Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
La svolta Usadi Moises Naim 
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Da Trump a Biden

La svolta Usa

di Moises Naim 

Dalla dominanza energetica alla decarbonizzazione: con il nuovo presidente la prima potenza mondiale inverte la rotta e si candida alla guida di un’azione internazionale forte e decisa a contrasto del riscaldamento globale

14 min

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onald J. Trump voleva fare degli Stati Uniti una “superpotenza energetica”. Nella sua visione, egli avrebbe guidato la nazione non solo verso l’autosufficienza energetica, ma anche verso la “dominanza energetica globale”, da qui la sua vigorosa promozione di petrolio, gas naturale e carbone. Secondo il segretario all’energia di Trump, Rick Perry, la “dominanza energetica dell’America” avrebbe portato il paese a “esportare nei mercati di tutto il mondo, aumentando la nostra leadership e la nostra influenza a livello globale”. L’implementazione di tale visione ha portato all’apertura alla perforazione di petrolio e di gas di tutto il territorio e le acque federali, comprese aree incontaminate come quella dell’Arctic National Wildlife Refuge. Durante il suo mandato presidenziale, Trump non ha mai nascosto la propria convinzione che le emissioni di anidride carbonica non fossero la causa principale del cambiamento climatico.  

 

La visione del presidente Joseph Biden è invece molto diversa: il suo obiettivo principale è che l’America proceda attivamente alla decarbonizzazione (come si spera faccia anche il resto del mondo). Piuttosto che investire nell’energia generata dalla combustione degli idrocarburi, Biden vuole che la sua nazione investa sulle fonti d’energia rinnovabili, quali il fotovoltaico e l’eolico. Altro obiettivo fondamentale della politica energetica del nuovo presidente è la tutela dell’ambiente. Il forte contrasto tra il piano di Biden e le politiche energetiche dell’ex presidente Trump ha portato il senatore Sheldon Whitehouse (Partito Democratico - Rhode Island) a porre fine, dopo ben nove anni, alla sua serie di discorsi settimanali in senato sulla necessità di agire contro il cambiamento climatico: ha pronunciato l’ultimo discorso, il numero 297, proprio nel giorno in cui il presidente Biden ha svelato il proprio piano. “Finalmente ci sono le condizioni per una vera soluzione. Sta sorgendo una nuova alba e non c’è più bisogno della mia piccola candela per combattere l’oscurità”, ha dichiarato Whitehouse.

 

 

Dai piani all’azione 

Nelle prime settimane del suo mandato, il presidente Biden ha emanato una serie di ordini esecutivi volti a scardinare le politiche energetiche ad alta intensità di carbonio e rischiose per l’ambiente volute dal suo predecessore. Come promesso nella campagna elettorale, una delle sue prime decisioni in veste di presidente è stata il ritorno degli Stati Uniti nel perimetro dell’Accordo sul clima di Parigi, oltre all’annuncio della convocazione di un vertice mondiale sul tema, “per convincere i leader dei paesi responsabili delle maggiori emissioni di gas serra del mondo a unirsi agli Stati Uniti nell’assumere impegni nazionali più ambiziosi, ben oltre quelli già assunti”. 

Negli Stati Uniti, Biden ha agito con celerità, fermando i lavori per il Keystone XL Pipeline, imponendo nuovi limiti alla produzione presente e futura di petrolio e di gas, e ordinando a tutte le agenzie federali di dotarsi di procedure operative rispettose del clima. 

 

la fotoGINA MCCARTHY
Conslgliera nazionale per il clima della Casa Bianca.

 

Il fulcro della politica energetica interna di Biden  

Tre gli obiettivi principali del nuovo piano energetico nazionale: 

1. Conseguire le zero emissioni nette entro il 2050 ed eliminare l’inquinamento da carbonio del settore elettrico entro il 2035. Per questo obiettivo, il piano necessita di investimenti aggressivi per lo sviluppo di tecnologie energetiche innovative e più pulite. L’obiettivo è rendere l’industria automobilistica statunitense meno inquinante e lanciare un programma ambizioso per la modernizzazione delle infrastrutture federali, dai fabbricati alle reti di trasporto, fino ai sistemi idrici. Biden intende anche creare un National Council on Workforce Development che dalla Casa Bianca promuova la creazione su larga scala di posti di lavoro nel settore delle energie pulite. Ha inoltre istituito la National Climate Task Force, composta di ventuno alti funzionari di dipartimenti e agenzie federali, che si riunirà periodicamente per assicurare il massimo coordinamento delle azioni a contrasto del cambiamento climatico. 

