Europa cosa è cambiato?di Alessandro Gili
64

La nuova strategia artica

Europa cosa è cambiato?

di Alessandro Gili

Energia, minerali critici, corridoi artici sono tutti elementi parte di una strategia europea più complessiva, funzionale alla riduzione delle dipendenze strategiche da Cina e Russia. Le crescenti tensioni internazionali chiamano ora l’UE a un ruolo più attivo nella dimensione di sicurezza

14 min

S

toricamente l’Artico è un’area di fondamentale interesse per i Paesi europei. Le imprese del norvegese Amundsen insieme all’italiano Nobile con il dirigibile Norge negli anni Venti del Novecento sono ancora impresse nella memoria delle genti della regione artica. Un’epoca in cui l’Europa era la referente naturale per le popolazioni dell’area. Una storia di relazioni che ha visto e vede protagonista l’Italia: oggi a Ny-Alesund, nelle isole Svalbard, è presente dal 1997 la base di ricerca scientifica Dirigibile Italia, nome che ricorda la seconda missione di Nobile al Polo Nord.

 

Nel panorama contemporaneo l’Europa si trova in una diversa, più complessa situazione nell’Artico. Uno scenario che riflette le più ampie dinamiche e tensioni internazionali. La regione è infatti stretta tra tentativi di investimento da parte di operatori cinesi nel quadro della Polar Silk Road, di infrastrutture dual-use (civile e militare) da parte della Russia e le recenti rivendicazioni da parte dell’Amministrazione Trump sulla Groenlandia.

 

 

L’Ue nell’Artico in un mutato contesto globale

L’Europa e l’Ue mantengono un interesse primario sull’Artico. Cinque su otto Stati membri del Consiglio Artico – il Forum di cooperazione internazionale deputato a favorire la collaborazione regionale su protezione ambientale, sfruttamento delle risorse e ricerca scientifica – sono europei, e tre sono membri dell’Ue (Finlandia, Svezia e Danimarca). La guerra in Ucraina ha rappresentato un game changer. Da quel momento l’Artico è divenuto terreno di scontro piuttosto che di cooperazione internazionale, e le relazioni con la Russia all’interno del Consiglio Artico sono state congelate. Come conseguenza, anche i lavori dell’intero Consiglio sono stati in larga misura paralizzati, rimanendo attiva una cooperazione su alcune limitate tematiche tecnico-scientifiche. È stata sospesa la cooperazione tra Ue e Russia anche all’interno della Northern Dimension policy, della Barents Euro-Arctic cooperation e del Consiglio degli Stati del Mar Baltico. È la fine dell’eccezionalismo artico, inteso come modello esemplare di governance internazionale fondato sulla cooperazione, che rendeva l’Artico un’area del mondo ancora immune dai contrasti geopolitici.

 

L’Ue, all’interno del Consiglio artico, ricopre formalmente soltanto il ruolo di Osservatore non Membro, al contrario di Stati quali Italia, Cina, India, Giappone, che detengono il ruolo di Membri osservatori.

 

Ciononostante, in particolar modo attraverso lo Spazio Economico Europeo, che ha come fine quello di estendere i benefici ma anche le regole del Mercato unico dell’Ue ai Paesi associati dell’EFTA, e quindi anche allo spazio artico di Norvegia e Islanda, l’Ue esercita un’influenza non trascurabile sull’area. Ne consegue che le normative e gli atti dell’Ue riguardanti il mercato interno debbano essere recepiti dagli Stati aderenti al SEE, ad esempio per quanto riguarda le politiche energetiche e ambientali. Il supporto dell’Ue nella regione si esprime anche attraverso la politica di coesione in favore delle regioni artiche di Danimarca, Finlandia e Svezia, nonché mediante il Fondo europeo di sviluppo regionale per la cooperazione tra regioni dell’Unione europea INTERREG.

 

Lo strumento principe per il rafforzamento del ruolo dell’Ue nella regione artica è stato tuttavia elaborato nel 2021 attraverso la Strategia Ue per un Artico sicuro, stabile, sostenibile, pacifico e prospero. Si tratta di una Strategia che risente di un precoce invecchiamento a causa del rapido mutamento del contesto geopolitico internazionale e nella regione, e che richiederebbe perciò un aggiornamento. Tuttavia, il documento richiama tre pilastri che risultano ancora centrali e collegati tra loro: il cambiamento climatico nell’Artico, dove le temperature aumentano almeno due volte di più rispetto alla media globale; a questo fenomeno è connessa la possibilità di rendere più accessibili le ingenti risorse di idrocarburi e di minerali critici presenti, nonché la prospettiva di sfruttare le nuove rotte commerciali che potranno aprirsi a causa del riscaldamento globale.

