Una rottura con il passato, ma recentedi Roberto Di Giovan Paolo

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Una rottura con il passato, ma recente

di Roberto Di Giovan Paolo

Non si trattava di opinioni a margine di una consueta intervista. La riflessione di Tony Blair sulle politiche per l’ambiente e il cambiamento climatico affondano le radici in un Rapporto della sua Fondazione con dati e proposte.
Ma cosa c’è scritto nel rapporto e quali sono i punti cardine di una “positive disruption”?
 

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“Prendersi i rischi”, “Avere il coraggio di una nuova rottura positiva”, “Procedere verso un miglioramento ambientale assumendosi responsabilità impopolari”. Una serie di affermazioni sui temi del cambiamento climatico e in vista di una COP 30 in Brasile senza gli Stati Uniti d’ America che, venendo dalla bocca di Tony Blair, il Primo Ministro della “Cool Britannia” degli anni Novanta, e dopo di allora uno degli ex leader più ascoltati a ogni latitudine mondiale, hanno determinato curiosità e interesse. Ma la verità è che pochi hanno colto il fatto che non si trattava di una mera intervista sull’argomento ma di una riflessione fondata su un corposo documento della Blair Foundation di oltre cinquanta pagine, dal titolo ambizioso ma pungente: “The Climate Paradox: Why We Need to Reset Action on Climate Change”.  
Noi siamo andati a leggerlo, e ne è valsa la pena. Il Paradosso è quello della non negazione, tutt’altro, del cambiamento climatico. Ma connessa a questa verità di fondo c’è il fatto che le politiche introdotte sinora, e solo da pochi anni - il Trattato di Parigi ha meno di dieci anni di attività - stanno mostrando la corda sia in chi nega il cambiamento climatico ma anche tra coloro che sostengono le ragioni, anno per anno, della Conferenza annuale che le Nazioni Unite mettono in campo per favorire le misure ambientali. Un Paradosso vero: più conoscenza condivisa a cui non corrisponde nel tempo una crescita di consenso attorno alle misure scelte.

Dai paesi in via di sviluppo…

Il Rapporto della Fondazione Blair non gira troppo attorno alle questioni e prende atto di ciò che è accaduto dalla COP di Glasgow 2021, quando l’India guidò una mini-rivolta dei Paesi in via di sviluppo che chiedevano misure che tenessero conto anche di chi ancora non ha raggiunto il picco di sviluppo economico ed energetico che gli permetta di volgere lo sguardo alle energie rinnovabili e alla economia circolare.
Il primo capitolo è tutto dedicato al rischio che tale visione differente possa incrinare lo sforzo collettivo di cambiamento e creare una frattura difficilmente ovviabile nel futuro. Questa frattura, anche quando non dichiarata, ha portato negli ultimi quindici anni alla crescita dell’uso dei fossili e a un uso spasmodico e frettoloso anche del carbone sia in India che in Cina, mentre, nonostante le dichiarazioni, la serie dei dati sulle emissioni del traffico aereo non ha smesso di crescere negli ultimi venti anni. E se si chiede ai Paesi in via di sviluppo di procedere a una modernizzazione necessaria delle loro città non si può non mettere in conto la necessità di un aumento di produzione di acciaio e di cemento che in questi Paesi porterebbe a percentuali di aumento del 40-50 per cento.
Ovvio che in queste condizioni il “Phasing out” dalle politiche standard diventa davvero difficile. E soprattutto risulta poco comprensibile a quei cittadini di Paesi in via di sviluppo a cui si chiede nello stesso tempo di crescere a ritmi più elevati e con standard di modernizzazione che li mettano alla pari con gli altri, e nello stesso tempo di “de-crescere” come se fossero già oltre il loro picco di sviluppo.  

 

…alle politiche che non raggiungono gli obiettivi

La fondazione Blair mette sotto accusa questa sorta di schizofrenia delle “policies”, quale principale responsabile di un confronto che rischia di paralizzare ogni scelta politica di cooperazione energetica e ambientale, non solo lo svolgimento delle prossime COP, a partire da quella di Belem in Brasile di novembre 2025.
Le politiche che non danno risultati - dice la Fondazione Blair - esacerbano gli animi perché i sacrifici che vengono imposti o che i cittadini si auto impongono creano esasperazione e divengono il carburante di appelli populisti che mettono in dubbio non solo le politiche favorevoli all’ambiente ma anche le istituzioni che le propongono. E c’è dunque bisogno di un “Resetdelle politiche. Una riflessione, delle scelte chiare. Percorribili da tutti.
La “pars costruens” del rapporto comincia con il proporre di rendere davvero economiche le politiche migliori per tutti i Paesi, provando a fare una selezione di tutte le misure proposte e introdotte, scegliendo tra loro accuratamente.

