Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
Tornare indietro non si può, il domani è un'ambizione di Mario Sechi
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transizione energetica

Tornare indietro non si può, il domani è un'ambizione 

di Mario Sechi

Base lunare Antropos, anno 2070. 

- Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati? Eravamo a una festa, la gente ballava. È successo prima di Wuhan? 

- No, dopo, il virus era già arrivato a Venezia. Era ovunque. Ma non lo sapevamo ancora. 

- Ricordo che ci siamo salutati in fretta, ti sei infilato in un motoscafo e mi hai detto, “ci vediamo”. E non ti ho visto per un anno intero. Poi sei ricomparso in piazza San Marco a fine aprile, c’era il sole, festeggiavo la “liberazione” con le mie amiche, la fine del lockdown. 

- E ti ho chiesto di baciarmi. 

- Che anno straordinario fu il 2021... ci sposammo, cinquant'anni fa. E tornasti in America, indossavi la divisa bianca, ti stava benissimo. 

- In quel momento c’era ancora il virus, ma arrivarono i primi vaccini. Mi diedero quello di Pfizer in Virginia, durante il mio corso sulla biosicurezza alla base di Norfolk. Il tuo vaccino lo ricordi? 

- Oh, come potrei mai dimenticarlo: AstraZeneca. 

- Hai parlato con nostra figlia?  

- Sì, Francesca mi ha detto che sta testando il lancio delle vele solari per la missione su Proxima B. 

- Che sagoma, quando era bambina guardava in estasi i filamenti di un’antica lampadina a incandescenza. Era rapita dalla luce. 

- E ora è su una base spaziale su Titano, a surfare tra i laghi di metano. 

- Come corre il tempo. Spegni le lampade, andiamo, indossa una tuta, facciamo un giro là fuori, godiamoci lo spettacolo, sta per sorgere la Terra. 

12 min

P

rima e dopo il virus. Questo il nostro tempo che un giorno sarà un altro tempo, forgiato da una nuova generazione di uomini e donne, i nostri figli. Siamo al volta pagina, al cambio di sceneggiatura della nostra storia. Prima e dopo. Nel durante dedichiamo questo numero di World Energy al tema del nuovo ordine mondiale che si sta materializzando davanti a noi. Siamo di fronte a fatti che stanno curvando lo spazio della nostra esistenza, siamo nel pieno di una grande ondata che accompagna tre rivoluzioni scientifiche del nostro tempo. 

La prima rivoluzione è quella innescata nei primi anni del Novecento dall’impiegato dell’ufficio brevetti di Berna, Albert Einstein, il primo stadio del missile della conoscenza, il razzo della fisica, la teoria della relatività, il tuffo nell’immenso mistero dei buchi neri, un viaggio arrivato fino a noi con la prima foto del mistero della potenza cosmica scattata dal telescopio Event Horizon il 10 aprile del 2019, in un tempo vicino e lontano che non conosceva ancora la pandemia. 

La seconda rivoluzione è quella della tecnologia dell’informazione, la macchina di Alan Turing, la creazione del computer, la ragnatela della comunicazione globale, internet. Tutto diventa soggetto e oggetto di ricerca, disponibile. È la stagione dell’abbondanza cui in Rete finirà per mancare il requisito della conoscenza, la qualità e profondità. Il mare del web è ricco, ma la pesca in superficie è povera. È l’esplosione del calcolo che non sempre va d’accordo con l’intelligenza. 

La terza rivoluzione è quella che combina il sapere della matematica e della genetica, la potenza dell’algoritmo e il sequenziamento dei geni, la ragnatela del software e l’elica del Dna. Siamo in una zona in cui l’uomo può illudersi di essere Dio creatore. Il vaccino anti-Covid prodotto in meno di un anno fa parte di questa rivoluzione, un miracolo.  

Accanto a questo esercito di esploratori del cromosoma, ci sono quelli che volano in alto, tra le stelle, i nuovi cosmonauti. Gli Stati Uniti sono tornati nello spazio con le loro navicelle, la Luna è di nuovo un luogo interessante, una nuova corsa allo spazio è decollata, un drone si è levato in volo pochi giorni fa sul cielo di Marte, vediamo per la prima volta i buchi neri e il loro orizzonte degli eventi, una dimensione dell’universo che apre le porte di altri mondi. 

