Ultimo numero: 60/The race for critical minerals
Una transizione giustadi Alfonso Medinilla, Sanoussi Bilal, Hanne Knaepen
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TRASFORMAZIONE

Una transizione giusta

di Alfonso Medinilla, Sanoussi Bilal, Hanne Knaepen

Le sfide globali in atto sottolineano ulteriormente l'importanza che l'Africa rafforzi la propria resilienza con iniziative e dinamiche proprie, per perseguire una trasformazione rispettosa del clima e della natura e basata su imperativi di sviluppo sociale e umano equi

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na trasformazione economica strutturale alimentata dallo sviluppo sostenibile della capacità produttiva è imperativa per la crescita inclusiva, la creazione di posti di lavoro e la prosperità dell’Africa. In un contesto mondiale travagliato, segnato dalle grandi sfide dei cambiamenti climatici, da una ripresa dissonante e dalle crescenti disuguaglianze dovute alla persistente crisi legata al Covid-19, dalle pressioni inflazionistiche globali e dallo shock della guerra russa in Ucraina e dalle sue ripercussioni globali sulla sicurezza alimentare, sull’accesso all’energia e sulla transizione energetica, sui prezzi delle commodity, da effetti economici depressivi e crescenti tensioni geopolitiche, le ambizioni di sviluppo trasformativo dell’Africa sono più che mai a rischio. Queste sfide globali sottolineano ulteriormente l’importanza che l’Africa rafforzi la propria resilienza con iniziative e dinamiche proprie, per perseguire una trasformazione rispettosa del clima e della natura, inclusiva e sensibile alle specificità di genere, basata su imperativi di sviluppo sociale e umano giusti ed equi.

Mentre la necessità di maggior resilienza e autonomia strategica trova eco positiva nell’agenda per la trasformazione strutturale dell’Africa, la narrativa internazionale sui cambiamenti climatici e sulla transizione verde del continente è spesso più controversa. A volte quest’agenda viene percepita come un programma promosso dalle economie avanzate e potenzialmente avverso alle necessità di trasformazione industriale e di creazione di posti di lavoro dell’Africa. A ciò si aggiunga che la crisi climatica è causata dal processo di industrializzazione e dalle attività dei paesi ricchi e delle economie emergenti in crescita, mentre l’Africa contribuisce solo marginalmente al cambiamento climatico.

la fotoLe grandi foglie delle piante di Alocasia Brisbanensis vengono usate dai bambini come ombrelli quando piove a Boffa in Guinea.

Due delle maggiori questioni per l’Africa sono dunque le seguenti:

1. come perseguire una trasformazione strutturale attiva per la crescita, la creazione di posti di lavoro e la prosperità, in un modo che sia socialmente inclusivo e sostenibile, rispettoso della natura e che non aggravi i cambiamenti climatici?

2. come potenziare la resilienza anche in termini di adattamento ai cambiamenti climatici, senza effetti negativi sull’Africa e sulle sue prospettive di prosperità?

La narrativa internazionale sul clima non dovrebbe pertanto concentrarsi esclusivamente sulle ambizioni di mitigazione del cambiamento climatico, prevalenti tra le economie avanzate, ma dovrebbe soffermarsi a considerare anche le necessità del processo di trasformazione economica e di industrializzazione verdi e climaticamente resilienti dell’Africa, e considerare le opportunità per realizzare tali processi.

A questo proposito, ai fini di una trasformazione economica sostenibile dell’Africa, sono tre le dimensioni cui porre particolare attenzione: 1) le sfide e le opportunità dell’accesso all’energia (verde) e della transizione energetica (verde), 2) la necessità di porre maggiore accento sull’adattamento e la resilienza climatici, in particolare per cogliere i benefici potenzialmente trasformativi dell’agricoltura e dei sistemi alimentari sostenibili, 3) l’urgenza di mobilitare finanziamenti per lo sviluppo di scala adeguata.

 

Accesso all’energia e transizione verde

 

In molti paesi africani l’energia è un’emergenza per lo sviluppo: si tratta di uno dei principali colli di bottiglia per lo sviluppo economico, la creazione di posti di lavoro e l’industrializzazione.

In molti paesi africani il ritmo dell’elettrificazione e dell’espansione della capacità continua a non tenere il passo con la crescita demografica. Nell’Africa subsahariana il numero di persone prive di accesso all’elettricità è aumentato per la prima volta dal 2013, raggiungendo nel 2020 il 77 percento della popolazione, rispetto al 74 percento del periodo pre-Covid. Una situazione tragica, questa, che tuttavia tende anche a enfatizzare eccessivamente la domanda teorica di elettricità e inquadra la necessità di dimensionare gli impianti energetici africani in modo adeguato innanzitutto ai consumi delle famiglie: “600 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità, e entro pochi anni saranno oltre 1 miliardo”. Una questione centrale che ha trovato riscontro nei programmi e nelle campagne per l’elettrificazione tradizionale on-grid e, più di recente, in quelle per l’elettrificazione decentralizzata.

