Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
La transizione verde di Biden di Samuel L. Oswald 
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SFIDA

La transizione verde di Biden 

di Samuel L. Oswald 

Le sfide e i prossimi passi del nuovo inquilino della Casa Bianca raccontati ­­da John Podesta, fondatore del Center for American Progress e protagonista di primo piano della politica statunitense degli ultimi 25 anni 

16 min

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ambizioso programma sul clima e la necessità di creare un’economia più giusta ed equa, il rinnovato rapporto con l’Europa e la politica americana in Medio Oriente e in Africa, la squadra del nuovo inquilino della Casa Bianca e gli equilibri interni al Congresso. In quest’intervista a World Energy, John Podesta, fondatore del Center for American Progress e protagonista della politica statunitense degli ultimi 25 anni (ha svolto ruoli di primo piano nelle amministrazioni Clinton e Obama), spiega gli impegni e le sfide che attendono Joe Biden.  

Il presidente, sottolinea Podesta, “ha evidenziato il collegamento tra le crisi che attanagliano l’America: la crisi del Covid, la conseguente crisi economica, la crisi della giustizia razziale e la crisi climatica; ha indicato la necessità di affrontarle tutte insieme nel loro complesso, per creare un’economia più giusta ed equa”

la fotoJohn Podesta

Molte delle decisioni finora adottate dal presidente Biden, tra cui gli ordini esecutivi del 27 gennaio scorso,  aprono la strada a ulteriori passi nel prossimo futuro. Cosa possiamo aspettarci, secondo lei? 

 

Fin dai primi giorni del suo mandato Biden si è adoperato per tener fede alle promesse fatte durante la campagna elettorale. Il suo programma sul clima si è fatto sempre più ambizioso, nel corso della sua campagna politica. Biden ha evidenziato il collegamento tra le crisi che attanagliano l’America: la crisi del Covid, la conseguente crisi economica, la crisi della giustizia razziale e la crisi climatica; ha indicato la necessità di affrontarle tutte insieme nel loro complesso, per creare un’economia più giusta ed equa. Per farlo, potremmo dedicare grossi investimenti alla trasformazione dei sistemi energetici negli USA, il che servirebbe non solo a mitigare la minaccia dei cambiamenti climatici, ma anche a stimolare gli investimenti nelle energie pulite ponendo l’accento sulle infrastrutture.  

Fin dal primo giorno, Biden ha mantenuto la promessa di rientrare nell’Accordo di Parigi, ha ritirato l’attacco alla protezione dell’ambiente e ha revocato il permesso per il Keystone Pipeline, che è stato l’elemento distintivo dell’amministrazione Trump. Una settimana dopo, Biden ha emanato una serie di ordini esecutivi che hanno aperto la strada a un approccio intergovernativo, esteso a tutta l’amministrazione, per mettere il clima al centro delle sue politiche in materia di economia, sicurezza e diplomazia. Ha costituito un team che avrà un ruolo importante, ma il prossimo passo è attrarre investimenti: e per questo a Biden servirà l’appoggio del Congresso. 

 

Pensa che interverranno azioni normative prima della proposta di nuove leggi e/o investimenti? 

 

La strategia di Biden è definita dai tre grandi propositi della sua campagna: un settore energetico pulito al 100 percento entro il 2035 (obiettivo piuttosto audace), un’economia a zero emissioni nette entro il 2050, e il focus sulla giustizia ambientale, con il 40 percento degli investimenti a favore delle comunità in difficoltà. Il presidente Biden ha un forte potere di regolamentazione, ma ci vorrà anche l’azione del Congresso, nella forma di un ulteriore sostegno alle energie pulite. 

L’amministrazione si metterà subito al lavoro per ridurre l’ampio spettro delle emissioni. Si prevedono ulteriori azioni per la totale elettrificazione di automobili e autocarri leggeri; l’amministrazione procederà anche a regolamentare le emissioni di metano (in particolare quelle generate dalla produzione petrolifera e di gas), che sono tra i principali fattori dell’aumento delle emissioni complessive registrato negli ultimi due anni dell’amministrazione Trump. Il dipartimento dell’Energia ha ampi poteri ai fini dell’innalzamento degli standard di efficienza, sia per i beni di consumo sia per il settore industriale. 

 

L’inviato speciale per il clima John Kerry ha dichiarato che si potrà recuperare l’eventuale perdita di posti di lavoro nelle aziende tradizionali, con un miglioramento delle competenze. Che cosa ne pensa? E che cosa pensa delle tempistiche e della geografia di questo processo? In quest’America polarizzata, c’è un modo per trasformare la transizione energetica in un fenomeno capace di curare anziché di polarizzare? 

