Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
L'importanza della resilienza energeticadi
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Luci e ombre

L'importanza della resilienza energetica

I blackout in Texas e California e la sfida al cambiamento climatico ci insegnano che bisogna assicurarsi diverse risorse disponibili. L’elettricità è il nuovo petrolio.

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a parola chiave è “resilienza”. “È un concetto che dovrebbe essere fisso nella mente di ogni policy maker quando si parla di energia”, avverte Ken Medlock, professore alla Rice University dove è Senior Director del Center for Energy Studies del Baker Institute, in un’intervista per World Energy. Medlock mette in luce l’insegnamento tratto dai devastanti blackout in Texas e California, per il freddo estremo nello Stato della Stella solitaria lo scorso febbraio e per il caldo storico (tra agosto e settembre del 2020) nel Golden State. “Le cause sono diverse, la lezione è simile: la resilienza è cruciale – insiste Medlock – occorre intervenire per assicurare che il sistema sia resiliente e quindi affidabile. E questo raramente significa dover restringere il set di opzioni a disposizione. Serve piuttosto un impegno concertato per assicurare che vi siano diverse risorse disponibili in grado di entrare in gioco quando altre non lo sono. E questo va fatto con un occhio alla riduzione dell’impatto ambientale delle infrastrutture per l’energia”

 

la fotoTraffico nelle strade di Los Angeles, California.

 

I blackout dell’estate scorsa e lo scontro politico 

In California, considerata “un modello” nella transizione verde, l’elettricità venuta a mancare durante la crisi della scorsa estate ha raggiunto i 500 megawatt (meno dell’1 percento della domanda). In Texas, primo stato produttore di energia degli Stati Uniti (con il 41 percento di petrolio e il 25 percento di gas), il blackout elettrico è arrivato a 45.000 megawatt, di cui 30.000 generati a carbone, gas e nucleare e 16.000 provenienti da fonti rinnovabili (dati ERCOT, Electricity Reliability Council of Texas). Un paradosso che ha scatenato uno scontro politico. I repubblicani, capeggiati dal governatore Greg Abbott, hanno puntato il dito contro l’intermittenza delle fonti rinnovabili e in particolare contro l’eolico, fortemente incentivato ma rivelatosi fragile: le pale si sono ghiacciate. Per i democratici, il ‘Texas freeze’ ha mostrato come siano stati invece i combustibili fossili a non aver retto l’urto e come il Lone Star State abbia scontato un eccesso di deregulation e la mancanza di interconnessione con le altre reti elettriche della nazione. 

“Certo se ERCOT fosse stata più connessa alle regioni vicine negli ultimi decenni, probabilmente in Texas, dove la terra costa poco e le risorse sono abbondanti, sarebbe stata costruita maggiore capacità di generazione”,  ma “la verità - afferma Medlock - è che le fragilità sono state multiple, il fallimento è stato generalizzato e di proporzioni epiche. Basterebbero modifiche relativamente semplici alla regolamentazione per scongiurare simili calamità e l’auspicio è che ci si muova in questa direzione, evitando strumentalizzazioni politiche”. 

 

Il mix energetico texano dipende soprattutto dal gas naturale. Il vortice polare di febbraio ha “congelato” pure le fonti fossili: sono venuti meno fino a quattro milioni di barili di petrolio al giorno (quasi il 40 percento delle forniture USA), circa 6 milioni di capacità di raffinazione del Golfo del Messico (quasi il 30 percento del totale) e fino a 20 miliardi di piedi cubi al giorno di gas (il 20 percento del totale), come non era quasi mai successo prima nella storia dell’energia statunitense. Ma è come se fosse passato inosservato. “Ad attirare l’attenzione della gente, a fare notizia sulle prime pagine dei media del mondo, sono stati gli enormi blackout elettrici. Ed è facile capire il perché: le tragedie personali provocate dalla mancanza di elettricità sono state sconvolgenti. L’elettricità è la vera linfa vitale della moderna civilizzazione. L’impatto della carenza di forniture poi, a differenza di quanto non avvenga con il greggio, è immediato”, osserva Mark Finley, ex analista della Cia e ora ‘fellow’ del Baker Institute della Rice University nonché autore, con Medlock, del report “È tempo di aggiornare il programma per la sicurezza energetica dell’America”, con “le raccomandazioni per la nuova amministrazione” di Joe Biden, che preme per una transizione dai carburanti fossili alle tecnologie pulite come arma per combattere il cambiamento climatico. 

“Per la sicurezza energetica, l’elettricità è il nuovo petrolio”, sostiene Finley intervistato per World Energy. “Qui negli Stati Uniti, se si chiede alla gente cosa significa parlare di sicurezza energetica, tutti pensano al petrolio. Ma il consumo di energia elettrica negli USA è più alto di quello del petrolio. Se si vuole transitare verso un futuro a minori emissioni di CO2, tutti concordano sul fatto che il ruolo dell’energia elettrica è destinato a crescere. Eppure ancora nessuno considera l’energia elettrica una questione di sicurezza nazionale. La gente ritiene che essendo prodotta a livello domestico sia priva di rischi. Come abbiamo visto con il gelo estremo in Texas e con i blackout in California non è affatto così, per non parlare del rischio di cyber attacchi alle reti. Va seriamente ripensato e compreso il tema della sicurezza energetica. Con la riduzione della dipendenza dai carburanti fossili, si creeranno nuove dipendenze, ma a differenza di quanto fatto con il petrolio, non si è ancora seriamente pensato a come gestire e mitigare i rischi collegati alla transizione verso un’energia più pulita. Gli Stati Uniti per cinquant’anni hanno incentrato la sicurezza energetica sul petrolio, creando politiche, protocolli, trattati, riserve, ma nulla di simile è ancora stato fatto per le altre forme di energia”. Un caso eclatante è quello delle terre rare “sempre più strategiche, non solo per il settore tecnologico ma anche per la transizione energetica e per le applicazioni militari”, rileva Finley, sottolineando come la Cina abbia usato il suo vantaggio competitivo in questo mercato come arma non solo economica ma anche geopolitica. 