 

In questo scenario, il cambiamento climatico potrebbe sempre più in futuro cambiare la geopolitica della connettività e favorire la navigabilità dei mari artici. Potrebbe, ad esempio, permettere l’apertura di nuove vie di comunicazione, in particolare la Northern Sea Route (NSR), rotta che collega l’Atlantico al Pacifico (e quindi anche Europa e Asia) costeggiando i Paesi scandinavi e le coste russe. Nel corso del 2023 è stato avviato il primo servizio container cinese Asia-Europa, con un incremento progressivo dei viaggi completati nel corso dell’ultimo anno. 

La posizione dell’Europa nel quadro di un possibile utilizzo della Northern Sea Route rimane complicata

Il percorso, che garantirebbe un abbattimento dei tempi di viaggio e dei costi operativi sulla direttrice Europa-Asia (6.400 km in meno rispetto alla rotta Shanghai-Rotterdam via Suez, con una riduzione da 48 a 35 giorni), rientra anche nella porzione di zona economica esclusiva (ZEE) proclamata dalla Russia e dove il Cremlino rivendica la prerogativa di concedere permessi di transito e richiede il pagamento di tariffe per le navi circolanti. Mosca sta nel frattempo riattivando basi militari sovietiche e costruendo infrastrutture avanzate dual use (con una forte componente militare) sulle coste artiche, anche in risposta all’allargamento della NATO a Svezia e Finlandia.

 

In parallelo, una maggiore cooperazione europea con la Cina – che si proclama Stato “quasi-Artico” – appare di difficile attuabilità. Se da un lato l’Ue è impegnata a diversificare le rotte di connettività tra Asia ed Europa, dall’altro un accordo strutturale sulla NSR con la Cina risulta complesso alla luce della cooperazione strategica che Pechino e Mosca hanno avviato a livello globale. Una collaborazione che è culminata nel marzo 2023 nella creazione di un gruppo di lavoro congiunto sul corridoio NSR, con nuovi investimenti in infrastrutture logistiche ed energetiche congiunte.

 

Non è inoltre da trascurare l’inclusione di porti artici (quali Lulea in Svezia, Kemi e Oulu in Finlandia, ma anche Narvik e Hammerfest in Norvegia) nel quadro delle reti transeuropee di trasporto TEN-T, in particolare per quanto riguarda il corridoio Scandinavo-Mediterraneo. Questi porti e corridoi dovranno essere rafforzati per formare collegamenti tra trasporto marittimo e ferroviario, con l’obiettivo ultimo di trasportare merci originate da o destinate all’Artico via ferrovia e, in futuro, potenzialmente anche attraverso la NSR, come già prefigurato all’interno della Strategia europea per l’Artico.

Connettività significa anche infrastrutture digitali e nuovi cavi sottomarini

Sono presenti i cavi FARICE-1 e DANICE, che connettono l’Europa all’Islanda e, attraverso il cavo Greenland Connect alla Groenlandia e al Canada. In questo contesto di crescenti tensioni, cruciale risulta il progetto Far North Fiber, che ha come obiettivo connettere l’Europa e il Giappone attraverso l’Artico, evitando i colli di bottiglia del Mar Cinese Meridionale e il Mar Rosso. Un progetto che incrementerebbe la sicurezza delle comunicazioni e aumenterebbe la ridondanza delle rotte digitali tra Europa e Asia. Un’infrastruttura che si inserisce inoltre nel quadro del recente Piano d’azione della Commissione europea per la sicurezza dei cavi sottomarini, e che prevede un rafforzamento della prevenzione, pronta risposta in caso di incidenti e deterrenza, anche nella regione artica.

 

L’Ue è attiva nell’area attraverso le proprie infrastrutture spaziali, in particolare mediante i satelliti del programma Copernicus, utilizzato anche per l’osservazione dell’Artico e per il monitoraggio dei cambiamenti climatici in atto nella regione (con un contributo a tal fine del programma italiano COSMO-SkyMed e in prospettiva di IRIDE). Infine, un contributo europeo alla connettività della regione potrà essere assicurato dal programma di connettività satellitare IRIS2, che ha, tra le principali finalità, anche quella di assicurare la connettività Internet in aree remote.

 

Il cambiamento climatico porta con sé anche una rinnovata gara per il controllo delle risorse. Il ribadito interesse dell’Amministrazione Trump per l’acquisizione della Groenlandia, sebbene giustificato primariamente intorno a questioni di sicurezza nazionale, include naturalmente anche considerazioni di natura economica. Si stima che il 13 percento delle riserve non ancora scoperte di petrolio e il 30 percento di quelle di gas si trovino nella regione artica.

