Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
Tecnologia, non ideologiadi Mario Sechi
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Clima

Tecnologia, non ideologia

di Mario Sechi

Servono capacità critica e leadership, perché la scienza senza coscienza si allontana dall’umano. E serve, soprattutto, un dibattito sul clima che non sia intossicato dal pregiudizio. La prova del nove alla COP27 a Sharm El-Sheikh

8 min

L’

uomo prima ha separato la scienza dalla filosofia, poi ha estratto la tecnica dalla scienza, fino a isolarla in una dimensione dove “ha sempre ragione” (e non sempre ce l’ha). Il risultato è un dominio della tecnica, il suo indiscutibile primato, oltre la scienza. Dopo l’annus mirabilis di Albert Einstein (il 1905, quando pubblicò quattro lavori fondamentali per lo studio della fisica, la comprensione del mondo tout court), il Novecento ha accelerato la ‘secolarizzazione’, prima con la fine del sacro e poi con la messa ai margini dell’umanesimo. Restava la scienza, ma anch’essa subisce questo processo di erosione (e deviazione) del significato.

 

La riduzione del problema del nostro tempo alla presenza o assenza di una data tecnologia (nella produzione energetica, nella cibernetica, nella difesa dell’ambiente, nell’esplorazione spaziale, nella difesa, nella medicina) è la conferma dello scarso senso storico delle élite. Durante (e anche dopo) la rivoluzione industriale, si coniò la definizione di ‘economia del vapore’, ma il cambio di scena arrivò con il motore a scoppio, una svolta nella nostra vita: l’uomo poteva per la prima volta percorrere grandi distanze su mezzi autonomi, in ciclo urbano e non, in gran velocità e con la produzione seriale di quella che poi diventerà l’automobile. Ecco, in questo caso l’oggetto diventa soggetto storico, la ‘macchina’ innesca un processo che arriva fino ai giorni nostri, lancia il metodo di produzione (il fordismo), fa decollare l’industria petrolifera, ‘pensiona’ il carbone (non per sempre e non troppo, è ancora tra noi e ha un ottimo mercato), apre la porta a un lunghissimo ciclo di innovazione e trasformazione sociale. Nel bene e nel male, dopo l’invenzione della ruota, è il motore a scoppio a rappresentare un ‘salto tecnologico’ che risponde a un bisogno concreto di massa, ‘il movimento’.

 

Domani questo spazio sarà occupato dal motore elettrico (non ci sono ancora i numeri, il parco circolante di autovetture è da paese di Lilliput) ma questa è una storia da scrivere. Per imprimere una nuova direzione (quale?) alla storia servono condizioni rare perché la scoperta o invenzione abbia un ruolo decisivo: la sua disponibilità a basso costo, l’efficienza energetica, la capacità di penetrazione e la resistenza agli shock dei cicli economici. L’auto elettrica è un drago in mezzo alla pianura? Non pare avere le caratteristiche della singolarità, la crescita esponenziale per ora non c’è, una rapida occhiata là fuori mostra settori che promettono un tasso di cambiamento ben più elevato. Pensate al laboratorio della biotecnologia e alle applicazioni dell’intelligenza artificiale, si va dalla prospettiva di una vita ‘estesa’ (mi viene in mente ‘K’, il romanzo di Don DeLillo che dipinge un futuro di criogenesi, inseguimento dell’immortalità e conferma della precarietà della vita), all’utopia del robot che solleva l’uomo dalla fatica e libera il mondo dall’oppressione della produzione capitalista.

