La politica estera di Modi 3.0di Nicola Missaglia
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La politica estera di Modi 3.0

di Nicola Missaglia

Tra sfide interne e opportunità economiche globali, il premier indebolito punta a consolidare l’India come alternativa alla Cina nelle catene di valore, bilanciando pragmatismo economico e ambizioni geopolitiche

14 min

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er l’India il 2024 è stato un importante anno elettorale. A giugno, il primo ministro conservatore Narendra Modi è stato rieletto per un terzo mandato. Il risultato del voto, però, ha smentito l’aspettativa che Modi e il suo Bharatiya Janata Party (BJP) fossero proiettati verso una vittoria schiacciante, tale da permettere loro di governare per altri cinque anni con una maggioranza assoluta in Parlamento, come nelle precedenti tornate elettorali del 2014 e del 2019. Con 240 seggi sui 272 necessari a governare da solo, Modi deve fare ora affidamento sul sostegno di una coalizione di governo, la National Democratic Alliance (NDA), e in particolare su due partiti minori i cui leader hanno più volte cambiato posizioni e schieramenti nel corso degli anni. 

 

Per il primo ministro si tratta di una situazione inedita: prima d’ora non aveva mai dovuto affrontare le difficoltà e i compromessi necessari in un governo di coalizione. Inoltre, la sorpresa di una perdita di consensi ha esposto lui e il suo partito a un senso di vulnerabilità politica e di incertezza che negli ultimi due mandati era sembrato impensabile. Un Modi indebolito, a capo di un governo di coalizione, sarà in grado di implementare con prontezza le riforme necessarie a consolidare lo sviluppo economico del Paese più popoloso al mondo? E riuscirà a mantenere lo slancio geopolitico con cui New Delhi si è proposta sulla scena globale negli ultimi anni, o a stringere accordi internazionali rilevanti con altri Paesi, inclusi quelli occidentali?  

 

 

la fotoIl Tempio d 'oro di Amritsar, India. La necessità di governare in coalizione potrebbe avere l'effetto di riportare in primo piano il riformismo economico del BJP, smorzando l'insistenza del partito sull'agenda del nazionalismo induista, insieme alle retoriche e alle politiche che negli ultimi dieci anni hanno acuito le tensioni religiose

 

 

 

L’India sarà la nuova “fabbrica del mondo”? 

Il risultato delle elezioni del 2024 non cambierà il fatto che prossimi anni l’India continuerà a trarre notevoli benefici dalla tendenza ormai globale a cercare di ridurre i rischi legati all’eccessiva dipendenza dalla Cina, in una dinamica di de-risking destinata a durare e che ha spinto governi e multinazionali a trasferire parti delle loro linee di produzione in Paesi alternativi alla Cina. Considerata l’abbondante manodopera di cui l’India dispone, la sua crescita economica particolarmente dinamica (oltre l’8 percento nel 2023 e il 7 percento quest’anno) e l’aumento della domanda interna a cui contribuisce tra l’altro anche la rapida urbanizzazione, l’India è destinata a essere uno dei principali vincitori di queste evoluzioni dello scenario geoeconomico internazionale. Pur dovendo fare i conti con un governo di coalizione in cui i processi decisionali potrebbero essere più laboriosi, Modi dovrà continuare a impegnarsi a intercettare e far fruttare il vantaggio competitivo dell’India, in un quadro geopolitico che per New Delhi si presenta come tutto sommato positivo.  

 L’India è destinata a essere uno dei principali vincitori delle evoluzioni dello scenario geoeconomico internazionale

Il posizionamento favorevole dell’India nella riconfigurazione delle catene globali del valore dovrebbe indurre Modi 3.0 e i suoi alleati di governo a profondere maggiori sforzi non solo nello sviluppo infrastrutturale di cui il Paese ha un bisogno impellente, ma anche nella ricerca di nuovi accordi commerciali volti a promuovere e finanziare l’ambizione indiana di diventare una nuova potenza manifatturiera alternativa alla Cina. Questa prospettiva avrebbe notevoli ricadute anche sul piano interno, perché permetterebbe a New Delhi di sviluppare quei settori ad alta intensità di impiego – a partire dal manifatturiero – necessari ad assorbire e valorizzare un dividendo demografico unico al mondo (in India l’età mediana è di 28,4 anni, laddove in Cina supera i 38 anni).  