2. Promuovere un’agricoltura e una conservazione sostenibili. L’amministrazione Biden schiererà un nuovo gruppo di “lavoratori della conservazione” incaricati di affrontare il cambiamento climatico sul campo, con la gestione sostenibile delle foreste e la protezione delle risorse idriche e degli ecosistemi. 

3. Assicurare la giustizia ambientale e promuovere opportunità economiche eque. Il piano di Biden si fonderà, in tutti i suoi aspetti, su un piano globale di giustizia ambientale caratterizzato da un’attenzione particolare alle comunità svantaggiate, cui sarà destinato fino al 40 percento dei benefici della massiccia spesa in energie pulite ed efficienza energetica. Il piano consentirà alle agenzie federali e al settore privato di investire nelle comunità rurali, suburbane e urbane che più ne hanno bisogno.  

Ciascuno di questi obiettivi principali si compone a sua volta di più target e obiettivi secondari che prevedono fino a 2.000 miliardi di dollari di spesa, oltre all’auspicata creazione di circa 10 milioni di nuovi posti di lavoro. 

 

la fotoJENNIFER GRANHOLM
Segretaria dell'Energia

 

Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, qualcosa di prestato 

Non sorprende che il piano energetico del presidente Biden segua gli orientamenti strategici stabiliti all’epoca dal presidente Obama, che prevedevano sussidi a breve termine per gli americani che dovessero sostenere costi energetici elevati, la creazione di 5 milioni di posti di lavoro e fino a 150 miliardi di dollari in investimenti sulle energie pulite nel corso di due mandati presidenziali, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra dell’80 percento entro il 2050. 

La novità del piano di Biden sta nelle sue dimensioni, che sono gigantesche: rispetto a Obama, raddoppia il numero dei nuovi posti di lavoro legati all’ambiente e prospetta un piano di investimenti sei volte maggiore, con l’obiettivo ufficiale di arrivare alle zero emissioni nette entro il 2050. Il piano di Biden pone inoltre maggior enfasi sul porre rimedio ai danni ambientali dovuti alla negligenza del passato, obiettivo che rispecchia l’influenza dell’ala più progressista del Partito Democratico.  

Bill Gates, probabilmente la maggiore personalità non politica a sostenere il piano Biden, lo ha definito “super impegnativo e molto ampio, ma fattibile”. L’amministrazione Biden ha adottato alcuni dei suggerimenti di Bill Gates, con forte accento sull’innovazione energetica, la creazione della National Climate Task Force e l’adozione di misure volte ad assicurare che parte dei costi di bonifica dell’inquinamento pregresso siano sostenuti da chi lo ha causato. Il piano prevede anche forti incentivi alle aziende per l’adozione di alternative energetiche non inquinanti e prive di emissioni di carbonio.

 

la fotoMICHAEL REGAN
Direttore dell'Agenzia per la protezione ambientale (Epa)

 

Quanto è fattibile? 

Andando a contrastare con forza la lunga, storica tendenza a utilizzare i combustibili fossili come fonte primaria d’energia, è inevitabile che il piano incontri opposizione tecnica e politica da parte delle industrie interessate e dagli antagonisti dell’amministrazione Biden. E in effetti, l’opposizione si è già manifestata. Quando Texas, Oregon e altri stati hanno visto collassare in modo grave i propri servizi elettrici a causa del verificarsi di temperature insolitamente basse, gli oppositori del piano di Biden si sono affrettati a dare la colpa agli impianti a energie rinnovabili, fotovoltaici ed eolici. La realtà è che i cali di temperatura hanno colpito sia i gasdotti di gas naturale sia le turbine eoliche, ma gran parte della paralisi è da attribuirsi al congelamento dei gasdotti. 

Il dibattito sulla transizione all’energia verde proposta da Biden si è intensificato proprio per il vigore con cui il presidente si è mosso su questo fronte.  

