatici è quella dei rifugiati climatici, categoria di creazione recente, non riconosciuta né definita dal diritto internazionale. 

Inoltre, se è vero che la crescita economica dell’Africa è strettamente legata all’espansione demografica, è anche vero che i livelli di disoccupazione nel continente non risultano a oggi diminuiti. Si prevede quasi un raddoppio della popolazione africana tra il 2010 e il 2026, mentre la crescita del PIL pro capite è stimata a malapena un terzo. E soprattutto, il mercato africano del lavoro non è pronto ad assorbire i 30 milioni di persone in cerca di occupazione (principalmente giovani) attesi entro il 2030. Data la debolezza e l’insicurezza delle prospettive di vita, i giovani potrebbero vedersi costretti a preferire i mercati informali, ad abbracciare il sogno di una migrazione precaria o a entrare nei ranghi della criminalità. 

Alla luce di tutto ciò, è abbastanza evidente che la gestione dei flussi migratori africani è uno dei temi trasversali più importanti e richiede l’impegno di entrambi i continenti. 

Se la si affronterà come una mera questione di contenimento, non si farà che alimentare la nascita di nuove rotte di migrazione clandestina. Si stima che nel solo 2019 sia stato di circa 70 milioni di euro il ricavo dei trafficanti di esseri umani sulle rotte del Mediterraneo occidentale e centrale. 

La pretesa di alcuni paesi europei di imporre un controllo maggiore e più severo sui flussi migratori non si trasforma che in un mantra inutile, se si basa su una percezione superficiale e non corretta. Servono, invece, con la massima urgenza strategie più intelligenti, che vedano nella migrazione un’opportunità e si concentrino sugli aspetti legali, positivi ed equilibrati del fenomeno. 

È importante, per esempio, continuare a investire nell’informazione, nello sviluppo delle capacità, nella formazione professionale, nel quadro di una strategia europea che miri ad aiutare i giovani africani nella ricerca di un lavoro dignitoso e di opportunità per sviluppare il loro potenziale nelle loro terre d’origine.  

Il ruolo importante dell’Italia 

Grazie alla sua posizione strategica al centro del Mediterraneo, alla sua tradizionale propensione al dialogo e alla sua radicata presenza nel continente, l’Italia è l’interlocutore naturale e prediletto dei paesi africani. 

L’Africa gioca da tempo un ruolo centrale nelle azioni della politica estera italiana. In questi mesi, inoltre, l’Italia ha rafforzato il proprio impegno secondo le priorità delineate nel documento strategico “Il Partenariato con l’Africa”, adottato dal ministro degli Esteri Di Maio nel dicembre 2020. 

Il 7-8 ottobre 2021 si è tenuta a Roma la terza edizione della Conferenza Ministeriale Italia-Africa, con il titolo “Incontri con l’Africa”: l’evento è stato interamente dedicato ai temi dello sviluppo sostenibile, della tutela dell’ambiente, della finanza verde, delle energie rinnovabili e della transizione energetica. 

la foto
Vista panoramica della diga di Blyderivierspoort e del Blyde River Canyon, in Sudafrica, nella provincia di Mpumalanga.

La Conferenza ha registrato un’ampia partecipazione istituzionale, con 50 stati africani rappresentati (34 a livello politico) e 12 organizzazioni regionali (tra cui Unione Africana, African Development Bank e UNECA). L’evento si è tenuto nel contesto della presidenza italiana del G20 e del co-partenariato con il Regno Unito per la COP26. Gli “Incontri con l’Africa” sono stati concepiti come un ponte virtuale che collegasse l’Africa e la comunità internazionale dopo la Pre-COP di Milano e fino al Vertice del G20 del 31 ottobre e alla COP26 di Glasgow in novembre. 

Rispetto alle precedenti edizioni del 2016 e del 2018, nel 2021 gli “Incontri con l’Africa” hanno adottato un format particolarmente innovativo, con il coinvolgimento di aziende, organizzazioni non governative e rappresentanti del mondo accademico e della società civile. 

Come già detto, le attività sono state suddivise in quattro panel tematici, dedicati all’approfondimento dei temi delle energie rinnovabili, della transizione energetica, della finanza verde e dello sviluppo sostenibile e inclusivo, con anche una tavola rotonda dedicata alla blue economy. 

Abbiamo volutamente scelto di concentrarci su questi temi nella consapevolezza di come l’enorme potenziale dell’Africa, in termini di capitale umano, risorse naturali e fonti di energia pulita, sia un fattore chiave per uno sviluppo sostenibile e un partenariato euro-africano meglio strutturato. 

“Incontri con l’Africa” ha rappresentato un momento proficuo di scambio e dialogo tra istituzioni, imprenditori e rappresentanti della società civile, contribuendo a definire linee d’azione comuni per affrontare le sfide continentali legate all’energia, al clima, all’ambiente e allo sviluppo sostenibile. 

Il rapporto tra Italia e Africa si basa su un partenariato paritario volto a superare la tradizionale dinamica “donatore/beneficiario”, per affrontare insieme le sfide globali, attuali e prossime, quali la sfida dello sviluppo sostenibile ed equo. 

Le iniziative italiane si ispirano a un approccio inclusivo da popolo a popolo, con il fine principale di avvicinare la società civile alle istituzioni, colmando quel divario sociale e politico in cui oggi s’inseriscono pericolosamente quei detrattori regionali e internazionali che traggono nutrimento dal caos. 

  

Puntare sull’ispirazione reciproca 

Il filosofo camerunese Achille Mbembe ha più volte evidenziato la necessità che la comunità internazionale continui a collaborare con il continente africano per aiutarne la popolazione a rompere lo specchio deformante della visione di sé come mera beneficiaria, visione che continua a prevalere nonostante i miglioramenti sociali, economici e culturali registrati negli ultimi decenni. 

È proprio questo il senso del partenariato italiano ed europeo con l’Africa, oggi e domani. L’ispirazione reciproca, riconoscendo che la filosofia Ubuntu, “io sono perché tu sei”, lungi dall’avere mere implicazioni idealistiche, contiene un vivido nucleo di pragmatismo che è vitale per la sopravvivenza dell’intero pianeta.