Siamo all’idea della salvezza che arriva grazie al ‘Deus ex machina’

Vabbè, torniamo pure alla liberazione dal lavoro, alla Scuola di Francoforte, all’Uomo a una dimensione di Herbert Marcuse, ma sul taccuino del cronista resta sempre la domanda: per fare cosa? Non c’è risposta, c’è l’idea che qualcosa accadrà e sarà sempre migliore, Work in Progress. Siamo all’idea della salvezza che arriva grazie al ‘Deus ex machina’. Quando non sai più come far svoltare la trama di una storia, compare in scena l’Onnipotente, Dio è un eccellente escamotage, come ricorda Moisés Naím su WE: “Politici, tecnocrati e scienziati promettono di condurci in un’oasi tecnocratica in cui scienza e tecnologia offrono soluzioni senza che nessuno compia sforzi o sacrifici. Questa fede quasi religiosa nelle nuove soluzioni tecnologiche ha per me un nome: ‘populismo tecnologico’. È il richiamo della sirena che intona la soluzione al cambiamento climatico, senza dolore, senza sacrifici”. Sintesi perfetta, strike.

 

Questa idea che tutto si risolve con la macchina, con il totem tecnologico non mi ha mai convinto. Tornare indietro è questione di un attimo, ammesso che quello che stiamo facendo sia davvero andare avanti. Consiglio di (ri)vedere Wall-E, il film di Pixar (una pietra miliare dell’animazione che debuttò nei cinema nel 2008) dove un robot-compattatore rimasto sul pianeta Terra, ridotto a una discarica, devastato dall’inquinamento, conosce Eve, un altro robot che deve verificare la sostenibilità della vita sul nostro pianeta (un filo d’erba, siamo sempre debitori di Walt Whitman). Il piccolo Wall-E riscatta un’umanità obesa, sdraiata e gassata, stancamente orbitante nello spazio, grazie al suo arrivo con Eve sulla nave spaziale Axiom.

 

la fotoUn fotogramma di Wall-E, film d’animazione della Pixar del 2008.

 

Non è un cartone animato, non è la fantasia dell’arte, in fondo siamo noi, con la differenza che orbitiamo tra le nostre abitazioni (un monumento di inefficienza energetica) e i fine settimana ‘ecologici’ con il brunch (pensoso e responsabile, naturalmente) dove l’attovagliato ha la posa da intellettuale bucolico, ma in realtà è un produttore di anidride carbonica che si è spostato dalla metropoli alla campagna. L’ideale perl’Homo Metropolitanus è trascorrere le feste in città, è il momento in cui si respira.

 

Capacità critica e leadership non sono un problema solo della classe politica, sono un tema che riguarda l’uomo e anche la comunità scientifica, che si vuole indiscutibile (e lo è, nell’evidenza sperimentale) e pretende l’esenzione dall’analisi delle proprie responsabilità. La scienza senza coscienza si allontana dall’umano. Così la politica che la segue, spogliandosi a sua volta delle proprie responsabilità.

 

Siamo nel campo da gioco più alto. Quando Alan Turing fece emergere le fondamenta dell’Atlantide dell’intelligenza artificiale, lo fece su ‘Mind’, la rivista di filosofia dell’università di Oxford. Einstein ebbe l’idea della teoria della relatività mentre ragionava sul tempo e lo spazio (e la gravità, la forza che muove il cosmo) nella vita quotidiana.

 

Il vertice sul clima COP27 in Egitto, a Sharm El-Sheikh, è il luogo ideale per misurare quanto scrivo. Prima di combattere il disordine climatico, va fatto ordine nella mente della politica. Abbiamo bisogno di tecnologia e non di ideologia, un mix di fonti e un nuovo modo di consumare (senza vaticinare la decrescita infelice). Un dibattito sul clima intossicato dal pregiudizio pretende di far sparire con uno schiocco di dita un mondo dominato dagli idrocarburi (e dalle potenze che li producono), vorrebbe sostituirlo con le sole energie rinnovabili senza fare una riflessione su ‘dettagli’ come approvvigionamento e sicurezza, efficienza e costi, addirittura si fissano date utopistiche per una riconversione industriale (nota bene: del solo Occidente) che, in realtà, richiede qualche decennio per andare in porto (e non sappiamo ancora quale sarà quello più sicuro).

 

Come sarà la nostra avventura nel futuro? In una Terra surriscaldata, è un mondo che conosciamo bene, è quello di Mad Max, dove è caccia aperta a due elementi: l’acqua e la benzina.  L’arte anticipa, la realtà a volte la supera.