
Clima
Senza energie, senza tè o caffè?
Le condizioni climatiche avverse possono condizionare le coltivazioni al punto di farci temere la scomparsa di bevande che sono diventate nei secoli anche sinonimo di cultura e riferimenti nazionali? Una serie di studi ci invitano all’ azione senza isteria e provando a migliorare anche la qualità dell’energia con cui sono prodotte e commercializzate
8 minAnni fa c’erano divertite disquisizioni sui Paesi del tè e quelli del caffè. Sulla scia di Imperi coloniali ma anche scherzando (non troppo) sulle abitudini alimentari di Paesi o interi Continenti. Fatto sta che queste due tipiche bevande di uso quotidiano e di globale benvenuto, a volte di rituale benvenuto, sembrano essere anch’ esse -e non sono le sole- nell’ occhio del ciclone del peggioramento delle condizioni climatiche. Non sono solo ambientalisti o commercianti globali di Fair Trade a dircelo ma studi condotti da Università specializzate nei temi della agricoltura, delle coltivazioni estensive e della catena del cibo. Frontiers in Plant Science già a fine 2021 aveva pubblicato una ricerca su più fronti, portata avanti da varie università statunitensi e coordinata dalla Tuft University in particolare la Friedman School of Nutrition Science and Policy, di Boston. Stiamo parlando di un giornale scientifico fondato sulla "peer review" e di una università che ha una scuola di altissimo livello specializzata in scienze agronomiche e della nutrizione, non di bloggers in cerca di notorietà. E difatti lo studio pone questioni, annuncia i rischi, ma fa anche ipotesi di lavoro specifiche di mitigazione dei danni ed anzi di miglioramento delle coltivazioni. In particolare, in questo caso, del caffè, di fatto il secondo liquido più utilizzato dall’ umanità dopo l’acqua (ma i partigiani del tè ,come vedremo contestano il primato).
Lo studio
Per dare una risposta esauriente ed inclusiva di ogni aspetto lo studio ha incluso 42 articoli sui fattori ambientali, 20 articoli sulle condizioni di gestione e 11 articoli su entrambi. Mettendoli assieme, i risultati evidenziano che la qualità del caffè, in particolare il nostro amato Arabica, può soffrire di una diversa esposizione alla luce, dei problemi di altitudine, dei problemi di approvvigionamento idrico, aumento di temperatura, anidride carbonica, naturalmente, e anche della composizione dei nutrienti.
N
on è tutta colpa delle condizioni climatiche, ma certamente alcune di queste stanno incidendo sui raccolti e sui luoghi che tradizionalmente sono dedicati a questa coltivazione: l’aumento delle temperature diminuisce la produzione. E dal punto di vista sensoriale gli esperti credono che altitudini maggiori e più irrigate possano generare anche nuovi ibridi che possono dare maggiori soddisfazioni, anche come resistenza. Ma salendo di altitudine c’è un problema di forte irrigazione. E non tutti riescono ad ovviare a questa maggiore necessità proprio quando aumentano i periodi di siccità, in zone di tradizionale produzione come l’ Africa o i Paesi centro e sud Americani. Come sempre - e fermo restando che combattere la siccità ed i danni del cambiamento climatico rimane prioritario - l’ umanità trova soluzioni dalle difficoltà e in questo caso punta sulle ibridazioni e sulla difesa delle varianti dei ceppi originali. Come propongono molti ricercatori del caffè, che non dobbiamo immaginare come eleganti signori in vestito di lino bianco coloniale, ma come professori di biologia ed esperti di mercati e Borse agroalimentari, che fanno base a Londra, dove certo c’è il Giardino Botanico dei Kew Gardens ma anche la Borsa di scambio più potente del mondo. E il caffè vale molto: stiamo parlando di un mercato mondiale che nel 2022 è stato valutato intorno ai 120 miliardi di dollari per quasi 4 miliardi di tazzine al giorno in un mercato globale dove il Brasile con la massima produzione di Arabica, combatte per la leadership con il Vietnam che ha meno produzione globale ma la leadership per la varietà Robusta (dati completi ed anche italiani su Area Studi Mediobanca). Per questo il prossimo passo, come segnala questo ed altri studi seri su questo mercato, devono essere incentrati sulla fattibilità di diverse strategie di adattamento climatico, per mitigarne gli effetti sulla qualità del caffè. E saranno necessarie innovazioni basate su prove veritiere e certificate sulla qualità del caffè, garantendo una maggiore sostenibilità e resilienza del settore, dalla fattoria alla tazzina. Senza dimenticare i passaggi commerciali ed i bilanciamenti economici ma anche sociali, necessari ai Paesi produttori, che spesso sono nell’occhio del ciclone degli effetti dei cambiamenti climatici.