 

la fotoSan Francisco, California.

 

Il gap dell’America con la Cina: non solo  avere le risorse ma “saperle sfruttare” 

Riusciranno gli Stati Uniti a recuperare questo gap? “Come tutte le risorse naturali, la disponibilità di terre rare è distribuita in diverse parti del mondo ma una cosa è possederle sotto terra e una cosa è riuscire ad estrarle. Direi che conta di più il sistema politico ‘sopra la terra’, ovvero il tipo di regime di chi le possiede, l’interesse e gli incentivi per svilupparle, la tecnologia, il mercato. Quello su cui gli USA hanno dimostrato di avere un vantaggio competitivo è la capacità di innovare e crescere”, evidenzia Finley, citando la rivoluzione americana dello shale che ha sconfessato la teoria del “Peak Oil” e trasformato gli Stati Uniti nel principale paese produttore di petrolio e gas. 

Per contrastare il monopolio cinese, il piano di aiuti Covid da 2.300 miliardi, firmato da Donald Trump lo scorso dicembre, comprendeva uno stanziamento da 800 milioni per finanziare per la ricerca e lo sviluppo di terre rare negli Stati Uniti. Ora l’amministrazione Biden sta lavorando con i paesi alleati come l’Australia e l’India per diversificare la fornitura di terre rare e sta indirizzando la ricerca verso lo sviluppo di alternative sintetiche a minerali come il cobalto e il neodimio. Il dipartimento dell’Energia ha perfino lanciato un “American-Made Geothermal Lithium Extraction Prize” per chi sviluppa tecnologie in grado di ridurre l’impatto ambientale dell’estrazione di litio dalle salamoie geotermiche. In palio ci sono 4 milioni di dollari in contanti. 

La lotta al cambiamento climatico è al centro dell’agenda presidenziale. A poche ore dal giuramento, Biden ha firmato 15 ordini esecutivi, tra cui il ritorno degli USA nell’accordo di Parigi. Ha nominato John Kerry inviato speciale per il clima con voce in capitolo nel National Security Council. La zarina del clima è l’ex leader dell’Epa (Environmental Protection Agency) Gina McCarthy, che sta alla transizione energetica degli Stati Uniti come Anthony Fauci alla lotta alla pandemia. 

 

Al clima è destinata una cospicua fetta del mega piano di Biden da 2 mila miliardi per le infrastrutture. Propone di finanziare parte della transizione energetica alzando le tasse sulle imprese, con un aumento dell’aliquota dal 21 al 28 percento (che Trump aveva drasticamente tagliato, dal 35 percento) ed eliminando gli sgravi fiscali per i carburanti fossili. Prevede incentivi per le energie pulite (174 miliardi solo per le auto elettriche e 100 miliardi per l’ammodernamento delle reti elettriche), fondi per la costruzione di abitazioni energeticamente efficienti e resistenti al meteo estremo, nonché l’obbligo per le utility di produrre una quota di energia elettrica da fonti a emissioni zero. Tutte misure che devono passare il vaglio del Congresso. Il leader di minoranza al Senato, il repubblicano Mitch McConnell, ha già definito il piano per le infrastrutture “un cavallo di Troia” che nasconde provvedimenti per il clima osteggiate dai conservatori. 

“Biden per ora ha fatto alcune mosse utilizzando i suoi poteri esecutivi, bloccando la costruzione dell’oleodotto Keystone XL e varando una moratoria sulle nuove licenze federali per il petrolio e il gas. Ma - puntualizza Finley - quello che si può ottenere con ordini esecutivi è limitato; quello che ha fatto Biden è stato ribaltare gli ordini esecutivi di Trump. Gli ordini esecutivi sono degli espedienti politici. Nel sistema americano, se si vuole ottenere un impatto duraturo, occorre seguire il processo legislativo. E c’è poco appetito, anche tra i democratici rappresentanti di Stati dell’energia (come l’influente Joe Manchin della West Virginia, che presiede la commissione ‘Energy and Natural Resources’ del Senato) per misure punitive nei confronti dell’oil & gas”. Per Medlock, ci sono comunque margini per “progressi reali” nella lotta al cambiamento climatico, “pur con i burrascosi dibattiti tipici di questi tempi a Washington”. Alcune misure volte ad espandere le tecnologie per la carbon capture, a finanziare l’innovazione scientifica, a sfruttare l’arcobaleno dei colori dell’idrogeno per la decarbonizzazione, “potrebbero contare su un sostegno bipartisan” in Congresso, agevolato, curiosamente, dal fatto che le regioni degli States con il maggior potenziale di risorse verdi si trovano in distretti controllati dai repubblicani: un allineamento favorevole all’agenda di Biden. Come andrà a finire? Siamo solo all’inizio di questa storia, e la politica è imprevedibile, come in una fulminante battuta di Mark Twain: “Il radicale inventa le opinioni; quando le ha sperimentate, interviene il conservatore e le adotta”