MAGA 2025, una cura vitaminica per gli USAdi Francesco Gattei
63

Lo slogan

MAGA 2025, una cura vitaminica per gli USA

di Francesco Gattei

Con una politica che promette fuochi di artificio, Trump mira a rilanciare la mission di un’America come azienda. Gli animal spirit, ben rappresentati nella compagine di governo, daranno una caratterizzazione imprenditoriale. Resta da vedere con quale conto all’uscita

8 min

C

on la vittoria alle ultime elezioni americane, ritorna sul grande palcoscenico Donald Trump, con una ricetta economica alla “Colbert-Keynes”, un bomba vitaminica ricca di protezionismo, azzardo internazionale e stimolo economico interno.  Il nuovo mandato promette quindi di ribaltare il manuale (un po’ timido) della politica americana, puntando su più industria, energia per tutti, e un dollaro forte. E rimuovendo i maggiori ostacoli lungo la strada.  

 

  

Massimizzare l’America 

Lo stile del nuovo presidente è noto. Una forte allergia agli equilibri politici e una spiccata attitudine a numerosi cambi nelle posizioni chiavi (il 90 percento delle posizioni di governo furono cambiate, spesso in maniera tumultuosa, almeno una volta nello scorso mandato). La composizione della squadra di governo è una sfilata di business star: Elon Musk dirige il Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE, sì, proprio come la criptovaluta), mentre Scott Bessent, storico gestore di Hedge Fund (e affossatore della sterlina nel 1992) come segretario del tesoro e Vivek Ramaswamy, grande critico del capitalismo woke, completano un team più simile a un consiglio d’amministrazione che a un gabinetto politico. Si tratta della compagine di governo a maggior reddito della storia umana. La ricetta economica del Trumpismo è semplice: massimizzare l’America. Produzione nazionale, energia a tutto gas (nel senso pieno del termine), dollaro forte per contenere l’inflazione importata ed una politica commerciale che farà tremare i polsi agli avversari ed anche agli alleati.

L’energia è il cuore della strategia

Durante il primo mandato Trump, la produzione di petrolio è aumentata del 39 percento (da 9 ad oltre 12 milioni barili/giorno in quattro anni, un record di crescita unico nel settore petrolifero), mentre quella di gas ha visto un più moderato incremento del 27 percento (anche in questo caso si tratta di numeri senza precedenti). Un piano da wildcatter texano, che aveva abbracciato il boom del tight oil e shale gas ereditato dalla precedente amministrazione Obama, ma con ricadute positive (inaspettate) anche sulle emissioni. Infatti, nonostante il de profundis su questo tema atteso dopo l’uscita dall’accordo di Parigi, nella scorsa gestione (2016-19, escluso l’anno Covid), le emissioni USA sono diminuite da 4,84 (2016) a 4,74 miliardi di tonnellate determinando anche una riduzione della intensità emissiva per unità di PIL da 0,28 tonnellate per 1.000 dollari a 0,26 (-7,1 percento). Non male per un presidente considerato allergico al green (escluso quello dei suoi campi da Golf). Ora, con l’LNG già decuplicato sotto la sua guida, Trump punta a consolidare il dominio energetico USA, senza le limitazioni recentemente introdotte dal presidente Biden.  

 

A latere, il boom americano sarà affiancato da un attento dialogo con i paesi del Golfo (e da qualche tweet minaccioso prima dei vertici OPEC) e da una maggiore pressione alla produzione petrolifera iraniana, che negli ultimi anni aveva visto invece dilatarsi le maglie dell’embargo imposto proprio dalla amministrazione Trump. 

 

 

la fotoImmagine aerea di container nel porto di Long Beach, California. Una grande leva di crescita del MAGA - Make America Great Again - è lo sviluppo dell’industria nazionale, il reshoring e la riduzione del deficit commerciale. Per questo motivo gran parte dell’attenzione del governo Donald II sarà focalizzata a ridisegnare i flussi commerciali del paese, imponendo o minacciando dazi anche nei confronti di alleati e potenziali concorrenti

 

 

L’altra grande leva di crescita MAGA - Make America Great Again - è lo sviluppo della industria nazionale, il reshoring e la riduzione del deficit commerciale (una vera ossessione). È per questo che gran parte dell’attenzione del governo Donald II sarà focalizzata a ridisegnare i flussi commerciali del paese, imponendo o minacciando dazi anche nei confronti di alleati e potenziali concorrenti. E riaffermando la centralità del dollaro negli scambi. Ad esempio, nello scorso mandato la guerra economica con la Cina era stata il simbolo della politica estera (la Trappola di Tucidide applicata agli scambi commerciali, l’opposto della politica europea). 

 

Con dazi su centinaia di miliardi di dollari di merci, Trump aveva cercato di ridurre il deficit commerciale verso Pechino. Il piano era in parte riuscito e il deficit commerciale con la Cina, salito a 419 miliardi di dollari nel 2018 (2 percento del PIL), era poi sceso a 1,6 percento nel 2019. Oggi il trend è ancora più contenuto (279 miliardi di dollari di deficit), prossimo al 1 percento, un livello che non si vedeva da inizi anni 2000. Di fatto non c’è una vera criticità su questo tema. Tuttavia, i primi annunci del nuovo Presidente fanno prevedere un nuovo set di misure, che hanno più significato dal punto di vista geopolitico, e una continua pressione per il reshoring: dai dazi del 10 percento su tutti i beni alla potenziale rimozione della Cina dallo status di Nazione più favorita. 

 

 

La politica colbertiana e la leva keynesiana 

Anche gli alleati non sono risparmiati dalla politica colbertiana: nello scorso mandato Trump aveva imposto all’Europa dazi su acciaio e alluminio, con una ritorsione che dice molto sul grado di pressione che il vecchio continente poteva esercitare: una controtassa sui Jeans e sul burro di arachidi. Anche in questo caso l’azione era stata efficace a mantenere costante attorno allo 0,8 percento il rapporto del deficit commerciale verso l’Europa rispetto al Pil. E infine la leva più robusta, quella keynesiana delle politiche fiscali che alimenteranno la crescita interna: nel precedente round la riforma fiscale, con la riduzione delle imposte alle imprese dal 35 al 21 percento nel 2017, era stato uno degli strumenti di maggior popolarità dell’Amministrazione e aveva innescato un boom economico: il Pil (2016-19) era salito a oltre 21 trilioni di dollari, con un tasso del 4,6 percento annuo, la disoccupazione era scesa a livelli di piena occupazione (dal 5 al 3,5 percento) e gli indici di borsa S&P 500 e Nasdaq erano cresciuti rispettivamente del 50 e del 90 percento. Ma l’equilibrio tra successo e baratro è precario, “You have to bet big to win big”, e il deficit di bilancio era passato da 600 miliardi a oltre 1000 miliardi di dollari, spingendosi poi a cifre astronomiche durante la pandemia. Oggi il trend è ancora in crescita, anche se inferiore al periodo Covid.  

 

In conclusione, con una politica che promette numerosi fuochi di artificio, Trump mira a rilanciare la mission di una America come azienda. Gli animal spirit, ben rappresentati nella compagine di governo, daranno a questo mandato una caratterizzazione imprenditoriale che manca alla amministrazione uscente.  Resta da vedere con che sconquassi sui tavoli internazionali. E con quale conto all’uscita. E fino a quando tutti gli Ego, concentrati nel governo del paese, troveranno un punto di convergenza.