Queste tre rivoluzioni si sono incontrate in un lampo nel 2020. Non è un caso che la corsa della scienza abbia subito un’accelerazione nell’anno della pandemia, siamo dentro la “crisi” e l’origine greca della parola indica la porta, la via d’uscita (e ingresso), la “scelta”, la “decisione”. Dove c’è la crisi, c’è l’opportunità di fare un balzo, avanti o indietro. Lo stiamo facendo. Siamo di nuovo sulla frontiera.  

I fatti, gli eventi del nostro periodo, sono connessi, fanno parte di una sequenza di tempo, spazio, energia. Rileggere la “Teoria della relatività” e pensare a quello che accade è un esercizio di umiltà rispetto agli eventi. Albert Einstein ci ha insegnato che l’orologio non scorre in maniera uguale per tutti. Il tempo dipende dalle coordinate, dallo stato di moto o quiete. Veloce. Lento. E poi siamo nel campo dell’umano irrazionale, dunque entrano in scena il caso, la machiavellica Fortuna, le grandi forze della storia. 

Il tempo è quello storico, siamo in quell’intervallo del calendario che Henry Kissinger all’inizio dell’epidemia del Coronavirus definì il “nuovo ordine post-Coronavirus”. Ne vediamo il profilo all’orizzonte, sempre più nettamente: un duro confronto tra Cina e Stati Uniti per il primato globale, l’eterno farsi e disfarsi di Oriente e Occidente, il ritorno (in nuova forma e sostanza) di una politica dei blocchi (Washington vs Pechino), il riposizionamento dell’Europa vaso di coccio tra i vasi di ferro, il rientro in scena dell’Alleanza Atlantica, il ruolo di Pechino e Mosca in cerca di un ordine alternativo a quello che si regge sulle fondamenta di accordi - Jalta e Bretton Woods - che funzionavano in un altro mondo e non in questo. L’antico ordine post 1945 non c’è più, una riforma delle relazioni internazionali è cosa buona e giusta, una revisione profonda del sistema di regolazione della moneta è urgente con l’ascesa delle valute virtuali (create con un enorme consumo di energia, chi l’avrebbe mai detto). 

Lo spazio è quello dettato dalla geografia: terra, mare, cielo - e cosmo. Quattro dimensioni, la nostra esistenza, le nostre connessioni. Voliamo alto, ma stando con i piedi per terra. La crisi del canale di Suez - una nave portacontainer che finisce di traverso - ha mostrato quanto sia fragile il sistema di distribuzione dell’energia e delle materie prime, la sicurezza delle reti è una priorità in un mondo che ha scoperto improvvisamente con la pandemia che delocalizzare la manifattura e la chimica può essere pericoloso. Se i biocidi diventano un’arma strategica e la produzione è fuori dai tuoi confini, allora sei più vulnerabile. Se le terre rare per produrre microchip non sono sotto il tuo controllo, allora le fabbriche di automobili rischiano di fermarsi e il tostapane che calcola il tempo di cottura del sandwich al formaggio e prosciutto che avevi ordinato su Amazon non arriva. La vita è fatta di cose semplici e complicate, tutto si muove grazie alla creazione e trasmissione dell’energia. 

La transizione energetica non è un fatto nuovo, ma il Coronavirus ne ha accelerato i tempi. E i miti sono destinati a cadere, a incontrare la realtà. L’idrogeno avrà un futuro quando ci sarà un mercato - e per ora non c’è. Il petrolio continuerà a far viaggiare le merci e le persone, gli aerei avranno nei serbatoi galloni di kerosene, il gas che riscalda le abitazioni nelle economie avanzate - disponibile, trasportabile, sicuro - sarà il miglior agente del cambio di scenario. La neutralità carbonica non si raggiunge dimenticando la realtà. Fantasia e prudenza, le riforme radicali di solito le pagano i più poveri e oggi più che mai abbiamo il dovere di cercare il giusto accordo. 