Per disinnescare l’antagonismo al piano, Biden ha fatto appello ai lavoratori del petrolio, del carbone e del gas: “Hanno contribuito a costruire questo paese. Non dimenticheremo mai gli uomini e le donne che hanno scavato il carbone e costruito la nazione. Faremo la cosa giusta per loro, assicureremo che abbiano l’opportunità di continuare a costruire la nazione nelle loro comunità e che continuino a essere ben retribuiti per questo”

La maggioranza detenuta dall’amministrazione in entrambe le camere del Congresso facilita sicuramente l’approvazione degli elementi legali e fiscali del piano, ma si tratta di una maggioranza fragile: non si può dare per scontato che sarà cosa facile. 

Gli enormi costi del piano, stimati in 2.000 miliardi di dollari, faranno tentennare i legislatori e i detrattori metteranno in rilievo i rischi insiti nel rivoluzionare un settore tanto importante dell’economia a una velocità così vertiginosa: gli oppositori del piano energetico di Biden invocheranno la gradualità contro la terapia d’urto, questo sarà il loro mantra. 

A suo favore il presidente ha la propria esperienza di legislatore e le estese e profonde relazioni personali e bipartitiche che ha sviluppato negli anni al Congresso. I suoi 36 anni d’esperienza come senatore lo hanno sicuramente condotto a una profonda conoscenza del funzionamento del processo legislativo, di chi siano i suoi principali attori, dei rischi e delle sfide: di certo, Biden sa bene come navigare nelle insidiose acque della politica. 

Per quanto tutto il resto possa procedere bene, il successo del suo piano energetico potrà comunque subire ritardi notevoli e incontrare altri problemi a causa della tecnologia necessaria per conseguirne gli ambiziosi obiettivi, difettosa e non testata. Secondo l’International Energy Agency, per arrivare alle zero emissioni nette entro il 2050 come previsto dal piano Biden, l’abbattimento della metà delle emissioni dovrebbe realizzarsi con tecnologie ancora non commercializzate, e questo è il motivo per cui la maggioranza delle imprese di servizi pubblici ha fissato l’obiettivo delle zero emissioni nette di gas serra nel settore elettrico per il 2050 e non per il 2035, come invece proposto dal piano.  

 

Personnel is policy

Anche con tutto il necessario sostegno politico, il successo del piano Biden dipenderà dall’efficienza della sua attuazione, come tutti i piani su larga scala. C’è un vecchio detto a Washington, “personnel is policy”: le persone che il presidente nominerà per la realizzazione del piano sono importanti quanto le dichiarazioni politiche in merito, se non di più, perché appunto, a fare concretamente le politiche sono le persone chiamate ad attuarle. Finora, e nonostante le inevitabili critiche provenienti dall’ambiente politico tossico e altamente polarizzato che caratterizza l’intera nazione, le nomine di Biden ai posti più critici nel campo dell’energia e dell’ambiente sono state accolte relativamente bene. 

Biden ha nominato John Kerry inviato internazionale per il clima, Gina McCarthy zarina della politica interna sul clima, Jennifer Granholm segretaria per l’energia e Michael Regan capo dell’Environment Protection Agency: tutte persone ampiamente rispettate e competenti che per gran parte della propria vita professionale hanno operato ai livelli più alti del governo. 

 

Una chiamata alle armi

Il piano energetico di Joseph Biden e il piano dell’ex presidente Donald Trump sono molto simili per il loro carattere radicale e l’audacia della loro portata, essendo entrambi mirati a determinare un cambiamento profondo e permanente nel modo in cui gli americani ricavano e utilizzano l’energia. Ma le analogie finiscono qui: il piano di Trump puntava a un’espansione massiva della produzione di combustibili fossili, mentre quello di Biden è stato studiato per massimizzare e accelerare la decarbonizzazione. Quest’ultimo si basa essenzialmente sulla scienza, mentre il primo era in gran parte motivato da obiettivi elettorali e populisti. 

È inevitabile che, per l’ampiezza della sua portata, il piano di Biden presenti rischi e incertezze. Per quanto si suggerisca un approccio graduale che riduca al minimo opposizione e insidie, in realtà il tempo per agire sui cambiamenti climatici è già sostanzialmente scaduto e non ci si può permettere alcuna gradualità, nemmeno per far fronte ai rischi di un’azione rapida. Di positivo c’è che si tratta di un piano che farà probabilmente da galvanizzatore per un’azione internazionale forte e decisa a contrasto dei cambiamenti climatici, contribuendo così a eliminare esitazioni e dubbi. L’appello del presidente Biden incita alla mobilitazione con la forza di una chiamata alle armi