Energia pulita
Le terre rare spiegano (anche) la volubilità della geopolitica
I 17 minerali che muovono nuovi equilibri che coinvolgono Cina, Usa, Giappone, Europa. E il Messico
8 minLa storia ci ha insegnato a distinguere tra età del rame, del ferro e del bronzo. E certamente tutti sappiamo che cosa ha significato la disponibilità di materie prime sul versante del colonialismo e della sua fine. Da questo punto di vista la vicenda sempre più agli onori della cronaca delle 17 terre rare, fondamentali per l’avvio di una fase energetica nuova a base di pannelli solari, pale eoliche o del vento e batterie elettriche delle automobili del futuro, è emblematica. Anche perché in realtà svolgono compiti già presenti oggi sullo scenario militare dei droni, dei sistemi di comando e di difesa aerea o dei satelliti fondamentali per la telecomunicazione. Nulla di nuovo sotto il sole, considerato anche che questi minerali non sono gli unici da ricercare produrre e stoccare, tanto è vero che la UE ha fatto un atto apposito che riguarda loro ed altri minerali considerati “critici” per le riserve europee (e occidentali, insieme agli Usa).
Le tre versioni della geopolitica
E così anche la geopolitica ha dovuto prendere atto che ci sono almeno tre versioni della geopolitica delle “terre rare”: una che riguarda la sua produzione, mutata dal 2010 ad oggi; una della produzione ed “output”, anch’ essa mutata; ed una nascente del riciclo delle terre rare su cui si affastellano molti progetti, anche in Italia. Perché avviene questo? Il motivo principale lo abbiamo detto, è quello che esse sono fondamentali per le nuove tecnologie ed anche per le nuove forme di energia (senza contare le già note), ma soprattutto che hanno una importanza strategica nelle visioni di alleanze e relazioni internazionali del futuro.
Non così rare
E mutano negli anni. Con una premessa: a dispetto del loro nome i 17 metalli considerati sotto il nome di “terre rare” non sono poi così rari nel mondo, ma vengono ritrovate miste ad altri materiali e in piccola quantità. Così, per esempio, se nel primo decennio degli anni duemila la Cina aveva un monopolio quasi solitario con oltre il 90 per cento di estrazione e produzione, proprio l’ esercizio di quel monopolio, con l’ embargo sul Giappone tra il 2010 ed il 2011 per una querelle politico diplomatica sulle isole Senkaku ( ufficialmente giapponesi ma rivendicate dalla Cina), ha prodotto due cambiamenti non di poco conto: da un lato il Giappone ha intensificato la ricerca e lo scandaglio in altri luoghi riducendo l’ apporto dalla Cina di Terre Rare dal 91 al 58 per cento in dieci anni, e dall’altro, a seguito anche degli sforzi di ricerca e produzione degli Usa, Australia ed altri Paesi, ritrovatisi produttori per necessità, ha costretto la Cina stessa ad una “virata” economica che punta più sulla produzione e raffinazione ed export (naturalmente a chi vuole lei), diminuendo la forza del monopolio di estrazione ma rafforzando quello della produzione. Che entrambi rimangono comunque saldamente in suo controllo dovendo fare i conti, però, sui prodotti derivati.
Oltre la querelle
Da qui, per esempio, lo scontro e l’accordo sempre dietro l’angolo con gli Usa per i “chips” ed i necessari semiconduttori, il cui equilibrio, tra investimento e ricavo, mette a dura prova gli imprenditori privati sia statunitensi che cinesi (ovviamente qui “privato” ha un valore diverso…) ogni qualvolta le due grandi potenze si scontrano, e poi ritrovano l’equilibrio perso. Considerando anche che all’ interno del mondo produttivo, sia negli Usa che in Cina, le aziende che si trovano nel settore digitale si scontrano internamente con quelle produttrici di materiali grezzi o industriali tradizionali e dunque le spinte all’ accordo o allo scontro vedono ingerire anche gli enormi interessi di “corporations” e associazioni di imprese, non solo la politica estera. Dunque, c’è una geopolitica della produzione. Che ovviamente accanto alla ricerca ed estrazione di “terre rare” vede comunque anche e sempre la estrazione di quelli che la UE ha definito materiali e metalli “critici”, che sono più tradizionali ma non per questo meno utili all’industria: non è che lo stagno, il rame o l’alluminio siano divenuti meno costosi o meno importanti. E condizionano le economie di interi Paesi: si pensi ad uno di quelli che in questo 2024 va al voto, ovvero il Messico.
Il Messico
Si discute in quel Paese di miglioramento degli aspetti climatici e delle fonti di energia ma è lo stesso Paese che negli ultimi anni ha potuto beneficiare dei rialzi economici di argento (di cui è il primo produttore mondiale) della Fluorite (15 per cento nel mondo) di Bismuto (terzo produttore mondiale) Wollastonite (terzo produttore mondiale) e Cadmio (quinto produttore mondiale) ed infine sesto tra i produttori mondiali dello Zinco. Mettere assieme estrazione, produzione ed export di queste materie, ed alcune modalità di estrazione e raffinazione con i principi ambientali, è la scommessa -anche politica- del Paese per il futuro. Non è che un esempio per dire che la geopolitica della estrazione dovrà tenere conto di nuovi protagonismi in America Latina ed in Africa, mentre ad oggi tutto si concentra in Asia. Oltre ovviamente ad Usa e Russia, quest’ultima con gravi problemi di capacità di ricerca e raffinazione, che testimonia la sua vicinanza economica concreta con la Cina.In realtà questi materiali critici e le terre rare sono presenti anche in Europa, ed anche in Italia. Ed anzi qui si aggiunge una sfida ulteriore che potrebbe creare una nuova e diversa mappa geopolitica a seguito dell’importanza assunta dalle terre rare.
Torniamo in Occidente
I paesi cosiddetti occidentali, l’Europa e gli Usa, ma l’Europa ancor di più, sono i più grandi consumatori di prodotti industriali e tecnologici che contengono terre rare, e dunque si sono detti, nelle università e nei centri di ricerca: perché non progettare il riuso di questi materiali, il che oltretutto crea anche un processo industriale concreto di utilizzo dei concetti di base dell’economia circolare? Così l’Unione Europea sta finanziando progetti per costruire magneti senza terre rare o addirittura motori elettrici senza magneti, ma nello stesso tempo finanzia progetti di estrazione delle terre rare da materiali di scarto industriali o da prodotti tecnologici fuori uso che nei Paesi consumistici per eccellenza abbondano, come sappiamo. Le ricerche sono molte e diffuse, le aziende che operano nel settore si contano ancora sulla punta delle dita per ogni Paese europeo e sono poche decine in Usa, ma la strada è tracciata e questo aggiungerebbe una nuova mappa geopolitica alle due esistenti, e variabili, della estrazione e produzione. Il tempo ci dirà come e quanto variano e quali alleanze politiche ed economiche creerà in futuro.