Ci sono buone ragioni per pensare che nelle metropoli la diffusione di veicoli elettrici diventi un fattore esponenziale, la mobilità “intelligente” è un percorso già tracciato sulle mappe dei nostri schermi satellitari, ma le certezze del “prima” su come sarà organizzata la nostra vita sono state sconvolte dal “dopo”. Vivere in una metropoli con la pandemia si è rivelato un incubo, tanti ricchi hanno lasciato le città per trasferirsi in campagna e la domanda di abitazioni nelle zone suburbane, verdi, è cresciuta. Le metropoli continueranno a calamitare miliardi di persone, ma ci sono delle domande alle quali non si sfugge. 

Chi abiterà nelle città del domani? C’è chi vede le metropoli come il luogo per nuove classi sempre più proletarizzate, “uberizzate”, un’economia in cui legioni di persone a basso reddito lavorano per soddisfare i consumi di una classe benestante, un sistema chiuso: nasci povero, resti povero; nasci ricco, diventi più ricco. Al vertice della piramide del sistema feudale 2.0, un’élite proprietaria di tutto, bunkerizzata, che guadagna anche quando il mondo è in disgrazia. Esattamente quello che è accaduto durante la pandemia ai titani della Silicon Valley. Tutto verrà un giorno dimenticato, ma l’inquietudine della Metropolis di Fritz Lang, quella resta. Dai faraoni ai padroni del vapore, dai baroni delle strade ferrate agli imperatori dello smartphone. 

Leggere la science fiction aiuta a scoprire gli angoli remoti del futuro, l’imprevisto. Nelle pagine di “Severance” (Picador), romanzo di Ling Ma, ne trovate un frammento: “Dopo la Fine arriva l’Inizio. E all’Inizio c’erano otto di noi, poi nove - e quella ero io - un numero che poteva solo diminuire. Ci siamo ritrovati dopo aver abbandonato New York per i sicuri pascoli della campagna. Lo avevamo visto fare nei film, nessuno sapeva dire quale”. Fiction. Dunque anticipazione del domani, da Jules Verne in poi la profezia per gioco s’avvera. Dalla pagina alla celluloide, dalla sala del cinema alla sala di lancio, dal laboratorio dell’isola del dottor Moreau all’esperimento indicibile fuori controllo. La vita è ipotesi, tesi, dimostrazione. La pandemia ci ha dato un saggio di quello che accade quando il ciclo biologico subisce una deviazione e entra nel non-conosciuto, la propagazione del male, la ricerca spasmodica di un’uscita dall’emergenza, l’errore ripetuto, il contagio della paranoia, l’epidemia della cospirazione, l’isolamento nella moltitudine, la segregazione senza spazio vitale, l’arrivo della cavalleria della scienza, la necessità della politica e del bene comune. 

Basta questo pensiero laterale, un leggero sbandamento, l’ingresso nella politica della catastrofe, per mettere in discussione tutte le ipotesi di ingegnerizzazione della società. Il grande cambiamento del virus non riguarda solo la struttura, ma soprattutto la sovrastruttura, non è più un problema di hardware, ma di software, non è un tema di ripresa economica, ma di cambiamento psicologico. Il rimbalzo dell’economia nei prossimi mesi sarà grande, per certi versi spettacolare, e il passato sembrerà improvvisamente cancellato. Poi altrettanto rapidamente emergeranno - sono visibilissimi - i segni di qualcos’altro: l’idea che tutto quello che c’era prima non era così indispensabile, così bello, così sicuro. Tornare indietro non si può, ieri è finito, oggi è un istante, domani un’ambizione. 

In questo numero di We vedremo come il nuovo ordine sia un gioco di scomposizione e ricomposizione degli elementi della geopolitica. La chiave è quella dell’opera in fieri, dunque la deviazione dal piano di volo è certa, la storia non procede in linea retta. Decenni di distruzione della cultura umanistica e dominio della tecnica hanno insegnato ai manager che bisogna cercare “efficienza”, a me pare che prima si debba ritrovare un’altra parola, “armonia”.