I carbon sink in Europadi Lorenzo Colantoni

Energia

I carbon sink in Europa

di Lorenzo Colantoni

Il futuro delle emissioni, derivanti dall’uso e dal cambiamento di destinazione del suolo, rappresenta un tema centrale per le politiche ambientali europee. Il nuovo Regolamento forestale potrebbe fare la differenza

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ell’ambito della visione climatica europea tanto di medio-lungo che di breve periodo, i carbon sink stanno assumendo un ruolo sempre più centrale.  Se da un lato la rinnovata attenzione delle istituzioni europee al settore rinforzerà l’efficacia dell’azione climatica europea in maniera determinante, l’implementazione delle nuove norme e l’espansione degli obiettivi europei provocheranno non poche tensioni con Stati Membri particolarmente gelosi della gestione del proprio patrimonio forestale o agricolo – i paesi Baltici prima di tutti. I “carbon sink” sono in generale ogni processo o meccanismo che possa sequestrare gas serra dall’atmosfera; di fronte però alla mancanza di tecnologie diffuse per la rimozione della CO2 ci si riferisce al momento principalmente agli ecosistemi capaci di assorbirla e stoccarla – soprattutto foreste, ma anche torbiere e aree umide, ad esempio. I carbon sink riguardano così il settore LULUCF, ossia tutte le emissioni derivanti dall’uso e dal cambiamento di destinazione del suolo, e dalla silvicoltura.

 

I carbon sink sono stati sempre presenti nel dibattito climatico europeo, ma è stata la visione olistica proposta dal Green Deal europeo ad accelerare il raggiungimento di una proposta legislativa aggiornata agli obiettivi climatici attuali; nel novembre 2022 Consiglio e Parlamento europeo hanno infine concordato un nuovo Regolamento LULUCF, che prevede l’obiettivo di aumentare la capacità di assorbimento dei carbon sink europei a 310 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2030. Il target è ambizioso non solo per il livello proposto (circa il 37% in più di quanto previsto per la fine del decennio), ma anche e soprattutto perché l’UE dovrà invertire il trend di marcata diminuzione dei carbon sink degli ultimi anni. Se infatti da un lato la copertura forestale europea continua ad aumentare, negli ultimi vent’anni le capacità di assorbimento di CO2 da parte dei boschi è diminuita costantemente. Questo è principalmente dovuto all’aumento esponenziale della deforestazione per la produzione di energia (che reimmette nell’atmosfera l’anidride carbonica stoccata negli alberi e nelle biomasse che vengono bruciate). Le foreste dell’Estonia sono diventate nell’ultimo decennio una fonte di emissioni di CO2, piuttosto che di assorbimento, così come quelle dell’Irlanda, mentre i carbon sink di Finlandia e Svezia sono crollati drammaticamente dai primi Duemila. Metà di tutto il legname raccolto in Europa è adesso impiegato per la produzione di energia, che rappresenta anche il 18% del totale di energia rinnovabile. Rispetto al 2005, le foreste europee adesso assorbono circa il 15% meno carbonio.

 

La strategia che non ha incluso le foreste

 

Le ragioni dietro a questo marcato declino sono numerose. Da un lato la politica climatica europea ha sì avuto una netta accelerazione negli ultimi anni, ma con focus netto su rinnovabili, combustibili fossili e mobilità alternativa (con l’ingresso negli ultimi anni anche di temi complementari come batterie e idrogeno). Il settore LULUCF ha avuto invece un ruolo minoritario nel dibattito, anche a causa dell’opposizione netta di molti Stati Membri – i Baltici, ma anche Germania e Austria, ad esempio – rispetto all’intromissione dell’UE nella gestione di foreste e carbon sink nazionali. Una contrarietà che ha portato a un acceso dibattito sulla nuova Strategia Forestale, pubblicata a metà 2021, e che sta fortemente rallentando la definizione del nuovo Regolamento forestale (che dovrebbe soppiantare l’ormai obsoleto EUTR del 2010). Tutti strumenti fondamentali per la gestione del settore LULUCF, ma che sono spesso entrati in contrasto con gli interessi nazionali di paesi con una copertura forestale del 60-70% di tutto il territorio (come Svezia e Finlandia), per cui il legname è una delle risorse principali. La stessa legislazione europea offre forti incentivi all’utilizzo delle biomasse forestali per la produzione di energia, essendo queste tuttora considerate energia rinnovabile: il Parlamento europeo ha deciso di mantenere questa definizione recentemente in occasione di un voto del settembre 2022, nonostante una forte opposizione da parte di ricercatori e ambientalisti, e sta proponendo di concedere anche agli impianti a biomasse la procedura di approvazione più rapida prevista per le rinnovabili dal piano REPowerEU. Pellet e altre biomasse forestali emettono però più del carbone; emissioni che non vengono contate, ma che rischiano di vanificare gli sforzi europei in altri settori.

 

Il nuovo Regolamento potrebbe essere un valido punto di partenza per affrontare la questione, almeno per due motivi. Da un lato potrebbe puntare finalmente i riflettori su una questione largamente messa da parte dal dibattito climatico europeo degli ultimi anni, iniziando a infrangere l’esclusività della competenza nazionale su questioni come la gestione forestale, che diventano sempre di più di rilevanza europea. Allo stesso tempo, allargando il discorso dei carbon sink non solo al tema della silvicoltura e dei boschi, ma anche a una serie di altri ecosistemi, il Regolamento potrebbe offrire un mix di soluzioni al problema che aumenterebbe l’accettabilità politica delle nuove politiche. La rinaturalizzazione di aree agricole o l’espansione di torbiere e aree umide (più efficaci delle foreste stesse per capacità di assorbimento) potrebbe rendere necessario non uno stravolgimento della gestione forestale in paesi come la Germania o la Finlandia, ma solo un parziale aggiustamento (almeno fino al 2030). Questo approccio su più ecosistemi avrebbe poi ricadute positive non solo sul clima, ma anche sulla protezione della biodiversità e degli habitat – altri due temi chiave nella visione ambientale multisettoriale del Green Deal. La chiave per il successo starà nella capacità della Commissione di dare seguito, dopo l’entrata in vigore del Regolamento, al lavoro su un tema politicamente difficile e dalla limitata visibilità (a differenza della promozione delle rinnovabili, ad esempio), ma centrale per il successo delle politiche climatiche e ambientali europee.