 

Il ruolo dell’IA e della nuova energia

La cattura di Co2, per esempio, secondo il Rapporto è spesso sottostimata mentre può incidere fortemente sulla ristrutturazione di interi comparti industriali e dunque portatori anche di sviluppo futuro, non solo di mitigazione degli effetti sul clima. L’uso dell’Intelligenza Artificiale per concepire nuovi strumenti di utilizzo, per produrre energia o per controllare le infrastrutture elettriche e garantire allo stesso tempo risparmio ed efficienza è un modo pratico e poco retorico di occuparsi di un settore su cui si sta discutendo molto, forse troppo, solo a livello di etica. L’ IA diretta dall’uomo in questo campo può divenire uno strumento molto efficace anche rispetto ad altri settori industriali.
Gli Stati nazionali, anche in cooperazione tra loro, dovrebbero investire su tutto il fronte dell'energia pulita non trascurando, con accurati controlli e nuove strumentazioni, e su scala ridotta rispetto al passato, l’energia prodotta con la fusione nucleare. Senza tralasciare altri campi di ricerca di nuova energia producibile.
Fondamentale rimane l’uso del territorio, utilizzando foreste, campi e ristrutturazioni urbanistiche per garantire che la natura possa fare il suo corso di primo operatore di cattura delle emissioni; il che significa anche una diversa idea di configurazione urbanistica e sociale dei territori. 
Per la Fondazione Blair è molto importante che non rimanga in secondo piano la strategia di adattamento e mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. Oggi sembrano solo politiche di “soccorso” ma in realtà non si può semplicemente aspettare gli eventi naturali, che sappiamo arriveranno, senza prepararci: il cambiamento climatico è già qui, riscalda ogni anno di più il pianeta, scioglie i ghiacciai, annuncia il rischio di inondazioni o di forti eventi climatici. Non si può far finta che non esistano, che basti cambiare le politiche perché non avvengano. Bisogna costruire anche condizioni ambientalmente corrette certamente, di resistenza a questi fenomeni, adeguando e rafforzando l’adattamento dell’umanità a questi cambiamenti.

Lavorare per obiettivi comuni

Tutto questo implica alcune scelte collettive dei Paesi in regime di cooperazione reale, ma la Fondazione Blair sembra sottolineare che, mentre l’approccio multilaterale è stato fondamentale per costruire una attenzione ai problemi, la conoscenza globale e il consenso per giungere a una comune visione (Trattato di Rio e Kyoto, Accordo di Parigi etc.), serve per decidere alcuni obiettivi, come quelli indicati prima, e su questi muoversi con il maggior numero di Paesi che siano disponibili. Insomma, un po’ come quando si dice che l’Unione Europea dovrebbe decidere insieme le grandi linee di ispirazione e avere poi “collaborazioni rafforzate” tra i Paesi che decidono di esplorare e ricercare assieme in uno specifico settore come la moneta unica o la difesa. Ovviamente rapportato dal punto di vista geopolitico al pianeta mondo e alle scelte che richiedono uno sforzo di ricerca applicata e industriale che non tutti i Paesi Onu possono affrontare, ma garantendo benefici dei risultati per tutti.

L

a Fondazione dedica un punto importante al ripensamento del ruolo del momento finanziario, tenendo conto anche delle ristrettezze di cui godono un po’ tutti i bilanci di Stato. Era una formula che aveva cercato di mettere in luce nelle ultime COP anche l’inviato speciale di Biden, ed ex segretario di Stato, John Kerry, il quale aveva proposto e realizzato incontri informali e formali tra industrie, Tycoons e Fondazioni con forte impegno economico filantropico, per affiancare con finanziamenti privati la ricerca e lo sforzo di innovazione sul clima. Un tema che viene rilanciato dalla Fondazione Blair in maniera forte citando l’esempio dell’impegno economico della Fondazione di Bill Gates sulla ricerca per i vaccini e in particolare quella sul MRNA per il vaccino anticovid. 
 C’è una dichiarazione forte già a metà del rapporto e che ritorna nelle conclusioni: “Sentiamo la necessità di creare un momento di reale impatto per soluzioni innovative -non rimanendo chiusi nel passato-perché abbiamo necessità di andare più lontano e più velocemente. Dobbiamo depoliticizzare il dibattito sul clima, passare dalla retorica ambientale alla retorica dei risultati focalizzandoci sul futuro dell’umanità. Scegliendo un pensiero di rottura e dando priorità all’ impatto reale sulla retorica possiamo ancora bloccare il riscaldamento globale e assicurare un futuro vivibile”.
Il tema della “Rottura” torna più volte nel rapporto e alcune volte, anche nelle conclusioni, è specificatamente indicata dal termine: “positive disruption”.
Così il termine “depoliticizzare” è evidentemente legato all’idea di sciogliere il nodo delle convergenze geopolitiche o ideologiche.

 

Necessaria una rottura con il passato

Il rapporto, che è anche ricco di dati e di informazioni è davvero una riflessione interessante, che non andrebbe ridotta a una semplice notizia su Tony Blair, perché affronta il tema del dibattito internazionale sul clima e sull’ambiente per come si è sviluppato in tutti i luoghi internazionali di confronto.
Le COP, le COP BIO, gli ambiti delle Nazioni Unite o quelli del dibattito interno ai singoli Paesi come in USA o nell’Unione Europea, o sulle posizioni di Cina e India e i Paesi Brics, hanno spesso preso avvio da altre considerazioni, esterne ai fatti reali, e spesso non risultando utili a un avanzamento generale delle tematiche ambientali, sul clima o della economia circolare. E questo ha condizionato molte Ong, e la riflessione accademica o intellettuale. Il richiamo a una positiva rottura col passato, lungi dall’essere una critica, potrebbe essere piuttosto una sfida, proprio a cominciare dalla COP 30, a cui Lula tiene molto. Chissà che una riflessione seria e convinta non riesca a rilanciarla confidando alle Nazioni Unite un ruolo non solo di “cerimoniere” ma magari di primo motore di una serie di azioni puntuali, con risultati soddisfacenti.