 

Il paese ha il dovere, nei confronti di tutte le persone coinvolte nella trasformazione, di assicurare gli investimenti necessari. C’è la grande opportunità di dar vita a un sistema innovativo di creazione di posti di lavoro e di sviluppo aziendale. Come lei e i suoi colleghi ben sapete, sono già stati creati posti di lavoro nel settore delle energie pulite; la domanda è: come possiamo accelerare questo processo? Abbiamo già sentito grandi annunci, per esempio da parte di General Motors, Ford, Volkswagen, eccetera, su investimenti volti a cambiare il futuro di queste aziende, perché sia incentrato sull’elettrificazione e sui veicoli a emissioni zero e non più sui motori a combustione interna. Dobbiamo solo agire con saggezza, creando catene di fornitura e modelli d’investimento che assicurino un’equa distribuzione della prosperità che ne deriverà. Sarà una politica industriale controversa, ma Biden si è impegnato alla consapevolezza del dolore che la globalizzazione ha riversato su certe comunità. E intende creare opportunità nell’America rurale, che si è sentita persa e lasciata indietro. Dobbiamo indirizzare gli investimenti verso i luoghi che ne hanno bisogno. Ci manterremo consapevoli della necessità che questi nuovi posti di lavoro siano dignitosi e diano salari capaci di sostenere le famiglie americane. Abbiamo la possibilità di farlo con l’eolico offshore nel nord-est e sulla costa del Pacifico, un’opportunità che i governatori si contendono. Un altro esempio è la finanza verde: guardiamo dove la comunità finanziaria vuole mettere i suoi soldi, dove va l’innovazione. Sempre più investitori e stakeholder hanno mandati rigorosi in materia di ambiente, sociale e governance (ESG, Environment, Social and Governance), ad apertura di una serie assolutamente nuova di opportunità d’investimento e di creazione di posti di lavoro. 

 

la fotoUn impianto fotovoltaico ad Alamosa, Colorado.

 

Il clima sembra essere una delle realtà fondamentali per la ritessitura del tessuto transatlantico. Lei ha menzionato le emissioni di metano, e se fossimo a Bruxelles avremmo già citato i meccanismi di adeguamento del carbonio alla frontiera. Come pensa si svilupperà, nei prossimi mesi, l’equilibrio tra la teoria e la realtà di questi temi complicati? Come potranno i vari paesi giungere a un’intesa condivisa, per un prezzo del carbonio che ne rispecchi il valore? 

 

Vedo nell’UE e nell’Europa il partner naturale degli USA, a livello globale. Sia dal punto di vista della necessità di far progredire le economie in modo uniforme verso l’obiettivo delle zero emissioni nette, sia da quello della struttura del valore, ritengo sia altamente costruttivo creare modelli essenziali di cambiamento di natura virtuosa e capaci di funzionare in tutto il mondo. L’UE è più avanti, ha avuto l’idea del meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera, uno strumento che tutto il mondo dovrà necessariamente adottare. Biden l’ha messo in primissimo piano. La sfida sta nella diversità delle strutture dei sistemi di UE e USA. Gli USA si concentrano sugli standard d’investimento, mentre l’UE usa il sistema di scambio di quote di emissione (ETS, Emissions Trading System). Serve quindi una discussione approfondita su come guardare a questi diversi sistemi e renderli coerenti, in termini di adeguamento alla frontiera. Se lavoriamo tutti per lo stesso obiettivo finale, possiamo farcela.  

Ci serve anche una visione condivisa sul costo sociale del carbonio, a livello internazionale. A novembre Janet Yellen, segretaria al Tesoro, ha parlato di una carbon tax di 40 dollari a tonnellata, mentre la Commissione europea punta a un valore di 100 euro per tonnellata di carbonio, quindi tre volte tanto. Ai meccanismi di adeguamento del carbonio alla frontiera serve un’intesa condivisa sul valore del carbonio. Sarà inoltre importante tener conto degli standard e delle riduzioni normative sui sistemi di tariffazione, considerando che il prezzo imputato al carbonio è determinato dai costi sociali e da altri strumenti normativi. Dal punto di vista tecnico è una sfida, ma dobbiamo continuare a lavorare in questa direzione. Il Canada punta a una carbon fee di 170 dollari canadesi per tonnellata entro il 2030. 

