
USA
Trump esce dal Trattato di Parigi ma non dalla Convenzione quadro e per ora fa comunicazione
Leggendo bene l’ordine esecutivo di Trump, che diventerà esecutivo nel gennaio 2026, si intravede una scelta ideologica ma anche un filo di trattativa possibile per il futuro
6 minL’aveva detto e lo ha fatto nel primo giorno. Trump ha firmato l’ordine esecutivo con cui gli USA si ritirano dall’accordo, poi Trattato, di Parigi sul clima e l’ambiente. Ma quali effetti avrà questa scelta? E a quali procedure va incontro? Dal punto di vista procedurale il ritiro della firma USA avrà effetto tra un anno (in precedenza il tempo previsto era di tre-quattro anni al tempo del primo ritiro di Trump nel 2020) e di fatto implicherà solo la non partecipazione degli USA al fondo annuale che è previsto per aiutare i Paesi più poveri, o in difficoltà tecnica o tecnologica, a mitigare con azioni specifiche le azioni del cambiamento climatico. Considerando ovviamente che gli USA partecipano in buona parte ai 100 miliardi di euro previsti all’anno per il fondo, che però fino al 2024 ancora non erano stati mai erogati e raccolti solo da una parte dei Paesi finanziatori (o messi in bilancio in maniera trasparente). E che sono dunque stati al centro della ultima Cop svoltasi a Baku. Si tratta quindi per ora di una dimensione solo politica o politico comunicativa. Che nel mondo dei social networks non è poca cosa. Ma con effetti almeno iniziali ridotti.
Chi ha continuato a impegnarsi
Certamente questo significa che gli Stati Uniti d’ America non si sentono più legati agli obiettivi di diminuzione della temperatura terrestre ed al contenimento delle emissioni di Co2. Ma in questo bisogna ricordare che proprio nell’anno seguente il primo annuncio di ritiro dagli accordi di Parigi, gli USA registrarono una consistente diminuzione di emissioni e la più forte diminuzione dell’uso del carbone della sua storia. Questo soprattutto perché la legislazione di alcuni Stati, come la California, e la regolazione autonoma di molte aziende statunitensi, continuarono lo sforzo di adesione ai principi stabiliti nelle varie COP susseguitesi negli anni da Parigi 2015. Dalla COP di Glasgow in poi, la 26 del 2016, infatti, nel parterre di Stati, Ong e scienziati ha fatto la sua comparsa un raggruppamento di aziende mondiali che si sono impegnate sul tema della transizione ambientale con progetti tecnologici e finanziamenti, che costituiscono un settore di mercato in crescita economica e finanziaria e, al di là di ogni ideologia, costruiscono condizioni di mercato prospere e redditizie e certamente proseguiranno a farlo, fosse anche solo per motivi di mero profitto.
Possibile scenario
C’è poi un’altra questione procedurale che gli USA col nuovo Presidente Trump dovranno affrontare: al momento l’uscita dal Trattato di Parigi è cosa diversa dall’uscita dall’Accordo quadro sul cambiamento climatico (UNFCCC) che è stato appunto il quadro di diritto internazionale dentro cui si muovono le varie COP e vige anche il Trattato di Parigi 2015, ovvero la Convenzione ONU. Questo accordo fu ratificato- su proposta del repubblicano Bush Padre - dal Senato USA nell’estate del 1992 (e nel 1994 entrò ufficialmente in vigore con una maggioranza di Stati ONU che lo avevano successivamente ratificato) e dunque dovrebbe ripassare per il Congresso USA, precisamente in Senato (con possibile richiamo della Camera dei Rappresentanti, e certamente con parecchie problematiche federali di costituzionalità, nella procedura dei trattati).
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vviamente l’iniziativa Presidenziale potrebbe avere gioco facile, se decidesse di uscire anche dall’ accordo quadro delle Nazioni Unite, considerando che si trova dopo le elezioni di novembre scorso con una maggioranza in tutte e due le Camere, ma non è detto che poi nel gioco della rappresentanza territoriale degli Stati e nelle alchimie di potere Congressuali, la materia non divenga troppo “calda”, e certamente non “celere “, come quella che ha appena affrontato con un ordine esecutivo. In buona sostanza, leggendo l’ordine esecutivo si comprende come due sono gli obiettivi concreti del Presidente Trump: uno di natura comunicazionale; l’ altro meramente economico, ovvero l’ immediato ritiro dal finanziamento ad altri Stati o il trasferimento di capacità tecnologiche che riguardino la mitigazione del clima. Insomma, una comunicazione immediata ed “alta” e un concreto taglio di spesa dal bilancio USA, una sorta di “spending review”.
Cosa ci riserverà il futuro? Difficile a dirsi ma è interessante sapere che un certo policentrismo agita il mondo geopolitico della transizione ambientale: dal 24 al 28 febbraio è prevista in Cina ad Hangzhou la riunione dell’IPCC ovvero dell’istituto scientifico che per le Nazioni Unite prepara il rapporto sullo stato delle politiche ambientali nel mondo e sulle condizioni climatiche; e a novembre 2025 si svolgerà in Brasile, a Belem do Parà, la COP 30 fortemente voluta dal Presidente Lula e in cui i Paesi Brics potrebbero svolgere un ruolo molto più forte che in passato. Un confronto interessante, insomma, sul Trattato di Parigi dopo il terremoto annunciato di Trump, che darà la misura delle ambizioni ambientali di tutti.