Il nuovo ordine energeticodi Rita Lofano

Un difficile equilibrio

Il nuovo ordine energetico

di Rita Lofano

La mappa del potere globale si riscrive sulle vie dell’energia e delle materie prime. Tra ritorni al mercantilismo e strategie di controllo dei passaggi marittimi, la sicurezza nazionale torna a dominare le agende delle grandi potenze

7 min

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iamo di fronte a un cambio dello scenario geopolitico? Sì, questa è l’unica certezza che abbiamo sul futuro, ma la nuova mappa non è ancora chiara, se ne vedono le ombre all’orizzonte, navighiamo nell’oceano dell’incertezza. Questo numero di WE è un’affascinante esplorazione di una serie di opportunità e rischi. Come scrive Francesco Gattei in un pezzo esemplare, “non è più piatto il mondo di domani. È il momento di Jean-Baptiste Colbert, della diffidenza e della ricerca della superiorità nazionale. E della ‘grande confusione sotto il cielo’”.

 

Dunque, siamo alla fine di un’era della globalizzazione (il “mondo piatto” raccontato in un fortunato libro di Thomas Friedman), rientro del mercantilismo (Jean-Baptiste Colbert) e caotico ridisegno dei rapporti di forza tra le grandi potenze (“la confusione” del leader della rivoluzione cinese, Mao Tse-tung). La parola che sovrasta tutte in questa frase di Gattei così densa di significato è “diffidenza”, uno stato di precarietà che fa emergere la domanda di “sicurezza” in uno scenario dove domina “la ricerca della superiorità nazionale”. In apparenza non c’è niente di nuovo sotto il cielo, sembra un ritorno al Novecento, ma la storia ama ripetersi in forme sempre nuove; dunque, quello che vediamo è un nuovo inizio, con una serie di shock a ripetizione e letture del futuro che durano poco.

 

Il caso della “guerra dei 12 giorni” tra Israele e Iran è emblematico, mentre il mondo si preparava a un conflitto lungo, gli Stati Uniti hanno chiuso la partita bombardando i siti nucleari di Teheran e le proiezioni sulla chiusura dello Stretto di Hormuz, uno dei punti di snodo delle rotte energetiche sono cambiate in pochi giorni. Chi controlla l’energia – o il passaggio della sua distribuzione – detta l’agenda internazionale, dallo Stretto di Hormuz al Canale di Suez, dallo Stretto di Malacca (tra Indonesia e Malesia, passaggio obbligato per Cina e Giappone), al Mar Glaciale Artico. L’intervento americano e la concertazione tra la Casa Bianca e Israele hanno evitato un’escalation con Teheran che non ha mai chiuso il passaggio di Hormuz. Henry Kissinger negli anni Settanta ammoniva: “Chi controlla il petrolio controlla le nazioni; chi controlla il cibo controlla i popoli”. E chi controlla il mare, controlla il mondo, sosteneva l’ammiraglio Alfred Thayer Mahan, uno dei più influenti teorici del pensiero strategico. Tutto torna, tutto si rinnova: le pagine di Mahan, il Clausewitz del mare, sono un memento quando sugli schermi arrivano i flash degli Houthi che attaccano le navi mercantili nel passaggio del Mar Rosso verso il Canale di Suez. L’elemento dell’acqua lo ritroviamo in Ucraina, l’accesso al Mar Nero, a Odessa e ai terminali portuali meridionali è vitale per Mosca. Senza sbocchi sicuri verso sud, Mosca perde influenza sul Mediterraneo e sulla logistica del grano e del gas. La dissoluzione dell’Unione sovietica (che Vladimir Putin nel 2005 definì “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”) ha privato la Russia di una rete di porti strategici (Baltico, Mar Nero, Caspio) e delle pipeline di collegamento. Oggi, con il cambiamento climatico che apre la rotta dell’Artico, il capo del Cremlino punta al controllo del “passaggio a nord-est”, promuovendolo come alternativa sicura a Suez.

 

 

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L’energia è il cuore dello scontro tra le grandi potenze. Non è solo il petrolio a spostare gli equilibri. Le terre rare (fondamentali per batterie, chip, pannelli solari, tecnologie militari) sono concentrate in poche mani: Cina, Congo, Russia. Il litio del Cile, dell’Argentina e della Bolivia sta diventando una risorsa contesa da Pechino e Washington.

 

Nel mosaico geopolitico attuale, ogni rotta conta. La Cina, con la sua iniziativa "Belt and Road", ha investito in porti, ferrovie e oleodotti dall’Africa all’Asia Centrale. Se il Canale di Suez e lo Stretto di Malacca restano arterie vitali, lo stato del Dragone investe in corridoi alternativi. L’Iran, grazie alla sua posizione, è visto come un hub di snodo tra Golfo, Caucaso, Asia centrale e Mediterraneo. Teheran ha già siglato accordi con Russia, India e Turchia per lo sviluppo del Corridoio Internazionale di Trasporto Nord-Sud, che ridurrebbe drasticamente i tempi di trasporto tra Europa e Asia rispetto alla via tradizionale via Suez. Quanto è stabile questo scenario dopo la guerra a Gaza, la distruzione di Hezbollah in Libano, il crollo del regime in Siria e l’indebolimento dell’Iran? Non lo sappiamo, ma possiamo provare a immaginare una nuova scacchiera, muovere i pezzi, simulare, fare prove di 'fictional scenario', lanciare le notizie e proporre analisi.

 

Gli Stati Uniti, primo produttore mondiale di petrolio e gas naturale, continuano a importare il 40 percento del greggio consumato, proprio perché la sicurezza nazionale si misura non solo in barili estratti, ma in rotte controllate, riserve strategiche garantite e presidi militari nel mondo (“Siamo il numero uno per petrolio e gas. Ma non possiamo permettere che Iran, Cina o altri chiudano i canali del mondo. Non saremo mai ostaggio dei nostri nemici”, spiegò Trump nel 2019, durante il suo primo mandato, al culmine della guerra commerciale con la Cina). La strategia è chiara: anche il più potente produttore del mondo ha bisogno di diversificare le fonti e controllare le rotte. Non per mancanza di risorse, ma per non dipendere mai da un solo scenario geopolitico.

 

In questo equilibrio sottile, gli Stati Uniti restano i principali architetti di un ordine energetico globale che, pur cambiando pelle, continua a dipendere da chi controlla il passaggio dell’energia e delle materie prime, più ancora della fonte. Ed è proprio lì, nelle viscere della Terra, tra scambi invisibili e oceani pattugliati, che oggi si misura il potere.