 

 

la fotoL’Hawa Mahal, conosciuto come il Palazzo dei venti, Jaipur. Un accordo commerciale e di investimento tra Europa e India aprirebbe delle prospettive decisamente positive per entrambe, dal momento che offrirebbe alle aziende europee l’accesso a un mercato molto grande e in crescita, e all’India la prospettiva di espandere il suo settore manifatturiero grazie agli investimenti europei

 

 

Se nei primi due mandati Modi ha già lavorato alacremente per sviluppare le infrastrutture del Paese, diffondere la digitalizzazione e snellire la burocrazia, è stato invece più timido nell’agevolare seriamente gli investimenti dall’estero. Al prossimo governo spetterà innanzitutto il compito di ridurre i dazi in entrata, soprattutto se l’India vuole attrarre investimenti e incrementare il suo contributo relativo alle catene del valore della manifattura globale. Nell’ultimo decennio la competitività dell’India è aumentata, e questo dovrebbe motivare il governo a superare il tradizionale approccio protezionistico in favore di una maggiore apertura al libero commercio e alla concorrenza, sicuramente più adeguati alla vivacità economica, scientifica e sociale dell’India del Ventunesimo secolo. Per il Paese si tratterebbe di un cambio di paradigma complesso e non affatto scontato, ma alla luce dei benefici che un maggiore afflusso di investimenti potrebbe portare anche sul piano locale, non è detto che un governo di coalizione – in cui la voce degli Stati indiani conta più di prima – debba necessariamente rappresentare un ostacolo a intraprendere questa strada. 

 

 

Per l’Occidente New Delhi sarà un partner affidabile? 

Anche nel terzo mandato di Modi, il driver principale della visione strategica regionale e delle partnership dell’India in materia di sicurezza rimarrà lo stesso: una Cina percepita come sempre più assertiva e minacciosa. E poiché, seppur con le dovute differenze, questa percezione è condivisa anche da altri Paesi, a partire da quelli occidentali – Stati Uniti in testa – lo sviluppo di partnership strategiche nell’Indo-Pacifico (incluse quelle con l’Italia), la condivisione di sistemi d’arma avanzati, lo sviluppo di accordi e commercio nell’ambito dell’industria della difesa, così come la prospettiva di unire le forze se le tensioni con la Cina dovessero farsi più serie, offrono una base per le relazioni con l’India in ambito di sicurezza abbastanza solida da resistere ai cambiamenti politici che il Paese sta attraversando in questi mesi. Inoltre, i partner di coalizione del nuovo governo Modi non sono dei ferventi antioccidentali ed è improbabile che abbiano interesse a compromettere l’approccio complessivamente pragmatico e multi-allineato perseguito sinora dal premier in politica estera.  

 

È possibile che le decisioni più impegnative in materia di bilancio o di approvvigionamento diventino l’occasione per una più dura contestazione politica, che nei primi due mandati Modi era riuscito a evitare grazie all’ampio controllo del BJP sul Parlamento. La maggiore incertezza politica di oggi potrebbe indurre i ministri e i funzionari indiani responsabili dell’approvazione di grandi accordi a una maggiore avversione al rischio. Ciò potrebbe rappresentare a sua volta un ostacolo agli investimenti più audaci e impegnativi, inclusi quelli nel settore della difesa, nella transizione energetica o all’avvio dii grandi accordi commerciali con altri Paesi. 

 

 

la fotoUna via di New Delhi. Il voto della scorsa primavera ha inaspettatamente dimostrato la resilienza e la vivacità della democrazia indiana, che a molti sembrava destinata a un inesorabile declino illiberale. Per l’Europa, questa è sicuramente una buona notizia

 

 

Eppure, è poco probabile che le questioni di politica estera e di sicurezza nazionale rappresentino delle vere e proprie priorità per i partner di coalizione del BJP, molto più preoccupati dalle molteplici questioni regionali, locali e pratiche che li coinvolgono. Lo stesso vale per il nuovo Parlamento – rinvigorito nella sua eterogeneità e nel ruolo più centrale delle opposizioni – che sarà uno scrupoloso arbitro delle iniziative del governo sul piano della politica interna, ma meno su quello della politica estera. Tanto più che le principali questioni diplomatiche e quelle relative alla sicurezza nazionale dell’India sono generalmente gestite dall’ufficio del primo ministro senza che sia necessario ricorrere a specifiche iniziative sul piano legislativo. Negli ultimi anni Modi ha inoltre centralizzato il controllo sul funzionamento dei ministeri e delle agenzie rilevanti in tema di esteri, come i servizi di intelligence, che oggi fanno capo al primo ministro attraverso il suo consigliere per la sicurezza nazionale. 