Penso comunque ai sistemi di tariffazione del carbonio negli USA come a una policy complementare, in contrasto con la spina dorsale del sistema. I prezzi di cui si parla negli USA non porteranno a nulla: possono avere effetti su alcuni settori, come quello dell’energia, ma non è con questo tipo di prezzi che si decarbonizzano i trasporti. Per raggiungere il risultato auspicato bisogna spingere la tecnologia, la regolamentazione e l’impegno responsabile dei maggiori attori del settore privato. La tariffazione ha certo un suo ruolo, ma con tutto il rispetto per i miei amici economisti che la vedono bene sulla carta, la realtà politica è molto diversa, in termini di quello che si può fare. Si deve guardare alla specificità di ogni singolo settore, guidare la decarbonizzazione con una strategia specifica per ciascun ambito - energia, trasporti, marittimo, aereo -, ma nemmeno un sistema di tariffazione comune a livello globale potrà portarci alle zero emissioni nette. Serve un intervento importante, serve molto più sostegno alla ricerca e sviluppo, e soprattutto alla politica industriale. Anche l’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) svolgerà un ruolo importante, ma chiederà riforme. Ora alla guida della OMC c’è Ngozi Okonjo-Iweala, ex ministra delle finanze e personalità diplomatica dalle grandi capacità. Ho lavorato con lei, anche alla definizione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, ed è davvero fantastica. Dovrà non solo ripristinare il buon funzionamento della OMC, ma anche affrontare il cruciale problema di come raccordare il sistema di scambio globale con i diversi sistemi di riduzione delle emissioni. 

 

Pensa che l’amministrazione Biden cambierà la politica degli USA nelle altre aree del mondo, in Africa in particolare, ma anche nel Mediterraneo e in Medio Oriente? Biden e l’Europa avranno in queste aree una politica bilaterale che sia non solo reattiva, ma anche dedicata?

  

Assolutamente. Il segretario Kerry definirà una coreografia in senso ampio, mentre la segretaria al Tesoro Yellen, Samantha Powers, prossima guida dell’USAID, la nuova leadership della US International Development Finance Corporation e la Millennium Challenge Corporation sostengono tutte la costruzione della resilienza climatica, che non consiste solo nel rafforzamento delle infrastrutture. Si tratta di costruire la resilienza della comunità di fronte a una serie di problemi molto mutevoli e dinamici derivanti dall’interruzione dei sistemi alimentari e di approvvigionamento idrico, da condizioni meteorologiche estreme, ecc. L’amministrazione Biden si concentrerà sulla cooperazione con l’Europa, l’Africa e gli istituti finanziari internazionali in Asia. Dobbiamo innanzitutto convincere i sudcoreani e i giapponesi a smettere di finanziare l’industria del carbone all’estero e, in concomitanza, dotarci di una proposta alternativa fattibile e competitiva in termini di costi. In questo modo avremo un percorso di sviluppo basato sulla sostenibilità e sulle energie pulite. Ci serve una strategia di sviluppo sostenibile in quelle regioni: che sia la cancellazione del debito o un altro meccanismo, la priorità è mantenere gli impegni assunti, a cominciare da quelli di Copenaghen e Parigi, per finanziare la transizione per coloro che - ironia della sorte - contribuiscono al problema in modo minimo ma ne sono maggiormente colpiti. Diversamente, vi sarà un tale caos nel mondo, e l’economia globale e i modelli di migrazione ordinata verranno così profondamente sconvolti da far sembrare facile, al confronto, il decennio appena trascorso; molte persone si sposteranno, all’interno dei singoli paesi come anche oltre i loro confini, con conseguente aggravamento del problema della sicurezza. 

 

Mi consenta una domanda che collega quanto sta succedendo negli USA con l’Africa, dove c’è un’evidente necessità di potenza di carico di base. Si può avere potenza di carico di base in Africa, senza gas? Crede che il gas possa essere un fattore importante per transitare a una nuova economia energetica, e che vi sia spazio per l’idrogeno?  

 

È una domanda importante. In Africa sono pochi i luoghi ricchi di gas, e non rinunceranno all’opportunità di utilizzarlo se questo significa incrementare l’attività economica. Quello che gli USA e il resto del mondo sviluppato devono fare è dare ad aree quali Africa, Sud-est asiatico e Medio Oriente la possibilità di integrare più energie rinnovabili nel loro mix energetico. Indubbiamente, la risposta è che non dobbiamo privare di energia coloro che già ne sono poveri, bensì dobbiamo contribuire alla creazione di un sistema che sviluppi energia pulita e sostenibile. In base alla mia esperienza e alle conversazioni con i colleghi indiani, la prima domanda da porsi non è come si possa fornire la potenza di carico di base, bensì quali siano le reali necessità della base che alimenterà di energia l’attività economica. Questa è la fonte del problema, ed è da qui che dobbiamo iniziare a lavorare per conseguire i nostri obiettivi climatici. Il governo indiano sta lottando con tutto ciò, ma sta anche procedendo a una grande espansione delle energie rinnovabili, del fotovoltaico in particolare. I vincoli che deve affrontare sono principalmente la trasmissione dell’energia e l’obsolescenza della rete elettrica pubblica. Il nostro compito sarà individuare questi colli di bottiglia e risolverli. 

La situazione dell’Africa è un po’ diversa, ma applicando l’approccio allargato degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG, Sustainable Development Goals), che consiste nello stimolare l’attività economica e allentare le strozzature, sul lungo termine riusciremo ad arrivare là dove dobbiamo arrivare.