L’elettrificazione delle economie africane è un processo costoso e non può concentrarsi unicamente sulle infrastrutture di base e sul collegamento delle sole comunità non ancora raggiunte dal servizio. Il dimensionamento dei sistemi energetici africani dovrebbe andare di pari passo con il sostegno ambizioso di un uso produttivo dell’elettricità, considerando sia gli impianti on-grid e utility-scale, sia le soluzioni decentralizzate (mini-grid).

Così facendo ci si concentrerebbe sullo sfruttamento del potenziale di energia pulita dell’Africa e su soluzioni locali innovative, per alimentare una rapida trasformazione economica sostenibile del continente e rendere le economie africane attori chiave dell’economia verde mondiale. Sulla base delle tecnologie attuali, si stima che il potenziale di energia rinnovabile dell’Africa sia mille volte superiore al fabbisogno elettrico previsto per il 2040.

Il settore delle energie pulite offre opportunità importanti per l’aumento dei posti di lavoro dignitosi. A oggi, meno del 3 percento dei posti di lavoro nel settore mondiale delle rinnovabili è in Africa, ma le stime indicano che la creazione di posti di lavoro in questo settore può ampiamente compensare la perdita di occupazione nei settori tradizionali (biomasse/combustibili fossili). Anche i sistemi energetici diffusi possono creare nuove opportunità e far decollare la produttività nelle aree precedentemente penalizzate.

L’Africa, inoltre, è dotata di notevoli riserve di materie prime critiche, essenziali per la transizione verde mondiale. Molti paesi (p.e. Egitto, Marocco, Namibia, Sudafrica) sono considerati i futuri produttori chiave di idrogeno verde e prodotti Power-to-X (PtX).

La vera sfida per la  transizione energetica verde dell’Africa è superare la visione delle attività estrattive e produttive del continente come destinate dell’Europa, e assicurare che gli investimenti sia in materie prime  sia in PtX siano radicati in un approccio strutturale alla transizione verde dei paesi africani, dando priorità al trasferimento tecnologico, alla lavorazione locale dei minerali e all’uso di energia verde quale l’idrogeno, oltre che ad altre applicazioni dei PtX per potenziare l’industrializzazione a basse emissioni di carbonio e il trasporto pulito in tutto il continente.

 

L’adattamento climatico è la priorità dell’Africa

 

Nonostante l’attuale attenzione politica mondiale all’energia verde, l’Africa non può intraprendere una trasformazione economica strutturale senza adattarsi agli impatti climatici e sviluppare resilienza. Le priorità per i paesi africani rimangono queste: l’obiettivo generale della recente Strategia per il cambiamento climatico e lo sviluppo resiliente dell’Unione Africana e del relativo Piano d’azione (AU Climate Change and Resilient Development Strategy and Action Plan) per il 2022-2023 è “costruire la resilienza delle comunità, degli ecosistemi e delle economie africane e sostenere l’adattamento regionale”.

L’adattamento e il potenziamento della resilienza sono questioni particolarmente importanti per il settore agricolo, data l’elevatissima dipendenza dell’Africa dall’agricoltura pluviale, e in senso ampio per i settori basati sulle risorse naturali: più del 60 percento della popolazione africana è costituita da piccoli agricoltori, i quali rappresentano oltre il 20 percento del Pil del continente. Entro il 2050 l’agricoltura africana dovrà produrre il 50 percento in più per coprire il fabbisogno della crescente popolazione del continente. Gli ultimi progressi di tecnologia, ricerca e innovazione digitale potrebbero consentire un leapfrogging del settore agricolo verso una trasformazione verde e climaticamente intelligente. L’Africa ha un enorme potenziale di ulteriore ampliamento delle catene del valore della trasformazione dei prodotti agricoli, a livello nazionale, regionale e internazionale. Questo tipo di espansione agricola dovrebbe avvenire con sensibilità al clima, e non a detrimento della crescita ecologica, economica e sociale. Per esempio, il settore olivicolo è fondamentale per la crescita economica della Tunisia: l’olio d’oliva è il principale prodotto agricolo da esportazione del paese, con oltre il 90 percento della produzione destinato all’export. Ciononostante, le politiche agricole ed economiche della Tunisia degli ultimi decenni hanno ormai ridotto il panorama dell’intero paese a un deserto ecologico particolarmente vulnerabile agli shock climatici ed economici. Al contempo, avendo dedicato ampie aree rurali alle colture da esportazione, la Tunisia resta fortemente dipendente dalle importazioni alimentari, situazione che la espone agli shock dei prezzi alimentari internazionali, quali quelli legati all’attuale crisi dell’Ucraina, nazione dalla quale la Tunisia importa la maggior parte dei suoi cereali.