 

La partita principale si gioca però oggi sui minerali critici fondamentali per la transizione energetica. Secondo il Benchmark Minerals Intelligence, 43 su 50 minerali considerati critici per la sicurezza nazionale USA sono presenti in Groenlandia. L’isola è centrale anche per gli interessi europei. Secondo la Geological Survey of Danemark and Greenland (GEUS) la Groenlandia possiede 25 dei 34 minerali critici identificati nella lista dei minerali critici Ue, tra cui terre rare, ampi depositi di grafite e più contenuti di litio. Proprio il settore dei minerali critici, nel quadro degli obiettivi previsti dal Critical Raw Materials Act europeo, ha portato l’Ue e la Groenlandia a siglare nel novembre 2023 un Memorandum per una partnership strategica al fine di integrare le rispettive catene del valore dei minerali critici. Ue e Groenlandia collaborano anche nel quadro della Minerals Security Partnership, che include anche gli USA. Analoghi partenariati sui minerali critici sono stati firmati dall’Ue con Canada e Norvegia.

 

 

Groenlandia: quale ruolo per l’UE?

Oggi la Groenlandia è al centro degli interessi geopolitici artici. Dal 1776 la Danimarca ha stabilito la propria sovranità sull’isola, con il pieno riconoscimento della Groenlandia quale contea del Regno di Danimarca dal 1953. Nel referendum per l’ingresso nella Comunità economica europea (CEE, oggi Ue) del 1972, la Groenlandia votò opponendosi all’ingresso e fu vincolata dalla positiva decisione del Regno di Danimarca nel suo complesso. L’adozione dell’Home Rule Act del 1979 ha segnato un passo significativo verso una Groenlandia più autonoma, cui è seguita la decisione di lasciare la CEE nel 1985. Un rafforzamento dell’autonomia dell’isola è avvenuto nel 2009, cui è seguita nel 2010 l’acquisizione della competenza sulle risorse minerarie. Rimangono in capo alla Danimarca le competenze su difesa e sicurezza (con l’annuncio da parte di Copenaghen a gennaio 2025 di un piano da 1,96 miliardi di euro per rafforzare la difesa e sicurezza nell’Artico).

 

Oggi la Groenlandia è inclusa tra gli EU Overseas Country and Territory (OCT), territorio non parte dell’Ue né del Mercato unico, ma associato attraverso la Danimarca. Sebbene non più parte dell’Ue, tutti i cittadini della Groenlandia, essendo cittadini danesi, sono anche cittadini Ue

Più dell’88 percento dei flussi commerciali dell’isola avvengono con l’Ue

Nel bilancio pluriennale 2021-27 dell’Ue, 225 milioni di euro sono destinati alla Groenlandia, pari a più della somma destinata a tutti gli altri OCT nel loro complesso. L’Ue, inoltre, supporta il settore ittico groenlandese e paga per l’accesso dell’Ue alla zona economica esclusiva della Groenlandia, rispettivamente 3,2 milioni di euro e 14,1 milioni di euro per il periodo 2025-2030. Come OCT, la Groenlandia beneficia di programmi di finanziamento Ue, tra cui Invest EU e NDICI (con il sostegno della BEI), e altri programmi quali Horizon Europe, Life e Erasmus+, nonché partecipa al Northern Periphery and Arctic Programme e al Connecting Europe Facility. Infine, può beneficiare dei finanziamenti nell’ambito del Global Gateway, lanciato dall’Ue nel 2021. Ne emerge una fitta rete di relazioni economiche e strategiche, culminata a marzo 2024 nell’apertura dell’ufficio della Commissione europea nel capoluogo Nuuk. Una relazione che potrebbe evolvere alla luce delle elezioni dell’11 marzo, in cui i partiti di centrodestra groenlandesi, in maggioranza nazionalisti e indipendentisti, potrebbero scrivere una nuova pagina nella storia dell’isola.

 

Energia, minerali critici, corridoi artici sono tutti elementi parte di una strategia europea più complessiva, funzionale alla diversificazione e alla riduzione delle dipendenze strategiche accumulate nei decenni scorsi, ad esempio, nei confronti di Cina e Russia. Dipendenze che, appunto, la regione Artica potrebbe contribuire a ridurre.

 

Le crescenti tensioni internazionali chiamano ora i Paesi europei e l’Ue nel suo complesso ad un ruolo più attivo nella dimensione di sicurezza, anche riducendo la storica dipendenza dagli USA. Solo affiancando influenza economica ad un potere di deterrenza capace di proteggere i propri interessi e le infrastrutture critiche presenti, l’Ue e i Paesi membri potranno rimanere un attore credibile sulla scena artica.