 

 

Cosa cambia per le relazioni tra India ed Europa? 

Il voto della scorsa primavera ha inaspettatamente dimostrato la resilienza e la vivacità della democrazia indiana, che a molti sembrava destinata a un inesorabile declino illiberale. Per l’Europa, questa è sicuramente una buona notizia. Da un lato, è vero che la prospettiva di un’economia indiana forte e dinamica – in cui l’Unione europea possa trovare uno sbocco alle sue esportazioni e un’alternativa credibile alla Cina per i suoi investimenti diretti esteri nel settore manifatturiero – potrebbe ora apparire più incerta. Dall’altro, proprio per questo l’India potrebbe essere ora più incline a imprimere un’accelerazione ai negoziati per il tanto atteso accordo commerciale con l’UE, soprattutto in una fase di grande incertezza globale e di crescente competizione tra Stati Uniti e Cina. 

Un disperato bisogno di creare nuovi posti di lavoro 

Un accordo commerciale e di investimento tra Europa e India aprirebbe delle prospettive decisamente positive per entrambe, dal momento che offrirebbe alle aziende europee l’accesso a un mercato molto grande e in crescita, e all’India la prospettiva di espandere il suo settore manifatturiero grazie agli investimenti europei. I membri della European Free Trade Association (EFTA) e l’India hanno già firmato un accordo che prevede un impegno di investimento di 100 miliardi di dollari da parte dei membri dell’EFTA. Soprattutto adesso che, anche alla luce delle aspettative degli elettori, il governo Modi avrà disperatamente bisogno di creare nuovi posti di lavoro – sono 1 milione i giovani indiani che entrano nel mercato ogni mese – il prossimo passo, seppur non imminente, potrebbe riguardare un accordo con l’Unione europea nella sua interezza. 

 

 

Multi-allineamento e ideologia 

Sul piano internazionale e della politica estera, gli orientamenti dell’India di Narendra Modi resteranno in buona sostanza immutati: New Delhi continuerà a perseguire una strategia di multi-allineamento pragmatico e transazionale, coltivando le relazioni con gli altri Paesi in base al proprio interesse nazionale: dalla Russia agli Stati Uniti, dai Paesi europei ai BRICS. Con la differenza che, agli occhi del mondo, le elezioni di quest’anno hanno rinvigorito la democrazia indiana anche sul piano reputazionale. Per il Paese ancora guidato da Modi – molto dipenderà ora dalla sua capacità di gestire la nuova e più incerta congiuntura politica in cui si trova oggi a governare – potrebbe aprirsi dunque la possibilità di agire sul palcoscenico globale con una ancora maggiore autorità e legittimità. Questo vale soprattutto per le relazioni con il mondo occidentale, ma anche con i Paesi del Sud globale alla cui guida l’India sta cercando di accreditarsi al posto della Cina.  

Le elezioni di quest’anno hanno rinvigorito la democrazia indiana anche sul piano reputazionale

Inoltre, il risultato elettorale e la necessità di governare in coalizione potrebbero avere l’effetto di riportare in primo piano il riformismo economico del BJP, smorzando l’insistenza del partito sull’agenda del nazionalismo induista, insieme alle retoriche e alle politiche che negli ultimi dieci anni hanno polarizzato il Paese e acuito le tensioni religiose. In termini elettorali l’ideologia dell’Hindutva su cui il partito di Modi ha puntato in campagna elettorale non ha pagato: sul piano interno Modi potrebbe dunque scegliere di instaurare un corso politico più pragmatico e meno ideologico.  

 

Ma un punto interrogativo rimane, e nei prossimi mesi sarà necessario prestarvi attenzione: data la necessità di governare in coalizione, è possibile che Modi e il BJP finiscano per esercitare sulla politica internazionale dell’India un controllo maggiore rispetto a quello che potranno esercitare sulle questioni di politica interna, su cui gli alleati di governo concentreranno i propri interessi per aumentare il proprio peso politico ed elettorale. È possibile che la situazione nel tempo spinga il partito di Modi a inquadrare le proprie ambizioni e scelte di politica estera in termini sempre più ideologici, come concessione alla base estremista indù del partito che si è vista invece indebolita sul piano interne. In tal caso, le relazioni con l’Occidente potrebbero essere le prime a subirne le conseguenze.