In concreto, la trasformazione economica strutturale climaticamente intelligente di uno dei maggiori settori africani, l’agricoltura, necessita della capacità di produrre ed esportare e di un clima d’investimento affidabile in ciascun paese. Ma per questo servono principi di governance che tengano in debita considerazione il contesto locale e i principi della sostenibilità. È necessario che i governi africani sviluppino un pacchetto di riforme in materia di scambi commerciali, investimenti pubblici e regolamentazione, e che procedano a cambiamenti istituzionali che possano integrare l’adattamento climatico e la costruzione della resilienza in ogni ambito. È necessario che i governi africani, insieme con il settore privato, diano supporto allo sviluppo di un sistema agroalimentare che consenta una produzione e un’autosufficienza alimentare maggiori, per esempio dando agli agricoltori accesso a prestito, credito e semenze, e riducendo al contempo i succitati fattori alla base dell’attuale estrema vulnerabilità dei sistemi agroalimentari africani.

 

Mobilitare la finanza per lo sviluppo

 

Finora la comunità internazionale non ha mantenuto l’impegno di devolvere 100 miliardi di dollari l’anno all’azione per il clima nei paesi in via di sviluppo. Un impegno assunto ormai da un decennio e che si sarebbe dovuto realizzare nel 2020. Secondo recenti stime dell’OCSE potrebbe non realizzarsi fino al 2023. Si è ben lontani ancora dal provvedere al fabbisogno anche della sola Africa, che tra transizione energetica sostenibile, adattamento e resilienza climatici e tutela di natura e biodiversità sarà di circa 250 miliardi di dollari al 2025 e di 400 miliardi di dollari al 2030, mentre la richiesta di finanziamenti per il clima dell’African Group of Negotiators on Climate Change è di 1,3 migliaia di miliardi di dollari l’anno entro il 2025.

La capitalizzazione del potenziale energetico sostenibile dell’Africa necessiterà di investimenti ingenti che potranno essere intrapresi in larga parte dal settore privato, a condizione che il quadro normativo e l’ambiente delle policy siano sufficientemente favorevoli. Serviranno inoltre misure pubbliche di accompagnamento, anche da parte degli istituti finanziari per lo sviluppo, per mitigare i rischi, promuovere soluzioni innovative e sostenibili, e contribuire alla costruzione di capacità ed ecosistemi locali.

la foto Mercato ortofrutticolo di Assomada, Isola di Santiago, Capo Verde.

Non bisogna però concentrarsi esclusivamente sulla mitigazione climatica e sulla transizione energetica. Ad adattamento e resilienza, nonostante siano le sfide maggiori per l’Africa, va solo un quarto (all’incirca) dell’attuale finanza per il clima per i paesi in via di sviluppo. L’Adaptation Gap Report 2021 dell’UNEP stima che per soddisfare l’attuale fabbisogno determinato dai cambiamenti climatici bisognerebbe incrementare i finanziamenti mondiali di dieci volte. Ciononostante, le discussioni della recente COP26 hanno nuovamente dimostrato come, al di là della retorica e degli impegni internazionali, aumentare gli sforzi a sostegno di adattamento climatico e resilienza non resti che una vaga ambizione.

È pertanto necessario uno sforzo concertato per migliorare non solo la finanza per il clima nel suo complesso ma anche l’adattamento e la resilienza climatici, la tutela della biodiversità e della natura. Questo potrebbe farsi con contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contribution, NDC). E dovrebbe diventare una priorità per le istituzioni finanziarie per lo sviluppo, le quali potrebbero catalizzare i finanziamenti pubblici e privati in modo efficace, in particolare quelle europee, che per troppo tempo hanno trascurato l’adattamento climatico (cui la European Investment Bank, la banca europea per il clima, devolve solo il 10 percento circa della finanza per il clima per i paesi in via di sviluppo). L’attenzione dovrebbe vertere su soluzioni innovative e di scala per la ripresa verde e resiliente e la trasformazione dell’Africa. Questo richiede, inter alia:

1. il pooling delle risorse tramite piattaforme di investimento, con la combinazione di finanziatori e attori pubblici, privati, istituzionali e filantropici.

2. l’integrazione dello sviluppo di pipeline progetti per la trasformazione, con riforma delle policy e costruzione di ecosistemi, istituzioni e capacità locali;

3. la catalizzazione di più finanziamenti pubblici e privati finalizzati all’adattamento climatico e alla tutela della natura;

4. una miglior combinazione degli sforzi di mitigazione e adattamento climatici che s’imperni sulle sinergie tra adattamento e mitigazione, in particolare nell’ambito della transizione verde e dei sistemi agroalimentari, che sono due pilastri essenziali della trasformazione strutturale sostenibile dell’Africa.

La Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici del 2022, che si terrà a Sharm El-Sheikh, in Egitto, il prossimo novembre, è un’opportunità, nel contesto dell’agenda internazionale sul clima, per tarare la narrativa mondiale e sottolineare la necessità di finanziare su scala adeguata la trasformazione strutturale sostenibile e climaticamente resiliente dell’Africa e, più in generale, quella dei paesi in via di sviluppo.