Entrambe le bevande colpite
Lo stesso discorso vale anche per il tè. Su cui da tempo per la verità esiste una attenzione paradossalmente maggiore del settore del caffè, perché la sua coltivazione richiede una cura specifica che già trenta anni fa aveva aperto un orizzonte nuovo alla produzione, per via delle polemiche sul mondo del lavoro sfruttato attorno alle coltivazioni. Questo, prima ancora di trovarsi implicato nei problemi ambientali che lo hanno poi colpito, come la bevanda “cugina”. Con la produzione del caffè c’è sempre una certa rivalità…ma qui esiste addirittura un organismo internazionale in materia sotto l’ egida della Fao : fondato nel 1969 dal Committee of Commodity Problems (PCC) con il nome di Consultative Committee on Tea, nel 1971 l'Organismo è stato cambiato in Intergovernmental Group on Tea (IGG/Tea). Da allora il Gruppo Intergovernativo sul Tè della FAO rappresenta il massimo organismo mondiale sul tè, per una produzione globale che ammonta a oltre 18 miliardi di dollari all’anno, coinvolgendo nella produzione circa 13 milioni di persone. Si stima che nei quattro principali Paesi produttori (Cina, India, Kenya e Sri Lanka), circa 9 milioni di coltivatori di tè siano piccoli proprietari, di cui oltre il 60% donne. Anche qui un Rapporto ultimo, firmato Fao informa dei rischi e degli obiettivi da salvaguardare per il clima, perché "la produzione di tè è molto sensibile ai cambiamenti delle condizioni di crescita delle coltivazioni. Il tè può essere prodotto solo in presenza di condizioni agro-ambientali molto particolari, e quindi in un numero assai ristretto di Paesi, molti dei quali saranno fortemente colpiti dal cambiamento climatico. I cambiamenti di temperatura e degli andamenti delle piogge, con alluvioni e siccità sempre più frequenti, stanno già avendo effetti sui raccolti, sulla qualità e sui prezzi del tè, diminuendo i redditi e mettendo a rischio i mezzi di sussistenza agricoli. Si prevede che tali cambiamenti andranno ad intensificarsi, rendendo necessarie urgenti misure di adattamento. Allo stesso tempo, c'è una crescente consapevolezza della necessità di contribuire alla riduzione del cambiamento climatico, diminuendo le emissioni di carbonio derivanti dalla produzione e dalla lavorazione del tè."
Insomma, anche qui il rapporto non è incline alla rassegnazione e sprona i Paesi produttori di tè ad integrare le sfide del cambiamento climatico, sia sul fronte dell'adattamento che della riduzione. Stiamo parlando di caffè e tè, bevande certo. Ma come si capisce, anche e molto, di commercio, trasporto, vendita, energia di trasformazione e di trasporto. Il problema non è solo cosa troveremo sulla nostra tavola, ma come e da dove arriverà, con quale energia sarà prodotto, con quali mezzi ci arriverà. Un mondo di energia nuova passa anche per la difesa di questi piaceri antichi e quotidiani.