Ultimo numero: 60/The race for critical minerals

La mia Africa

di Rita Lofano 
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Le nuove frontiere geopolitiche

La mia Africa

di Rita Lofano 

L’asse geopolitico globale si sta spostando, l’Europa da tempo non è più al centro del mondo. L’Africa è il luogo del futuro: che si tratti di clima, transizione, sviluppo o sicurezza. Lavorare “con” l’Africa, le molte Afriche, è l’unica strada

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“L'Africa”, dicono nei dibattiti, come se fosse un’entità omogenea, indivisibile, con una sola cultura. “L’Africa”, si legge sui giornali, più o meno come servire un prodotto omogeneizzato. “L’Africa” di chi? Forse quella di un Occidente che dopo secoli ancora sembra non aver fatto passi avanti rispetto a una visione del “noi e loro”, senza comprendere che “loro” sono tanti, una moltitudine di diversi, un quinto della popolazione mondiale, giovane, in crescita esponenziale.  L’Europa al centro del mondo è finita nelle mappe della geopolitica, resta ancora un baluardo di conoscenza, di storia, di istruzione possibile e sviluppo. Ecco, qui c’è quello che possiamo fare insieme per le molte Afriche che (non) conosciamo: fornire una cassetta degli attrezzi, un set di domande e risposte, competenze per costruire futuro, quello che spesso non riusciamo più a immaginare per noi stessi. Non è (solo) una questione filosofica (il 50 percento delle scuole secondarie dell’Africa subsahariana non ha l’elettricità mentre il Brookings Institution indica come meno del 25 percento degli studenti intraprenda carriere legate alle materie STEM con una conseguente forte dipendenza da personale straniero nel settore dell’energia). Il mondo concreto di We – World Energy è un caleidoscopio di filosofie, a cominciare dalla scuola del realismo e del pragmatismo, con un tocco di sognatrice utopia, è un programma possibile.

 

 

 

 

Durante la Conferenza degli Ambasciatori alla Farnesina, questa visione dell’Africa plurale è stata oggetto e soggetto della riflessione, ne sono venute fuori le molte Afriche. L’energia del “Continente nero” è una questione prima di tutto culturale, riguarda noi europei, la nostra forma mentis, non è solo un problema di transizione energetica, di petrolio e gas che pure, con la giusta visione (non ideologica e non a spese di un’energia accessibile e affidabile per tutti), possono rappresentare un trampolino verso uno sviluppo sostenibile.

 

“Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo”, scriveva Plinio Il Vecchio. Un monito difficile da ignorare. La (ri)scoperta dell’Africa è nata da una necessità storica: il disaccoppiamento dalle forniture energetiche della Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Il punto di non ritorno, la fine di una stagione politica. In quel momento l’Italia si è ritrovata con un ruolo di potenziale pivot del Mediterraneo: chi meglio di noi può lanciare una politica per il Mediterraneo come hub energetico dell’Europa? Nessuno. Il ruolo di Eni in questo scenario è quello di una forza storica proiettata nel futuro, la presenza del Cane a sei zampe è un dato di fatto, non è un desiderio è una realtà. L’Africa è il luogo del futuro: che si tratti di cambiamenti climatici, transizione, economia inclusiva e sicurezza. La sfida è ora. La posta in gioco è alta. Lavorare “con” l’Africa, le molte Afriche, è l’unica strada.